mercoledì 29 febbraio 2012

Terroristi al potere? Il Pdl di Milano si dimentica di quelli dei Nar


Alessandro Da Rold

Il centrodestra di Milano che attacca Maurizio Azzolini, capo di gabinetto con la pistola del vicesindaco, si dimentica di Pasquale Lino Guaglianone, membro del consiglio di amministrazione di Ferrovie Nord Milano e presidente del collegio sindacale di Fiera Congressi. Ha sul capo una condanna a cinque anni per banda armata e riciclaggio. Faceva parte dei Nar, i Nuclei armati combattenti di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, condannati per la strage di Bologna del 1980.

sabato 25 febbraio 2012

Lo strano destino di Tosi: senza Palermo non vince a Verona


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ALESSANDRO DA ROLD E MARCO SARTI
Galan e Miccichè provano a scendere in campo alle amministrative di Verona. Con il progetto Grande Nord. Se i leghisti non sembrano disposti ad accettare il sostegno dell’ex sottosegretario, Angelino Alfano potrebbe anche benedire l’operazione. A patto che Grande Sud aiuti il Pdl a giocare un ruolo centrale a Palermo.
Il destino del centrodestra tra Verona e Palermo. È attorno alle elezioni amministrative di queste due città che Pdl, Terzo polo e Grande Sud fanno e disfano accordi e alleanze. Il futuro della partitocrazia italiana passa anche da qui.
In Veneto la novità è rappresentata dall’asse tra Gianfranco Miccichè e Giancarlo Galan. Il leader del partito meridionalista e l’ex ministro dei Beni culturali - amici da tempo - avrebbero già trovato un accordo. Il progetto è una formazione di centrodestra di stampo nordista, da tenere a battesimo già alle consultazioni di maggio. A Verona i due stanno pensando di presentare una lista di Grande Nord - una costola padana del partito di Miccichè - per sostenere la candidatura di Flavio Tosi. «Quella di esportare in Veneto il mio movimento politico è molto più di un’ipotesi», ammette l’ex sottosegretario. Un’iniziativa talmente concreta che il leader siciliano rivela di aver già depositato il simbolo di Grande Nord. «E tanto per non correre rischi - racconta - anche quello di Grande Italia». Per studiare i dettagli dell’intesa, in questi giorni si stanno muovendo a Verona gli uomini di Miccichè e Galan. Su tutti il deputato salernitano - ma veneto d’adozione - Gerardo Soglia e il presidente dell’Ater veronese Niko Cordioli.
Nella sede del comune scaligero, però, i fedelissimi del primo cittadino leghista continuano a ribadire di non aver avuto contatti con Miccichè. Non solo. A poche ore dalla notizia che una lista di nome Grande Nord avrebbe potuto appoggiare Tosi, un tosiano di ferro di nome Roberto Maroni ha replicato seccamente su Facebook alle aspirazioni dell'ex sottosegretario. «Ecco il “nuovo” che avanza (nientemeno che dalla Sicilia poi...). Il trasformismo del Gattopardo è una costante che ricorre sempre nella politica italiana. Noi siamo diversi, Padania libera». Lo stop maroniano non sembra casuale. Anche perché il quadro resta molto complesso. Si interseca a sua volta con l’intenzione di Tosi di presentare una sua lista civica personale, opzione di nuovo bocciata dal leader Umberto Bossi proprio oggi alla Camera. Ma il sindaco vuole andare avanti per la sua strada. La sensazione è che su Verona, come su Palermo si stiano concentrando tutte le difficoltà del centrodestra, orfano della storica alleanza tra Umberto Bossi e Silvio Berlusconi.
Diverso il ruolo di Giancarlo Galan. L’ex presidente del Veneto vuole giocare la sua partita alle amministrative, ma non vuole rompere definitivamente con il Pdl. Consapevole che la nascita di una lista di Grande Nord a Verona finirebbe inevitabilmente per attirare diversi dirigenti locali berlusconiani, aspetta il placet di via dell’Umiltà. E a quanto pare l’ok di Angelino Alfano potrebbe davvero arrivare. Ad una condizione. Galan e Miccichè sarebbero liberi di presentare una loro lista a Verona, a patto che il Pdl riesca a chiudere un accordo con Grande Sud e Terzo Polo a Palermo.
Il ruolo di tessitore chiesto a Miccichè è fondamentale. Nel capoluogo siciliano Udc, Fli, Mpa e Grande Sud appoggiano il candidato indipendente Massimo Costa. Giovane e molto apprezzato in città, Costa avrebbe buone possibilità di conquistare la poltrona di sindaco. Il Pdl vorrebbe sostenere lo stesso candidato, ma finora i veti dei finiani hanno chiuso ogni possibilità di alleanza. A via dell’Umiltà sperano ancora in un accordo in extremis. Ecco perché ancora aspettano a ufficializzare la candidatura di Francesco Cascio, il presidente dell’Ars e al momento seconda scelta dei pidiellini.
Miccichè ha già iniziato la sua opera di persuasione con gli alleati del Terzo polo. Oggi a Montecitorio - gremita in occasione del voto sul decreto milleproroghe - i contatti tra i protagonisti della vicenda siciliana sono proseguiti senza sosta. In Transatlantico l’ex sottosegretario ha prima avuto un lungo colloquio con il futurista siciliano Fabio Granata. Poi con il presidente dei deputati Fli Benedetto Della Vedova. Mentre, poco lontano, si aggirava per il palazzo anche il governatore della Sicilia e leader dell’Mpa Raffaele Lombardo.
Trattativa difficile. «Miccichè ci sta provando - ammette Granata - vuole aprire al Pdl per un interesse tattico. Ma noi non siamo disposti ad accettare». E se l’Udc sembra più possibilista sull’opportunità di allearsi con il partito di Alfano a Palermo, i finiani possono contare sulle resistenze dell’Mpa.

