domenica 19 aprile 2009

LA VIA DELL'ONORE

"...Percorri soltanto le vie indicate dall’onore. Lotta e non essere mai vile. Lascia agli altri le vie dell’infamia: Piuttosto che vincere per mezzo di un’infamia, meglio cadere lottando sulla strada dell’onore..."
(Cornelio Zelea Codreanu "Il capitano")

martedì 14 aprile 2009

IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO

di Annalisa Mancini, 06.04.2009



Approvato a larga maggioranza durante il Consiglio Comunale dello scorso 31 marzo il piano delle opere per il triennio 2009-2011 del Comune di Lazise, che nel 2011 prevede – tra l’altro – la ristrutturazione urbanistica dell’edificio comunale di Via Roma (le ex scuole elementari, per capirsi). Dai documenti che descrivono il programma triennale delle opere pubbliche si evince che lo scopo della ristrutturazione urbanistica è la “realizzazione del Centro Civico e di Uffici con realizzazione e cessione alloggi privati”.

Le ex scuole di Via Roma sono al momento un edificio decadente il cui uso quotidiano è stato concesso alle associazione che animano il paese (Avis, Aido, Gruppo Ricamo della Parrocchia, Abibò, Associazione Arlecchino, Amici della bicicletta Garda-Baldo, eccetera) per le riunioni e le attività associative.
Con l'approvazione del nuovo Piano delle opere, l'Amministrazione di Lazise concede l'edificio in cambio della realizzazione di strutture per uso pubblico, limitando così l'utilizzo di risorse finanziarie del Comune. Questo scambio si chiama in gergo tecnico project financing e prevede che un ente locale possa cedere ad un privato parte del terreno su cui sorge un edificio pubblico ottenendone in cambio la ristrutturazione. Per il Comune di Lazise – che in questo caso ci guadagnerebbe una sala civica - il prezzo dello scambio è la cessione al privato di una percentuale dell’immobile per edificare appartamenti.

Rimane da chiedersi se la percentuale che rimarrà di uso pubblico potrà soddisfare le esigenze di aggregazione dei cittadini di Lazise: alcuni potrebbero sostenere che anche solo una piccola percentuale della cubatura dell’immobile possa essere più che sufficiente per una sala civica e una biblioteca a Lazise, altri potrebbero pensare che si tratta dell’ennesima “svendita” di patrimonio pubblico a privati. Alcuni potrebbero sostenere che è sempre meglio vedere un bel residence ristrutturato con annessa sala civica piuttosto che un edificio decadente e utilizzato solo per le Associazioni del territorio, altri al contrario potrebbero pensare che si tratta del fallimento dell’Amministrazione Comunale, che perde parte del patrimonio dei cittadini e non è interessata a gestire direttamente un luogo di aggregazione sociale e offerta culturale.

Il Piano delle opere di un’amministrazione comunale viene approvato ogni anno e nulla vieta che l’anno prossimo le priorità e quindi le decisioni sul futuro delle ex scuole di Via Roma subiscano delle modifiche; però la cifra individuata per il project financing (5.300.000 Euro) è così precisa da far pensare che possa esistere già ad oggi uno studio di fattibilità.
Il Consiglio Comunale, inoltre, non ha accolto un emendamento proposto dal consigliere di minoranza Eugenio Azzali (PD), che prevedeva l'esecuzione delle ristrutturazione già nel corso del 2009 con assunzione di mutuo trentennale di 3.000.000 Euro con rata annuale di 174.000 Euro circa, facilmente finanziabili secondo Azzali dalle entrate correnti.

Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto il presente ci dice che Lazise è uno dei cinque comuni di tutta la provincia di Verona che non ha una biblioteca. Anche i piccoli e sperduti comuni di Cerro Veronese e Marano di Valpolicella ne hanno una…

OSPEDALE BUSSOLENGO

Del nostro disagio sanitario

di Marco Anderle, -



E’ l’una del 20 marzo, nella sala d’attesa del Pronto soccorso dell’ospedale di Bussolengo sostano mortificate una trentina di persone, i più fortunati seduti, gli altri in piedi. “Ci scusiamo per il disagio, ma c’è un medico solo”.

Ho portato un panino imbottito a mia madre, lì ad aspettare notizie della nonna sotto accertamenti dalle dieci e mezza. “Se andrà bene verrà parcheggiata in astanteria – mi spiega – non ci sono posti in reparto”. Non ci sono mai posti. In nessun ospedale di Verona e provincia, tanto che si sente di malati spintisi fino in Trentino, o in Lombardia.

