mercoledì 28 dicembre 2011

I referendum sulla legge elettorale? Una fregatura targata Idv e Sel. Non firmate!

Inserito da Riccardo Ghezzi

Ci riprovano coi referendum. E questa volta tentano di parlare alla pancia della gente ponendo la questione del “Porcellum”, l’attuale legge elettorale che sembra proprio non piacere alla maggioranza degli italiani. Il problema è che, dietro agli appelli della raccolta firme da ultimare entro fine settembre, si nascondono i soliti noti. E i quesiti referendari proposti non cambierebbero proprio nulla. Si vuole e si deve cambiare legge elettorale? Bene, tutti i partiti attualmente presenti in parlamento sono concordi, spetterà a loro trovare una legge migliore, possibilmente con una larga intesa.
Inutile correre a firmare per quesiti referendari che probabilmente saranno bocciati dalla Corte Costituzionale.
La tentazione è quella di ignorare l’argomento del tutto, per evitare di far pubblicità ai comitati promotori, ma è bene spiegare perché dietro questa petizione si nasconde l’ennesima truffa.
Andando a curiosare sul sito firmovotoscelgo.it, si nota che il presidente del comitato è il docente universitario Andrea Morrone, il coordinatore politico il redivivo Arturo Parisi, ex ministro della difesa del governo Prodi.
E le liste che sostengono i quesiti referendari? Presto detto: I Democratici (l’asinello di Segni), Idv, Sel, Pli, Unione Popolare e una fantomatica “Rete dei referendum”. Insomma, una mossa politica per raccogliere consensi.
Una questione che riguarda solo la sinistra, anche in termini di liti interne. La Federazione della Sinistra, ad esempio, è contraria alla raccolta firme. Il Pd, inutile dirlo, è spaccato. Alcuni esponenti, tra cui i “grandi ritorni” Romano Prodi e Walter Veltroni, hanno già annunciato di aver firmato. Il segretario Pier Luigi Bersani ha invece richiamato tutti all’ordine specificando che i referendum riguardano la società civile e non il Pd, e che nello specifico una legge elettorale è meglio sia modificata dal parlamento.
Una “cosa di sinistra”, insomma. Inutile e dannoso cadere nel tranello di chi cerca consenso politico attraverso mosse demagogiche.
Inoltre, nessuno dice che i quesiti referendari proposti hanno lo scopo di far rivivere la precedente legge elettorale: il “Mattarellum”. E a questo proposito ci sono forti dubbi di ammissibilità. Spetterà alla Consulta decidere.
Come molti ricorderanno, anche con il “Mattarellum” la scheda per la Camera che riguardava l’elezione della quota proporzionale era bloccata e non consentiva il voto di preferenza. E questo meccanismo di decisioni imposte dall’alto era subìto, in modo maggiore, con la scheda per l’elezione del candidato uninominale. L’elettore convintamente di centrosinistra o di centrodestra non aveva altre possibilità che votare il candidato che si ritrovava davanti, chiunque fosse, pena la vittoria della coalizione opposta.
Sembra un paradosso, ma con l’attuale “Porcellum” l’elettore ha più possibilità di scelta: nel caso, infatti, si dovessero formare coalizioni, chi vota ha perlomeno la possibilità di dare più o meno forza ad un singolo partito. In effetti succede così.
Come al solito, i più scatenati a proporre con forza i quesiti referendari sono militanti e simpatizzanti di Italia dei Valori. Il populismo di Di Pietro ormai non stupisce più. Era già successo nel 2008, quando proprio l’Idv ha raccolto le firme per il referendum elettorale che abrogava la coalizione e conferiva il premio di maggioranza (55% dei seggi) al partito con più voti. Solo a referendum indetto Di Pietro ha cambiato idea, arrivando a imporre il boicottaggio di ciò che egli stesso aveva promosso. L’affluenza si è poi rivelata un fallimento.
Alchimie tipiche di Di Pietro e di buona parte della sinistra. Non caschiamoci anche questa volta.

lunedì 12 dicembre 2011

Basta soldi ai partiti!




Le misure anticrisi adottate da Monti colpiscono tutti gli italiani e soprattutto, confermando una tendenza che si è manifestata da alcuni anni, il ceto medio.

Solo i partiti escono indenni dalla stangata. Hanno colpito i lavoratori, i pensionati, la casa, la benzina, i consumi, ma i partiti no! Eppure ci sarebbero stati tutti i presupposti per fare un bel risparmio anche da lì, visto che incassano svariati milioni di euro: dal 1993 ad oggi ne hanno intascati ben 2.254 milioni. E devono ancora arrivare i "rimborsi" per le europee del 2009 e le regionali del 2010.

E pensare che nel '93 c'era stato un referendum, promosso dai radicali, che aveva abrogato il finanziamento pubblico dei partiti con una massiccia partecipazione (il 77%) e una maggioranza enorme: il 90,3%, pari a 31,2 milioni di italiani, che avevano espresso senza equivoci la loro volontà: basta soldi ai partiti!

Il finanziamento pubblico era stato adottato per moralizzare la politica. Così, dicevano, non ci sarebbero più state le tangenti, che erano uno strumento di finanziamento finalizzato al sostentamento dei partiti. La storia invece dimostrò il contrario. Tangentopoli fiorì in pieno regime di finanziamento pubblico perché, se un politico è ladro, lo è a prescindere dal fatto che il suo partito sia foraggiato o meno dallo stato.

Gli italiani, ammaestrati da tangentopoli, abolirono il finanziamento pubblico nel '93. Ma, abrogata la legge, trovato l'inganno, esso venne reintrodotto subito sottoforma di "rimborso" per le spese elettorali. Rimborsare vuol dire ripianare le spese. Ma se i partiti hanno speso 559 milioni, di cui il 30% non da documentare, e hanno ricevuto più del quadruplo, è lecito parlare di rimborso?