giovedì 23 febbraio 2012

Miccichè e Galan ci provano con Tosi, «Grande Nord» spacca il Pdl


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ALESSANDRO DA ROLD E MARCO SARTI
Grandi manovre nel centrodestra. Non solo a Roma, ma a pure a Verona, dove Gianfranco Miccichè e Giancarlo Galan stanno mettendo a punto il progetto di una Lista Civica «Grande Nord» con cui superare il Popolo della Libertà e appoggiare il leghista Flavio Tosi. L’ex sottosegretario, già fondatore di Grande Sud è pronto ad aprire una succursale del suo movimento anche in Padania. «Il sogno - racconta uno dei suoi fedelissimi - è riuscire un giorno a unire le due realtà e creare Grande Italia». Fantapolitica? Tutt’altro. Stando alle voci che girano a Montecitorio il progetto di Miccichè è estremamente concreto.
Gianfranco Miccichè lancia la sfida al Popolo della Libertà. Prima l’allontanamento dal partito di Berlusconi e la nascita di Grande Sud. Adesso con l’aiuto di Giancarlo Galan - già governatore del Veneto - l’ex sottosegretario è pronto ad aprire una succursale del suo movimento anche in Padania. Con poca originalità la nuova formazione si chiamerà Grande Nord. «Il sogno - racconta uno dei suoi fedelissimi - è riuscire un giorno a unire le due realtà e creare Grande Italia». Fantapolitica? Tutt’altro. Stando alle voci che girano a Montecitorio il progetto di Miccichè è estremamente concreto. E per ora si muove su due piani. A livello locale i deputati arancioni stanno preparando, d’accordo con Galan, una lista veronese per appoggiare il sindaco Flavio Tosi. A livello nazionale si sta studiando la possibilità di far nascere un nuovo gruppo alla Camera.
L’iniziativa veneta è nata proprio da un’idea di Miccichè e Galan. «L’ex ministro - racconta un deputato che lo conosce bene - ragionava da tempo sull’ipotesi di presentare liste civiche alle amministrative di maggio. Questo progetto di una lista veronese alternativa al Pdl non mi stupisce. Lui e Miccichè sono grandi amici». L’obiettivo è quello di anticipare i berlusconiani locali - già divisi dai litigi nell’ultimo congresso provinciale e ufficialmente ancora in cerca di un proprio candidato - e sostenere la conferma a sindaco di Flavio Tosi. «In questo modo - racconta un esponente di Grande Sud - sfileremo al partito di Alfano gran parte dei dirigenti locali. Che sono quasi tutti filo-tosiani». Galan, da parte sua, ha un’ottima intesa con il sindaco leghista e continua sul territorio la guerra con l'ex ministro al Welfare Maurizio Sacconi, che prima dei congressi del Pdl aveva stretto un'alleanza con il coordinatore regionale Alberto Giorgetti proprio in chiave anti ex ministro della Cultura. L’ex governatore lo ha anche detto espressamente in un’intervista della scorsa settimana al quotidiano Nordest. Al giornalista che gli chiedeva chi vorrebbe avere al suo fianco in un consiglio di amministrazione, ha risposto senza dubbi: «Cacciari e Tosi». Insomma, a Verona le truppe galaniane sarebbero più che disposte ad appoggiare il sindaco della Lega.
Al momento si stanno ancora studiando i dettagli dell’accordo. A seguire il dossier sono l’ex senatore Paolo Danieli, il vicesindaco di Verona Vito Giacino e il deputato - salernitano di nascita ma veronese d’adozione - Gerardo Soglia. Le uniche complicazioni potrebbero arrivare dai malumori della Lega. Da tempo, infatti, il cerchio magico di Umberto Bossi continua a remare contro la presentazione di una lista civica di Tosi in vista del congresso nazionale del Carroccio in giugno. L'allontamento da parte di Roberto Calderoli dalla vicepresidenza del parlamento della Padania è lì a dimostrarlo.
Sull’intesa con il sindaco leghista si fondano le mire espansionistiche di Miccichè. Se Verona offre una grande vetrina mediatica, il sogno è quello di presentare le liste di Grande Nord in tutto il Veneto. Da questo punto di vista l’ex sottosegretario potrebbe trovare una sponda importante in alcuni deputati del posto. Gli ex Pdl Fabio Gava e Giustina Mistrello Destro, usciti dal partito di Berlusconi lo scorso autunno e oggi vicini alle posizioni di Luca Cordero di Montezemolo.
Del resto, il canale tra Miccichè e i fuoriusciti berlusconiani è già aperto. Qualche tempo fa l’ex sottosegretario siciliano li ha contattati per dar vita all’idea Grande Nord anche in Parlamento. Il progetto è semplice: riunire dieci deputati meridionali e dieci settentrionali per formare il gruppo di Grande Italia alla Camera. L’iniziativa è in stand by: i numeri non sono ancora sufficienti. Grande Sud è fermo a nove parlamentari. Mentre Gava e Destro hanno raccolto - nella componente Liberali per l’Italia del gruppo misto - altri tre colleghi.
Eppure la formazione dei due veneti filo-montezemoliani è destinata a crescere. A breve dovrebbero aderire alla componente il Responsabile Roberto Marmo e il neodeputato Angelo Santori: entrato alla Camera da poche settimane in sostituzione del pidiellino Giulio Marini (che al seggio di Montecitorio ha preferito la poltrona di sindaco di Viterbo). Non è tutto. Stando alle indiscrezioni che girano a Palazzo potrebbero presto far parte della formazione altri deputati berlusconiani. Gente come Giorgio Stracquadanio e Isabella Bertolini, che con Gava e Destro hanno firmato lo scorso autunno la famosa lettera in cui si chiedeva un passo indietro a Berlusconi.
Risolto (?) il problema dei numeri, il progetto di Grande Italia rischia di arenarsi per questioni politiche. Convinti sostenitori del governo tecnico, sembra che i veneti di Liberali per l’Italia non gradiscano troppo i continui distinguo da Mario Monti degli uomini di Grande Sud.