Un’infermiera di passaggio vede il trambusto nella sala e accenna: “Taglieranno ancora…”. I politici ridurranno di nuovo le risorse, intende dire il camice verdeazzurro. Veniamo da una notte all’astanteria del Punto di primo intervento di Caprino, dopo l’ennesima emergenza. Il rito è lo stesso di sempre: a Caprino fanno le prime analisi, ma mancano macchinari o medici specialisti e si viene immancabilmente spediti all’Orlandi di Bussolengo, il vero Pronto soccorso delle vicinanze, giunto alla crisi.

Quand’anche risalenti a poco prima, le analisi di Caprino vengono rifatte a Bussolengo, e la nonna che ha le ossa accartocciate e la morte a un palmo di mano non se n’è mai lamentata, non ne ha più la forza. In tre anni di andirivieni ospedalieri m’è parso di capire che questi due presidi della stessa Ulss, la 22, siano perfetti sconosciuti. Non c’è intesa. Ho visto documenti clinici perdersi nei trasferimenti, medici che stentano a comunicare con i colleghi dell’altro ospedale, ridondanze burocratiche e tante occasioni di sinergia sprecate. Nei casi in cui il tempo è una discriminante, l’inefficienza del collegamento fra un Punto di primo intervento e l’altisonante “polo” ospedaliero bussolenghese mette letteralmente a repentaglio la vita dei malati.

Arrivano le sei del pomeriggio, la nonna è ancora nel corridoio interno al Pronto soccorso, dove non ci hanno fatto entrare. Mia madre è esausta, ha alle spalle una notte insonne e troppi calvari. In sala d’attesa continua la confusione e tra le facce avvilite molte sono le stesse di stamattina. Sembra la scena d’un film documentario, uno che non credevo potesse trovare ambientazione nel Veneto, in territorio veronese.

I dottori e gli infermieri presenti corrono come forsennati (se ne trovano di squisiti, capaci e generosi, ma non mancano gli scontrosi, i poco professionali, gli sgarbati). Strappo loro commenti sparsi: “Purtroppo le risorse sono ridotte all’osso… Bussolengo è arrivato a servire un bacino enorme senza averne i mezzi, e non ci sono posti letto”. Adesso capisco perché sono stressati fino al midollo. Non hanno il tempo per andare al bagno ad orinare. Così affaticati, non c’è da stupirsi se faranno degli errori. Il medico di turno questa mattina non ha neanche pranzato, si è trattenuto oltre orario per servire una bimba sull'orlo dello svenimento dopo quattro ore che aspettava con un taglio al dito.

Il personale ospedaliero, quindi, altrettanto vittima di un “sistema” sbagliato, contaminato da certa politica e da certa comunicazione. E’ il sistema che sfugge alle colpe rimbalzandole da una testa all’altra, rimpolpa l’utenza di notizie scelte, sottrae all’agenda sociale ciò che gli è scomodo affrontare. I cittadini, dal canto loro, tollerano. Piangono lamenti soffusi, colpevoli per aver aspettato di sbatterci il muso, prima di interessarsi della situazione. E pur scottati dai disagi, troppi restano in silenzio, intrappolati nell’ignoranza e nella paura. Altri, stremati dal proprio sconforto e dalla delusione, non battono ciglio. E la situazione deteriora.

“Senza un parente che ti vien dietro e lotta per farsi intendere, sei spacciato qua dentro!”, ripetono tutti. La donna straordinaria che mi cuciva sciarpe di lana e cucinava torte alle mele è stata rannicchiata su una lettiga tutto il giorno, senza poterci vedere. Speriamo almeno che la portino in quella maledetta astanteria. Arrivano le sette, nessuna notizia. Non si riesce a sfogare la preoccupazione. Siamo troppo stanchi.

Domenica 22 marzo. Per la nonna è il terzo giorno di astanteria, limbo dove s’ammassano i pazienti nella vana speranza che si liberi un posto in reparto. La porta automatica fa corrente, la stanza è angusta e grigia, con tre letti appiccicati che rubano l’aria e la dignità. “Non si può lasciar morire in questo buco”, borbotto a mia madre, poi esco in cortile per piangere. Con tutto quel che soffre, ieri per giunta aveva il fondoschiena sanguinante: non ci sono i materassi anti-decupito in questo sgabuzzino da appestati. Al familiare che assiste il proprio caro per la notte viene fornita una sedia a sdraio, che a malapena s’incastra fra i letti; non ci sono coperte a sufficienza per tutti però, e bisogna arrangiarsi.