Non secondo la Corte dei Conti che a pag.179 del referto sui finanziamenti alle formazioni politiche afferma che "quello che viene nominativamente definito contributo delle spese elettorali è in realtà un vero e proprio finanziamento". Alla faccia della volontà popolare! E anche questo va messo nel conto della diminuzione dei margini di democrazia in Italia.

Ma se in tempi di vacche grasse tutto questo potrebbe anche passare, una tale situazione di patente illegalità e di distrazione di risorse dalle necessità del popolo diventa intollerabile. Come si possono chiedere sacrifici agli italiani che hanno già dovuto ridurre di non poco il loro tenore di vita e continuare a finanziare i partiti! Ci vuole un po' di rispetto, non solo per la volontà popolare, formalmente ancora sovrana, ma anche per tutti quelli che oggi versano in gravi difficoltà economiche per responsabilità di altri.

Paolo Danieli

domenica 4 dicembre 2011

Un milione di anziani ha il frigo vuoto



Rischiano malnutrizione, mancano loro in media 400 calorie


ROMA, 4 DIC -Un milione di anziani si nutre poco e male, ha il frigo sempre vuoto e rischia una vera e propria malnutrizione. In media mancano loro almeno 400 calorie al giorno specie dalle proteine. Anche un solo mese di dieta povera aumenta del 25% la probabilità di ricovero e accresce la mortalità.Cio’secondo dati presentati al Congresso Nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg) appena finito a Firenze che ha osservato come tra gli anziani un milione ha carenze nutrizionali gravi
Se i Comuni italiani, e i governatori bizzarri come Rossi in Toscana, non sperperassero i soldi delle nostre tasse per costruire casette o pagare bollette a Zingari ladri e delinquenti, forse, potrebbero aiutare i nostri anziani. E non solo loro.

venerdì 2 dicembre 2011

EQUITÀ



Senato, fuga dal ristorante
I prezzi sono triplicati e i pasti calano del 70%
Gestori verso l’addio, venti richieste di cassa integrazione

ROMA—Ah, i bei tempi d’oro... Al ristorante del Senato, fino a tre mesi fa, il filetto di orata in crosta di patate si gustava per 5,23 euro e per il carpaccio di filetto con salsa al limone ne bastavano 2,76. Ma dalla fine di agosto i prezzi sul menu di Palazzo Madama sono triplicati e i senatori hanno rivoluzionato le loro abitudini. Adesso, nelle pause dei lavori d’Aula, o si fermano alla buvette per un riso all’inglese (rapido ed economico), o escono a mangiare nelle trattorie a due passi dal Pantheon. D’altronde, spiegano senza troppi imbarazzi, i prezzi a Palazzo Madama sono ormai «così alti» che pranzare fuori è diventato quasi conveniente. Da «Fortunato al Pantheon», un classico per le buone forchette della politica, all’una c’è la fila.
Con 45 euro ci scappano primo e secondo, prelibatezze romanesche come i bucatini all’amatriciana e carni italiane di prima scelta. Avvistati negli ultimi tempi Anna Finocchiaro, Maurizio Gasparri, Francesco Rutelli e il presidente Renato Schifani. Il ristorante del Senato invece, che prima era preso d’assalto anche da deputati e giornalisti parlamentari, adesso è mezzo vuoto. Potere dell’antipolitica o della parsimonia? Forse di tutte e due le cose. Fatto sta che la Gemeaz Cusin, la società che lo gestisce, ha deciso di gettare la spugna e chiede all’amministrazione di Palazzo Madama «una soluzione amichevole» per rescindere consensualmente il contratto, sottoscritto il 12 febbraio 2010. La società appaltatrice ha messo la questione in mano agli avvocati, che hanno redatto un parere con cui sperano di convincere Palazzo Madama a rivolgersi altrove per sfamare i senatori. La relazione è lunga quattro pagine ed è un ritratto dell’Italia, tra antichi privilegi e cauti colpi di forbice. Vi si legge che, prima della decisione dei questori di tagliare i costi, i senatori pagavano per un pranzo «il 13% del prezzo effettivo, anche per i pasti di tipo superiore o pregiato, il cui costo ricadeva, quasi per intero, sull’Amministrazione». Dunque, detto più prosaicamente, i senatori assaporavano e i cittadini pagavano. Ora però— che le quote percentuali a carico degli utenti «sono state sensibilmente incrementate» e che i senatori pagano la spigola o il filetto quanto i comuni mortali—è comprensibile che alla Gemeaz Cusin i conti non tornino più. E che la società chieda lo scioglimento consensuale del contratto con decorrenza 31 dicembre 2011. Da quando i costi sono quelli di un comune ristorante del centro di Roma, lamenta la società, «si è verificata una eccezionale diminuzione dell’attività», con una riduzione dell’affluenza «di oltre il 50 per cento».
E se prima i senatori sceglievano quasi esclusivamente piatti «della tipologia superiore e pregiata», ora prediligono le pietanze più cheap. Gli spaghetti all’astice, sul menu a 18 euro, non li vuole più nessuno, mentre quelli al pomodoro (6 abbordabili euro) sono tornati di gran moda. La Gemeaz Cusin stima «un calo del 70 per cento dei pasti prodotti», con conseguente perdita economica ed esuberi del personale. Il primo effetto concreto è la richiesta di cassa integrazione per 20 dipendenti del ristorante. Intanto, però, sembra che il Senato si appresti ad assumere (altri) sette dirigenti, vincitori di vecchi concorsi.

Monica Guerzoni