sabato 18 febbraio 2012

Sanremo, un festival zeppo di “compagni”...


Sanremo, un festival zeppo di “compagni”...
Girolamo Fragalà

Un Festival rosso che più rosso non si può. Non per i fiori che da anni rendono magica l’atmosfera di Sanremo, ma per gli artisti in gara, la maggior parte dei quali della “parte giusta”: di sinistra e con una buona dose di antiberlusconismo nel sangue. A cominciare da Arisa che, nei giorni difficili della crisi di governo, fu ospite nella trasmissione di Radio2 “Un giorno da pecora” e rispose in modo non certo elegante alla domanda sulla possibile uscita di scena del Cavaliere: «Chi se ne frega di come se ne andrà, l’importante è che se ne vada». È bastata questa battuta per entrare nel cuore dei radical chic ed essere considerata «intellettuale», proprio lei che cantava “E fare e rifare l’amore per ore, per ore, per ore”. Per non parlare poi di Samuele Bersani che, in un’intervista, raccontò così la sua storia: «Io vengo da una famiglia di sinistra. I miei erano due “compagni” negli anni Settanta in Romagna. In questo momento farsi sinceramente fatica a sposare un partito. Non voterò mai Berlusconi». Eugenio Finardi? Grazie al singolo “Musica ribelle” – che fu una sorta di inno storico nel periodo della contestazione studentesca degli anni Settanta – fu considerato come uno dei cantori della nuova sinistra, dalla quale veniva spesso invitato a concerti e manifestazioni di lotta. Si è ritrovato sul palco dell’Ariston chiamato da un altro “compagno”, Gianni Morandi. Irene Fornaciari, invece, è la figlia di Zucchero, che ammise candidamente di essere cresciuto a pane e “Bandiera rossa”. Scontato l’accenno a Emma, che partecipò alla manifestazione neofemminista di “Se non ora quando?” e che su Oggi.tv, alla domanda “Se Berlusconi ti invita a cantare a una delle sue feste?”, ha risposto: «Preferisco le feste allargate in piazza, ovvero i miei concerti». Loredana Bertè non ha mai nascosto le simpatie per Rifondazione comunista e il Che. Nina Zilli è stata la star acchiappapresenza della grande manifestazione targata Pd contro il Cav. A rendere meno rosso il festival, Gigi D’Alessio, Francesco Renga e i Matia Bazar. Pochi ma buoni.

venerdì 17 febbraio 2012

Giarda: "Ministeri al nord non più operativi" Gli edifici già restituiti ai proprietari



Le sedi distaccate di Semplificazione e Riforme aperte a Monza sono state chiuse con l'arrivo di Monti; dismesse le utenze e riconsegnati gli immobili. La presidenza del Consiglio non farà ricorso contro il tribunale che aveva già bocciato le "delegazioni". Calderoli protesta

ROMA - Il ministro Piero Giarda parla alla Camera rispondendo a un'interrogazione dell'Idv e mette la parola fine alla vicenda delle sedi distaccate dei ministeri1 della Semplificazione e delle Riforme nella Reggia di Monza. Inaugurati in pompa magna, con grande spolvero di ministri leghisti e Pdl, gli "uffici" distaccati sono stati oggetto di polemiche e indagini 2 per una vicenda che, non fosse per i costi, si è rivelata una farsa.