Sono passati venti giorni dall’ultima volta che la nonna è stata qui. Dopo due notti il medico l’aveva dimessa d’un tratto, con una centralina per flebo cucita sulla spalla e nessun avviso allo staff d’ambulanza o al nostro medico di famiglia su come gestirla. E’ la stessa centralina che stamattina si è bloccata, privando la nonna della sua terapia. Per cambiarla l’ospedale ha richiesto e ottenuto la nostra approvazione, ma l’anestesista era impegnato su un’altra urgenza e l’intervento si è potuto completare solo nel pomeriggio. Con gli avambracci distrutti non c’è verso di fare flebo senza centralina. Fortunatamente l’infermiera è riuscita a sbloccare quella vecchia verso fine mattinata, così da poter continuare la somministrazione dei farmaci e degli alimenti per l’unica via ormai percorribile, quella endovenosa.

Non mi do pace. La mancanza di letti in Geriatria o Medicina negli ospedali di Bussolengo, Negrar, Verona, Peschiera e la carenza di personale in servizio in diversi reparti sono problemi strutturali assodati. E ancora irrisolti? Dai fasti della Sanità alto-veronese degli anni sessanta, settanta e ottanta, si è approdati ad una strisciante regressione. Dopo l’abbattimento dei nosocomi periferici, è evidente che gli ospedali rimasti non sono stati potenziati a sufficienza per assorbire la domanda di cure. Mancano fondi, sperperati in passato? Rimbocchiamoci le maniche e facciamo voto d’efficienza: politici, dirigenti, ospedalieri, utenti. Tutti.

I cittadini anzitutto hanno il diritto sacrosanto e il dovere morale di partecipare alla pianificazione della Sanità locale e nazionale. Devono far sentire alla politica il fiato sul collo, per ammonirla quando sbaglia, per plaudire le buone soluzioni, perché interpreti con correttezza le nuove esigenze e assorba le proposte della cittadinanza. Al prossimo incontro pubblico, comizio elettorale o assemblea comunale, quanti ho sentito lamentarsi a bassa voce negli androni d’ospedale vadano e rivendichino i propri dubbi. Brontolare in una sala d’aspetto non porterà frutto, fermare un politico locale per strada e chiedergli ragguagli sì. Parlategli in italiano, fatelo in dialetto, non importa, ma lo si interroghi, lo si informi. Se risponderà male, s’eviti di votarlo alle prossime elezioni e si suggerisca di fare lo stesso a tutti i propri amici. Serve muoversi con lungimiranza, ben prima che venga intaccato il proprio orticello: perché non è pensando solo a sé e al proprio bisogno contingente che si vivrà bene in una collettività. Un pubblico addormentato e indifferente ha poca ragione di lamentarsi a posteriori. Basta far poco, ma fin d’ora e con costanza. “Ho dell’altro da fare durante il giorno” è la risposta, pur valida, di molti apatici. Non è una giustificazione sufficiente, però, per mancare di partecipare almeno un minimo alle sorti dei settori fondanti di una società.

I politici poi, anziché millantare traguardi dal vago sapore di diversivo, devono rispondere dei disagi e farsene carico, abbracciando per primi la causa dell’efficienza, sperimentandola sulla propria pelle. Non serve dire da dove cominciare. Ancora, è ipocrita limitare le comunicazioni istituzionali alle sole esperienze positive: è anche dei problemi che la cittadinanza vuol sentire parlare, e ancor più delle loro soluzioni. Bando alla demagogia, non quella presunta di cui le parti s’accusano vicendevolmente, ma quella bocciata dalla coscienza personale. I politici locali la smettano di rifugiarsi dietro ai confini ristretti delle proprie competenze amministrative, riconoscendo che il rappresentare una comunità comprende il portarne la voce ovunque serva farla sentire, fino a Venezia e fino a Roma, se necessario. Servite la comunità che vi ha dato fiducia, non il partito, qualunque esso sia. Gli amministratori regionali con delega alle politiche sanitarie sappiano gestire e ispirare le dirigenze sanitarie, garantire la pianificazione delle risorse e la loro corretta allocazione. I Governi nazionali, di qualsivoglia bandiera, s’adoperino per creare le condizioni di mantenimento e di sviluppo della buona Sanità sul territorio.

