giovedì 3 dicembre 2009

SVIZZERA NO AI MINARETI



il referendum passa con il 57,5%
"Sorpresa e delusione" dell'Organizzazione della conferenza islamica e dei vescovi
Castelli (Lega): "E ora la croce nel tricolore. Potremmo presentare una proposta"

GINEVRA - Gli svizzeri si sono pronunciati a grande maggioranza per il divieto di costruzione di nuovi minareti nel loro Paese. Il referendum sulla proposta di modifica costituzionale promosso dalla destra nazional-conservatrice ha visto prevalere i sì con il 57,5%. Solo in quattro cantoni su 26 la proposta è stata respinta. Verrà pertanto modificato l'art.72 della Costituzione, che regola le relazioni tra lo Stato e le confessioni religiose.

Molte le reazioni di preoccupazione e di forte critica nei confronti del risultato referendario. I Verdi svizzeri esamineranno la possibilità di inoltrare ricorso alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo: "I musulmani non hanno ricevuto solo una sberla, ma addirittura un pugno in faccia", ha detto il presidente del partito, Ueli Leuenberger. A suo avviso l'iniziativa è incostituzionale e l'esito del referendum è il risultato di "una propaganda estremamente ben fatta, che ha fatto leva sui pregiudizi".

Ma dall'Italia arriva il plauso della Lega Nord. L'ex ministro Roberto Castelli non usa mezze misure: "Ancora una volta dagli svizzeri ci viene una lezione di civiltà. Occorre un segnale forte per battere l'ideologia massonica e filoislamica che purtroppo attraversa anche le forze alleate della Lega". Ed ecco la proposta: "Credo che la Lega Nord possa e debba nel prossimo disegno di legge di riforma costituzionale chiedere l'inserimento della croce nella bandiera italiana". Gli risponde il verde Angelo Bonelli: "La croce sul tricolore? A quando le crociate?".

"Sorpresa e delusione" da parte dell'Organizzazione della conferenza islamica (Oci): "Ci aspettavano un rifiuto massiccio", ha detto l'ambasciatore dell'Oci a Ginevra, Babacar Ba, secondo il quale il risultato del voto in Svizzera è una porta aperta per chi vuole mettere in dubbio le libertà fondamentali. "Bisogna ritrovare un ambito di dialogo per evitare pregiudizi", ha detto Babacar Ba.

Ma nemmeno la Chiesa svizzera sembra contenta della decisione. Anzi, la Conferenza dei vescovi svizzeri è decisamente preoccupata: la vittoria del sì al referendum, si legge in un comunicato, è "un ostacolo sulla via dell'integrazione e del dialogo interreligioso nel mutuo rispetto". "Non abbiamo saputo rispondere ad alcune paure legate all'integrazione di diverse religioni e culture in Svizzera", ha ammesso il portavoce Walter Mueller, secondo il quale sul risultato ha influito anche la situazione dei cristiani, vittime di discriminazione e oppressione in alcuni Paesi musulmani.

A dichiararsi costernata per i risultati del referendum è anche Amnesty International: si tratta, si legge in un comunicato dell'organizzazione, di "un divieto totale che rappresenta una violazione della libertà di religione ed è incompatibile con le convenzioni internazionali firmate dalla Confederazione". Il risultato è "scioccante", afferma il segretario generale della sezione svizzera dell'organizzazione, Daniel Bolomey, secondo cui Consiglio federale e Parlamento si sono assunti un rischio enorme rifiutandosi di dichiarare nulla l'iniziativa.

Il no ai minareti non è un no al diritto di preghiera per i musulmani, ha affermato il parlamentare svizzero Oskar Freysinger dell'Unione democratica di centro (Udc), tra i principali promotori del referendum. E ancora: "Il divieto dei minareti non cambierà niente per i musulmani che potranno continuare a praticare la loro religione, a pregare e a riunirsi. Si tratta di un messaggio, la società civile vuole mettere un freno agli aspetti politico-giuridici dell'Islam".

Nei giorni scorsi il Consiglio federale svizzero, organo esecutivo del governo della Confederazione, si è più volte espresso contro l'iniziativa, giudicata discriminatoria, pericolosa e rischiosa per i rapporti della Svizzera con il mondo arabo. In Svizzera i musulmani sono 400mila, il 5% della popolazione, e dispongono di circa 200 luoghi di preghiera, ma solo quattro minareti, che non sono usati per richiamare i fedeli.

Il Partito popolare svizzero (Svp) ha raccolto 100mila firme in un anno e mezzo per ottenere che la questione fosse sottoposta a referendum sulla base dell'assunto che l'erezione di torri o torrette collegate alle moschee è il simbolo di una "rivendicazione di potere politico-religiosa". La campagna che ha preceduto il referendum è stata animata e a tratti violenta: una moschea di Ginevra è stata danneggiata tre volte e il presidente Hans-Rudolf Merz si è rivolto alla nazione con un messaggio tv per sottolineare che "ai musulmani dovrebbe essere garantito il diritto di praticare la propria religione anche in Svizzera", ma anche per avvertire che nelle valli elvetiche "non echeggerà mai il canto del muezzin".

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