"Entrambe sono state chiuse con la nascita del governo Monti", ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, aggiungendo che "la presidenza del Consiglio è stata condannata il 9 novembre per comportamento antisindacale per l'apertura di queste sedi e lo scorso 9 febbraio sempre Palazzo Chigi ha rinunciato ad opporsi a questo decreto del Tribunale di Roma". Il motivo, ha spiega Giarda è che "nel frattempo è cessata l'operatività delle sedi".

Nessuna opposizione. Giarda ha spiegato che il governo considera "cessata la ritenuta condotta antisindacale" in quanto "le sedi sono di fatto non più operative dal momento dell'insediamento del governo Monti". Giarda ha detto che sono state dismesse le utenze, sono stati ritirati i beni immobili che erano stati messi a disposizione e l'immobile è rientrato nella "piena disponibilità" del proprietario.

Il ministro ha anche osservato che "nessuna unità di ruolo di comando o comandata ha mai preso servizio presso le sedi distaccate dei dicasteri". Quindi Palazzo Chigi ha dato esecuzione alla sentenza del Tribunale dopo aver sentito le organizzazioni sindacali anche perché la sentenza non aveva disposto la chiusura delle sedi, ma aveva solo rilevato il comportamento non corretto rispetto alle rappresentanze dei lavoratori da parte della presidenza del Consiglio.

Calderoli: "Ci tolgono rappresentanza". Polemica la reazione del coordinatore delle segreterie nazionali della Lega Nord, l'ex ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, uno dei presenti all'inaugurazione degli uffici ministeriali in Brianza: "Questo Governo ancora una volta prende a schiaffi il Nord privandolo di quella minima rappresentatività derivante dai ministeri decentrati di Monza: del resto - ha aggiunto Calderoli - non c'era altro da aspettarsi da un presidente come Mario Monti, nato in provincia di Varese, residente a Milano, che dichiara di abitare a Roma e a Bruxelles, rinnegando pubblicamente le proprie origini. La chiusura delle sedi ministeriali di Monza è l'ultima goccia che il popolo del Nord ha dovuto subire: d'ora in poi sarà guerra senza quartiere".