Al periodico “Obiettivo Sanità News” dell’Ulss 22 lancio un sincero je propose, affinché approfondisca con lucidità le motivazioni dei disagi subiti dall’utenza, a cominciare dalla carenza di posti letto sopra citata e dalla penuria di risorse umane in reparti come il Pronto soccorso di Bussolengo. Allo stesso approfondimento invito la politica tutta. Non mosso tanto dall’ira, che pure inizialmente ho provato, quanto da un impulso più solido. Cresce a dismisura mentre mi sforzo di reggere alla tristezza, davanti a mia nonna. Si chiama senso del dovere.

giovedì 9 aprile 2009

lasciatemi sognare

PAZZO NON E' CHI INSEGUE UN SOGNO, MA CHI LO ABBANDONA!!!!!!!!!

C'ERA UNA VOLTA

C'era una volta Villafranca,dove una volta c'erano teatri cinema discoteca ed ospedale...crescono come funghi gli istituti di credito e crollano i tetti delle poste....per non parlare dell'abbandono della stazione ferroviaria,la palazzina lato Verona è diventato un rifugio di sbandati tra montagne di rifiuti,vetri rotti e porte divelte...è ora che Villafranca torni al suo spendore è ora che qualcuno inverta la rotta .

COM'E' POSSIBILE NON ESSERE DACCORDO

C'era una volta l'Atrium
di Giovanni M. De Paolini, 02.03.2009 - commenti (3)

Se vi è capitato negli ultimi dieci giorni di dover pagare una bolletta alle poste, o una di queste sere di fare un salto per panino e birretta alla Voglia, avrete di certo notato qualcosa di diverso. O meglio, qualcosa in meno. Lo sguardo non viene più bloccato da un vecchio palazzone in disuso, dove una volta gli adolescenti si scatenavano al ritmo della musica dance più in voga, ma viaggia senza ostacoli verso il cielo: l’Atrium ormai non c’è più. Rimane ancora vivido il ricordo di quelle lontane domeniche pomeriggio, quando frotte di adolescenti scendevano dal treno alla stazione di Villafranca. Una stazione ancora viva, forse anche grazie a loro, che la affollavano e la facevano sentire importante anche solo per un pomeriggio a settimana. Quei ragazzi invadevano poi le vie del centro, nel tragitto che li portava fino alla discoteca, tra schiamazzi e magari qualche parola di troppo, ma anche questo faceva sentire Villafranca un po’ più grande. E poi dentro, in quel tempio che per poche ore faceva dimenticare tutti quei “casini” adolescenziali, che magari erano sciocchezze ma a quell’età sconvolgevano la vita. E così se ne va un pezzo di storia. Con l’Atrium non viene abbattuto soltanto un edificio che tra l’altro negli ultimi anni è sempre rimasto silente, ma crolla anche un pezzetto dei nostri ricordi, sia per chi ci passava le domeniche, sia per chi non c’è mai stato ma gli bastava sapere che c’era. Chi magari, come me, passava le domeniche al pattinaggio di fianco la “cesa dei fràti”. Già, il pattinaggio, un altro simbolo della Villafranca che fu, quotidianamente invaso da ragazzi che dovevano arrivare anche un’ora prima, per prendersi il posto e scacciare via chi arrivava tardi. Quel pattinaggio improvvisamente distrutto per lasciare il posto alle auto, previa promessa di ricostruirlo a fianco. Ricostruzione fallimentare, disastrosa, inutile. In un altro articolo si potrebbe parlare della sala giochi, del Cinema Metropol o degli altri spazi verdi per tirare quattro calci al pallone, ormai inghiottiti dal cemento. Ora ci basta fare un minuto di silenzio in memoria dell’Atrium. Uno dei pochi simboli che ci era rimasto, pur abbandonato, per testimoniare che Villafranca un tempo era viva. Magari non eravamo città, mi viene più che spontaneo un chissenefrega, almeno noi sapevamo cosa fare la domenica pomeriggio.

mercoledì 8 aprile 2009

San Giovanni Lupatoto. Aumenta la tassa sui rifiuti.