mercoledì 15 febbraio 2012

L’ITALIA ENTRA NEL PROGRAMMA



– L’F-35 viene realizzato in tre versioni: una “normale”, una imbarcata (per le grosse portaerei) e una STOVL (decollo corto e atterraggio verticale, per i Marines e per le piccole portaerei). Le forze aeree italiane stanno introducendo in servizio il caccia EF-2000 Typhoon (Eurofighter) destinato a compiti di difesa aerea. Nei prossimi anni dovranno sostituire la propria linea da attacco, rappresentata dai Tornado e dagli AMX, nonché i cacciabombardieri STOVL Harrier II imbarcati su portaerei. Per sostituire gli Harrier II non esiste alternativa: l’unico caccia STOVL disponibile è proprio l’F-35. A quel punto, visto che l’F-35 nelle sue varie versioni è in grado di sostituire anche i Tornado e AMX, la decisione più logica è stata quella di acquisire un unico modello per rimpiazzare ben tre aerei diversi. In questo modo si può ridurre il numero complessivo di aerei e semplificare notevolmente le spese di gestione e manutenzione, ridurre le scorte di parti di ricambio, uniformare l’addestramento e così via. In termini economici, si tratta di risparmi notevoli. Teoricamente ci sarebbero da sostituire circa 200 – 220 aerei, ma la Difesa ritiene che un centinaio di F-35 o poco più dovrebbero bastare. A questo punto, piuttosto che acquistare un centinaio di F-35 al “prezzo di listino”, senza ritorni industriali e tecnologici, l’Italia decise di entrare nel programma di sviluppo con un investimento iniziale di circa un miliardo di dollari e l’apertura di uno stabilimento di produzione e manutenzione a Novara, presso la base aerea di Cameri.
UN OTTIMO AFFARE “ECONOMICO”…- Questo significa che l’industria italiana otterrà profitti non solo dall’acquisto dei velivoli italiani, ma anche da tutte le vendite ed esportazioni che interessano l’F-35, nonché dalla manutenzione dei velivoli italiani e stranieri. Considerato chel’F-35 ha un mercato sicuro (non esistono altri velivoli concorrenti) di varie migliaia di “pezzi” nel mondo, sono tutti soldi che ritornano in Italia. La quota di partecipazione italiana è pari al 5 % ed il rientro è proporzionato a quella quota. Il prezzo finale di un singolo F-35 non è ancora noto e varierà nel tempo (l’aumento del ritmo produttivo determinerà una diminuzione dei costi per esemplare) ma è valutato intorno ai 60-70 milioni di dollari. Il carniere di ordini già oggi supera le 3000 unità, pari a oltre 200 miliardi di dollari, il 5 % dei quali (10 miliardi) è quindi destinato a finire in Italia. Conti alla mano, gli investimenti iniziali e le spese di acquisto per i velivoli italiani saranno abbondantemente coperti da questo ritorno, per non parlare delle ricadute in termini di occupazione e di trasferimento di tecnologie avanzate. A tutto questo andranno aggiunti i profitti ottenuti dalla manutenzione degli F-35 esportati in Europa e in vari paesi nel mondo, che farà capo allo stabilimento di Cameri. In termini economici, comunque si guardi la questione, la partecipazione italiana al programma F-35 costituisce un ottimo affare.
..E UNO STRUMENTO MILITARE “NECESSARIO” – L’ F-35 è un aereo “nucleare”,ma non più degli altri: qualsiasi aereo può trasportare bombe nucleari: basta agganciarle. Per assicurarne la corretta gestione è però necessario che il software dell’aereo siaopportunamente programmato. I Tornado italiani, ad esempio, sono predisposti all’utilizzo di armi nucleari, mentre quelli operati dall’Arabia Saudita non lo sono. La possibilità di impiegare o meno armi nucleari non dipende quindi dal modello di velivolo, ma da decisioni di natura politica e militare. Al momento non risulta che l’Italia intenda implementare capacità di attacco nucleare sui suoi F-35 ma è tra gli “aventi diritto” nel caso ritenesse di farlo (in quanto membro NATO). In compenso, se vogliamo uno strumento militare credibile, l’F-35 ci serve. A meno che non riteniamo di poter fare a meno delle portaerei e della capacità di fornire supporto aereo ai militari impegnati in missioni internazionali.

domenica 12 febbraio 2012

I SOLDI SPARITI AD AN? CHIEDI A GIANFRY!




Tratto da "IL GIORNALE"
di Gian Marco Chiocci e Patricia Tagliaferri
I 26 milioni sotto la lente dei pm furono gestiti dai fedelissimi: al leader una Bmw, consulenze alla sua segretaria. Anomalie e buchi neri, spunta una casa di Alemanno
Roma - E se i 26 milioni di euro «spariti» dal patrimonio di Alleanza nazionale in realtà non fossero mai spariti? E se la denuncia della segretaria di Fini si rivelasse un boomerang? Qualche dubbio effettivamente viene spulciando i bilanci, gli atti dei tribunali e le segrete spese del partito-associazione di via della Scrofa.
Il primo dato curioso è che se un calo delle disponibilità patrimoniale di An c’è stato, ciò è avvenuto quando tutto era gestito, a livello di presidenza, dagli uomini più fidati di Gianfranco Fini. Al vertice del comitato dei Garanti c’era Donato Lamorte. A capo del comitato di Gestione figurava Franco Pontone che come vice contava sull’assistente del presidente della Camera. A che pro, allora, l’esposto in procura?

I CONTI TORNANO
A sfogliare una dettagliata memoria dei senatori Franco Mugnai (succeduto a Pontone) e Giuseppe Valentino i soldi ci sarebbero tutti, documentati al centesimo, voce per voce. Basta saper leggere atti e bilanci, approvati dai comitati presieduti dai tre finiani, con l’aggiunta di Enzo Raisi, oggi nel Fli: un milione e 300mila quali «oneri personale», 2 milioni e 700mila per «locazione e transazione per risoluzione contratti» (onnicomprensivi della riconsegna ai proprietari di 107 sedi), più di 3milioni e mezzo per congressi 2009, 2milioni e mezzo di «interessi passivi su cartolarizzazione/contributi elezioni politiche 2008», 3 milioni e rotti per rimborsi elettorali 2008, 1 e mezzo quale «accantonamento fondo donne alle politiche», 4 e mezzo alla voce «ammortamenti annuali», oltre 2 milioni di «rinunce crediti verso società controllate», 2milioni 300mila per «contributi elezioni 2008/10», quasi 5 milioni per oneri di «gestione straordinaria 2009/10» eccetera eccetera. Il totale fa 26 milioni di euro, onnicomprensivo dei 4 milioni e 800mila spesi a partire dall’ottobre 2010, quando cioè il senatore Mugnai è subentrato a Pontone dimissionario imbarazzato per Montecarlo. E allora? «Questi soldi sono in realtà un semplice saldo algebrico - spiegano Mugnai e Valentino - e cioè la differenza fra quanto era nella disponibilità di An al marzo 2009 come patrimonio e quanto è stato poi accertato e documentato a far data dal 18 novembre 2011, data di costituzione della fondazione».

I REVISORI DI GIANFRY
La guerra dei soldi tra ex An-Pdl ed ex An-Fli non era ovviamente ancora scoppiata all’ultimo congresso del marzo 2009 nel quale si decise all’unanimità che An, associazione di fatto non riconosciuta che agiva in forma di partito, cessava la sua funzione per entrare nel Pdl. «Morto» il partito, l’associazione restava viva fino al 31 dicembre 2011 (data di costituzione della Fondazione) per gestire ciò che riguardava An in senso ideale e materiale. Tutti d’accordo, anche i finiani. In vista della Fondazione, si costituiscono due organismi: il comitato dei garanti e il comitato di gestione che dovrebbero operare in una sorta di amministrazione duale anche con progetti di medio periodo per migliorare e sostenere il patrimonio di An. Tutto procede bene, senza intoppi contabili anche perché la gestione del patrimonio viene dichiarata «ok» col placet di attenti revisori contabili molto vicini a Fini, come Italo Ricciotti. Tant’è. Col divorzio da Berlusconi, gli ex An-Fli iniziano a battere cassa agli ex An-Pdl, dimenticandosi di quali fossero le determinazioni prese all’unanimità dall’ultimo congresso. In sede civile prima Rita Marino e il deputato Antonio Buonfiglio, poi quest’ultimo insieme a Raisi, chiedono al tribunale di vigilare sul patrimonio. La prima volta i ricorrenti perdono, la seconda, l’altro ieri, ottengono la nomina dei commissari liquidatori che difatto impediscono ai «nominati» dal congresso di disporre dei beni di An (vedi articolo sotto).

LE CONSULENZE DI RITA
Ma c’è di più. La segretaria di Fini finisce, lei stessa, al centro di una questione economicamente spinosa. Promuove un’azione ingiuntiva nei confronti di An per il pagamento di 21mila euro di arretrati per un’attività di consulenza (nel 2007 era di 2.500 euro mensili, cresciuti fino a 5mila nel 2011) dovuti alla sua attività di consulenza con An e al suo ruolo di vice di Pontone. Dal partito rispondono picche, non solo perché nessun membro dei due comitati percepisce un euro di stipendio ma perché le fanno presente che oltre a essere la segretaria di un leader politico di un diverso partito, da tre anni (dal 2008) non lavora più al partito bensì alla Camera, nelle stanze del Presidente.
Due stipendi sono troppi.

AUTO E AUTISTI PER IL CAPO
A qualche spesa fuori posto i componenti dei due comitati avevano preferito passarci sopra. C’era quell’auto del partito, una bella Bmw 740, utilizzata non si capisce a quale titolo da Fini fino a quando il Giornale non lo obbligò a riconsegnarla in via della Scrofa. Lamorte ironizzò sul nostro scoop, anche se pure lui, viene fatto oggi notare, utilizzava un’auto destinata al partito. Dimenticavamo: Fini utilizzava impropriamente anche gli autisti del partito.