La stangatina tariffaria di primavera arriva stasera in Consiglio comunale (convocato alle 20.30), almeno per quanto riguarda i rifiuti. La tariffa della raccolta immondizie aumenterà infatti del 5 per cento, aumento generalizzato applicato a tutte le categorie, dalle famiglie ai negozi. Lo ha già deciso, approvando una apposita delibera, la giunta comunale. A seguito dell’aumento, la previsione del gettito è stata stimata dall’ufficio tributi municipale in 2.821.734 euro.La decisione di incrementare la tariffa è stata assunta dal Comune dopo che la Sgl Multiservizi, la società comunale che gestisce in concessione per conto dell’amministrazione comunale il ciclo dei rifiuti (in effetti svolto da Amia Verona) ha stimato un aumento di costi per il 2009.Spiega il sindaco Fabrizio Zerman: «La legge ci obbliga a coprire per il 100 per cento il costo del servizio. L’aumento medio per ogni famiglia lupatotina dovrebbe essere di pochi euro l’anno, forse tra 5 e 10 euro».Visto che gli utenti del servizio nettezza urbana sono circa 12mila (10 mila famiglie e 2000 tra negozi e uffici) si può stimare che l’incremento medio nella spesa per le immondizie sia intorno ai 12 euro. Potrebbero essere 20 euro per chi ha una casa grande o un ufficio spazioso e 5 per una famiglia che vive in un appartamento da 80 metri quadrati.Va in proposito ricordato che il criterio di commisurazione delle tariffe per le utenze domestiche in funzione fa riferimento, per il cinquanta per cento, al numero dei componenti il nucleo familiare e per l’altro cinquanta per cento alla superficie dell’immobile occupato.«Diciamo che questo adeguamento è un passo di avvicinamento alla Tia, la tariffa integrata sui rifiuti, che comporterà forse ulteriori aumenti», dice Zerman.Zerman, in tema di immondizie, ha annunciato nel corso del dibattito sull’inceneritore di Ca’ del Bue tenutosi alcuni giorni fa a Raldon, che sono in arrivo importanti novità.Il primo cittadino locale ha infatti sottolineato come la battaglia contro l’inceneritore e i suoi forni a griglia si possa pensare di vincerla soltanto attuando strategie e politiche diverse sulla produzione e sullo smaltimento dei rifiuti.«Se non arriviamo produrre meno rifiuti da questo problema di Ca’del Bue non se ne esce», ha spiegato Zerman a Raldon.Il professor Ruzzenenti, uno dei relatori al medesimo convengo, è stato ancora più radicale.«Lo smaltimento biomeccanico a freddo dei rifiuti, propugnato da molti per Ca’ del Bue, non funziona se non in presenza di una raccolta differenziata spinta», ha detto lo studioso. «Una raccolta da attuare non come ora con i cassonetti, dove dentro c’è di tutto, soprattutto imballaggi, ma con il sistema porta a porta. E questa è una precisa responsabilità dei sindaci che devono applicare questo sistema nei loro territori».

Villafranca cittadina invisibile

Villafranca è sempre più abitata ma conta troppo poco
il vicepresidente della Provincia Antonio Pastorello e il presidente del Consiglio Provinciale Massimo Galli Righi hanno reso noti i dati della popolazione residente in provincia di Verona, comunicati direttamente dagli Uffici Anagrafe dei 98 Comuni veronesi. Era presente anche il presidente del Consigli provinciale Massimo Galli Righi. E' un trend di continua crescita demografica. Per la prima volta negli ultimi dieci anni la popolazione veronese ha superato quota 900.000 (909.092). Confrontando i dati 2008 con quelli degli anni precedenti si registra un trend di continua crescita demografica: nel 2007 erano 896.429; nel 2006 erano 880.230; nel 2005 erano. 870.122 ; nel 2004 erano 855.512; nel 2003 erano.826.582 e nel 2002 erano 821.563. I tre Comuni più popolati sono il Comune di Villafranca, che si conferma il più popoloso con 32.408 residenti, Legnago, con 25.488 residenti, e San Giovanni Lupatoto con 23.485 residenti. Visti questi dati e il continuo incremento, è incredibile che un Comune come Villafranca, che se cresce vuol dire che attrae popolazione, non sia in grado di beneficiare di quelle infrastrutture (viabilità e sanità soprattutto) di cui ha bisogno. Forse perchè politicamente non riesec mai a mandare un suo esponente nei posti che contano?

UN AIUTO PER I NOSTRI FRATELLI AQUILANI

VEDIAMO SE FUNZIONA VERAMENTE FB, E SE LE BUONE IDEE ARRIVANO AI PEZZI GROSSI. 1) ANNULLIAMO IL MONTEPREMI DEL SUPERENALOTTO, CHE è QUASI DI 40 MILIONI DI EURO,E DONIAMOLO A CHI NE HA BISOGNO IN ABRUZZO 2) RIMANDIAMO A CASA QUEGLI IDIOTI DI TUTTI I REALITY E DONIAMO I MONTEPREMI 3) CHE I POLITICI DONASSERO LO STIPENDIO DI APRILE (tanto non muoiono di fame)COPIA, INCOLLA E DIFFONDI