giovedì 2 febbraio 2012

Oscar Luigi Scalfaro




E morto Oscar Luigi Scalfaro. Come già per Giorgio Bocca possiamo immaginare la classica santificazione post-mortem che, il tipico tempismo italiota, investirà anche questo padre della (loro) patria. Per questo ripubblichiamo due vecchi articoli di giornale per inquadrarne un pò meglio le origini ed i meriti che sono valsi a quest’uomo i tanti onori che gli verranno oggi tributati.
Oscar Luigi Scalfaro: da P.M., mandò al muro 8 persone
di Paolo Pisanò
Sono otto, salvo conguaglio, le condanne a morte di fascisti,chieste ed ottenute, dal pubblico ministero Oscar Luigi Scalfaro, con i suoi colleghi del tribunale del popolo, e della Corte d’Assise Straordinaria di Novara, dopo il 25 aprile 1945. Ciò, a dispetto della biografia ufficiale dellattuale presidente della Repubblica, diffusa subito dopo la sua ascesa al Colle, che parla invece dello Scalfaro di cinquant’anni or sono, come di un giovane magistrato sbalzato in Corte d’Assise a soli 26 anni, che si trovò alle prese, suo malgrado,con il caso di un solo imputato per il quale secondo la legge allora in vigore, la condanna a morte era inevitabile
E Scalfaro fu costretto a chiederla, ma non rinunciò ad esternare ai giudici il suo tormento, chiudendo la sua arringa con queste parole: A questo punto, però, il pubblico ministero rende noto alla corte che non crede nella pena di morte.
E c’è anche il lieto fine; limputato, condannato alla fucilazione,venne poi graziato, e la condanna non ebbe mai luogo. Fin qui la favola presidenziale. Ma la realtà è un po’ diversa.
Ecco infatti le tappe salienti della carriera del magistrato Scalfaro, ricostruite in base ai fatti certi che siamo in grado di documentare:
1943 - Il futuro presidente della Repubblica entra in magistratura durante l’ultimo fascismo.
1°Maggio 1945 - Lungi dall’essere sbalzato in Corte d’Assise suo malgrado, Oscar Luigi Scalfaro assume volontariamente la carica (politica, lottizzata dal CLN locale), di vice presidente del tribunale del popolo di Novara.
13 Giugno 1945 - Sostituiti i tribunali del popolo con le CAS Corti d’Assise Straordinarie,nell’opera di pulizia antifascista, Oscar Luigi Scalfaro passa a fare il Pubblico Ministero presso la CAS di Novara, e sostiene con altri due colleghi, l’accusa nel processo contro Enrico Vezzalini, soldato valoroso e pluridecorato, fascista integerrimo e fedele fino all’estremo ai suoi ideali, già capo della Provincia di Novara durante la RSI. Basti pensare che durante il clima di linciaggio di quei giorni, il cronista de La Voce del Popolo di Novara, il 14 giugno 1945, tratteggia la figura di Vezzalini mescolando alla faziosità più scontata anche queste annotazioni. E’ un lottatore fortissimo..Ha un ingegno superiore alla media Non è un cieco sanguinario, non un manigoldo, non un losco..Supera tutti i suoi per innegabili qualità personali..Era un tribuno avvincente e un profondo conoscitore delle passioni popolari:nessuno dimenticherà infatti gli applausi riscossi in un teatro cittadino con un’astuta tirata contro gli industriali
15 e 28 Giugno 1945 – L’ufficio del pubblico ministero ottiene la condanna a morte di Enrico Vezzalini e di altri cinque fascisti: Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno e Raffaele Infante. Condanne eseguite all’ alba del 23 settembre 1945. Il cronista de La Voce del Popolo annota: Vezzalini non smentì se stesso fino all’ultimo
A questo punto, Oscar Luigi Scalfaro ha già chiesto o contribuito a chiedere e ottenere la condanna di almeno sei persone.
16 Luglio 1945 - Settima vittoria dell’accusa antifascista a Novara: il Pubblico Ministero chiede e ottiene la morte di Giovanni Pompa, 42 anni, già appartenente alla Guardia Nazionale Repubblicana. Sentenza eseguita il 21 ottobre 1945.
12 Dicembre 1945 - Sono trascorsi quasi otto mesi dalla Liberazione, ma la sete di giustizia capitale in Oscar Luigi Scalfaro, che pure ha già visto scorrere il sangue della vendetta politica, non si è placata:lo zelante magistrato chiede ed ottiene la condannate di un ottavo fascista, Salvatore Zurlo. Dal Corriere di Novara del 19 dicembre 1945: Il PM Scalfaro parla con vigoria ed efficacia che lo fanno ascoltare senza impazienza dal pubblico che partecipa alle considerazioni dell’egregio magistrato con frequenti assensi.Il PM, dopo la chiarissima requisitoria conclude domandando la pena di morte per lo Zurlo, e il pubblico esprime la sua approvazione e con sentimento.
E questo, che strappa perfino l’applauso a un pubblico ancora inebriato di morte, sarebbe il giovane magistrato pieno di dubbi e di tormenti sbalzato in Corte d’Assise suo malgrado, come vorrebbe farci credere l’icona presidenziale di cinquant’anni dopo?
L’unica verità del quadretto postumo, è che di lì a poco,il ripristinoi della legalità vera, consentì un processo d’appello e che la sentenza di morte contro lo Zurlo (non la prima e l’ultima, ma l’ottava),almeno di quelli che siamo in grado di confermare a dispetto delle lacune delle fonti dopo mezzo secolo) fu annullata.
2 Giugno 1946 - Almeno otto condanne a morte ottenute, sette eseguite nell’arco di otto mesi, costituiscono per un pubblico accusatore agli esordi un successo superiore alle possibilità di carriera offerte da un tribunale di provincia.
Oscar Luigi Scalfaro, brillante inquisitore da tribunale del popolo si è ormai messo in luce abbastanza per tentare le vie della politica, candidandosi con successo all’Assemblea Costituente e, pur senza abbandonare la magistratura con relative prebende, avviarsi verso la gloria di Roma.
(Fonte: Il Giornale, 1995)


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La verità sul partigiano Oscar Luigi Scalfaro
di Paolo Granzotto
(Domanda) Caro Granzotto, nei ludi cartacei celebrativi la figura di Oriana Fallaci, giornalista che stimo ma non ammiro per i suoi trascorsi di esponente di punta del radicalismo chic antiamericano solo in tarda età riscattati dalla veemenza con la quale ha denunciato lo scontro di civiltà e messo in guardia contro il pericolo islamico, è stato posto laccento sulla sua partecipazione alla lotta partigiana. Alla quale la giornalista, al tempo poco più che bimba, avrebbe partecipato nella funzione di «osservatrice». A ben vedere di partigiani doc, quelli col Tomphson sotto il braccio, se ne conterebbero pochissimi. Il grosso è rappresentato da «staffette», «vedette», «vivandiere», «portaordini» ed altre attività irrilevanti, fino a quella che può vantare il presidente onorario della Repubblica e della Associazione Nazionale Partigiani Oscar Luigi Scalfaro. Se non sbaglio lei scrisse che il contributo di Scalfaro alla guerra di Liberazione si limiterebbe ad aver messo temporaneamente a disposizione di una banda partigiana dei locali della Azione Cattolica di Novara. Le chiedo: date le premesse, mio padre titolare di una autofficina che ai primi del 1944 riparò, con pecetta di gomma e mastice, il pneumatico di un motofurgone che poi si seppe era stato utilizzato da un gruppo di partigiani per trasferirsi sulle alture sopra Arezzo, ha diritto a dirsi partigiano anche lui?
(Risposta) Pieno diritto, caro Bellin. Può anche inoltrare domanda per una medaglia. Come lei saprà, un mese circa addietro, ovvero sessantacinque anni dopo i sedicenti fatti, il Presidente Napolitano ne appuntò una «al merito per la lotta antifascista» sul gonfalone della città di Bari. Pertanto dica pure a suo padre di farsi sotto: non è mai troppo tardi per entrare nel pantheon degli eroici combattenti per la libertà. Visto che siamo in argomento vorrei rettificare una mia inesattezza. Scrissi, è vero, che lunico gesto di Oscar Luigi Scalfaro riconducibile alla Resistenza fu quello di ospitare un drappello di partigiani in un locale della Azione Cattolica. Non è così o quanto meno non solo così. Grazie a Pierangelo Maurizio e Giorgio Mulè, autori di un servizio televisivo andato in onda su Kosmos, Rete 4, ho appreso che di ben altro pondo fu il suo contributo alla lotta antifascista. Lonorario presidente ha rivelato infatti che subito dopo la fine della guerra si ritrovò ad essere «consulente tecnico-giuridico» dei «tribunali militari dei partigiani». Per la verità non erano tribunali, ma anticamere di mattatoi: limputato non aveva diritto alla difesa, non poteva nemmeno prendere la parola. Giorgio Bocca assicura che con giudizio sommario - il dibattimento durava in media una decina di minuti - furono mandati a morte tra i 12 e i 15mila «nemici del popolo». Secondo Giorgio Pisanò furono non meno di 40mila. Ecco dunque qual è lapporto di Scalfaro alla lotta di Liberazione: laver dato il proprio contributo tecnico e giuridico a quella bella prova di giustizia partigiana. Una giustizia così schifosa, così ripugnante da indurre il Comando Alleato ad ordinare (comandavano loro, gli Alleati, non i «liberatori» del Cln) che quelle corti cessassero lattività e venissero sostituite con regolari Corte dAssise.
Il reclutamento di quanti avrebbero dovuto comporle - tutti volontari - andò però a rilento: per ancora sei mesi la Corte avrebbe applicato infatti il Codice di guerra che prevedeva la pena di morte ed erano pochi i magistrati disposti a seguitare, seppure con tutti i crismi della legalità, la mattanza. Si ricorse così agli incentivi, sottoforma di consistenti scatti di carriera. Difficile credere che ciò influenzò la scelta di Oscar Luigi Scalfaro: troppo saldo è il suo senso morale e civile per decidere in base al personale tornaconto. Probabilmente giocò, nella sua scelta, la fruttuosa esperienza coi tribunali del popolo. Fatto sta che si ritrovò Pubblico ministero presso la Corte Straordinaria di Assise di Novara. E in quel ruolo chiese ed ottenne la pena capitale - fucilazione - per sei disgraziati colpevoli di «collaborazione con il tedesco invasore». Sei. Che allalba del giorno venuto - 28 giugno 1945 - andò ad abbracciare, uno per uno. In quanto, racconta, ci aveva un magone grosso così. Avrebbe avuto tre buoni motivi per non farselo venire: rifiutando di far parte di quella Corte, non richiedendo la pena di morte o trovando un cavillo - figurarsi se mancava - per protrarre la sentenza in attesa che di lì a qualche settimana decadesse il Codice di guerra. Ma lui, niente. Al muro, tutti e sei. Diverso tempo dopo la figlia di uno dei condannati a morte gli scrisse chiedendogli: ma mio padre era davvero colpevole? E Scalfaro le rispose: «Stia tranquilla, perch´ suo padre dal Paradiso pregherà per lei». Capito caro Bellin? Roba che ti vien voglia di passare coi talebani. (Paolo Granzotto)
(Fonte: Il Giornale - 21 Ottobre 2006)