lunedì 19 novembre 2012

A Torino il Pd tiene famiglia Si allarga la parentopoli per appalti e consulenze Nel cd degli affari "rossi" che ha costretto alle dimissioni la supermanager del Comune spuntano mogli di deputati democrat, compagni, sorelle e figli Paolo Bracalini - come si dice «tengo famiglia» in torinese? Una lunga lista di affidamenti senza gara, una lunga lista di parentele: mogli, figli, fratelli e sorelle. La parentopoli sotto la Mole, nel Comune guidato da sindaco Piero Fassino, è una grande famiglia dentro la più grande famiglia del partito di governo (da vent'anni ininterrotti) nella città della Fiat. Nel cd con sei anni di commesse comunali (6.672 contratti, un miliardo e 475 milioni di euro pagati sulla fiducia) non ci sono soltanto gli appalti diretti affidati dall'ex superdirigente Anna Martina (indagata per abuso d'ufficio, dimessa) alla «Punto Rec Studios» del figlio Marco. Lo «scandalo Martina» ha aperto gli occhi sulla potenza degli affetti famigliari nel Comune democratico. C'è il caso di Anna Maria Cumino, consorte del deputato del Pd Mimmo Lucà e presidente della Coop Solidarietà, uno dei soggetti che hanno ottenuto incarichi dal Comune. Ma nel cd, acquisito dalla Procura di Torino, compare anche un'altra società cooperativa, la Eta Beta. Chi la presiede? La brillante Donatella Genisio, sorella della consigliera comunale Domenica Genisio, del Pd. Poi c'è Ilda Curti, assessore della giunta Fassino, una delle riconfermate della stagione Chiamparino. Nel 2009 il Comune di Torino organizza una gara europea per affidare (a 419mila euro) «il servizio di supporto metodologico e di ricerca nell'ambito delle politiche di sicurezza integrata». Lo vince (in modo perfettamente trasparente, dopo giudizio di una Commissione di valutazione di esperti) un consorzio di cui fa parte un'associazione, la «Amapola», il cui presidente si chiama Marco Sorrentino. Chi è? Il compagno dell'assessore Curti. La sorella dell'assessore, Nicoletta, esperta in sicurezza, ci aveva lavorato prima di lasciare l'associazione per un altro incarico. Al Comune di Milano, chiamata dalla giunta Pisapia con un contratto a tempo. Un appalto, quello a Torino, vinto per la competenza dell'associazione (un'eccellenza), con una procedura aperta, sicuramente senza condizionamenti di alcun tipo. Forse, però, una questione di opportunità, in una città dove - per usare le parole dell'ex sindaco di centrosinistra nonchè presidente del Toroc (Comitato Olimpiadi Torino) Valentino Castellani - «lavorano sempre gli amici degli amici» ma solo perché «la città non è grandissima, l'ambiente è quello che è, diventa persino difficile non rapportarsi sempre agli stessi». Una giustificazione che ha un che di surreale. Poi c'è il consorzio «Turismo Torino», partecipato dal Comune. Il consorzio ha tra i suoi dipendenti Silvia Bertetto Giannone, che poi è la nuora di Anna Martina, la dirigente indagata. La nuora figura come capo ufficio stampa estera, mentre prima era in forza al settore cultura del Comune. Lo stesso dove la Martina era direttore. Dal settore Cultura del Comune di Torino sono passati diversi «figli di», tutti preparatissimi, ma anche col cognome giusto, come racconta il giornale on line torinese Lo Spiffero. Come Barbara Papuzzi, «figlia del noto giornalista, successivamente approdata allo studio Mailander, che ricorre in più occasioni negli affidamenti diretti del Comune di Torino». Una consulenza ha avuto anche il figlio di Corrado Vivanti, professore universitario, colonna portante dell'Einaudi e amico della famiglia Martina-Barberis. E altre connessioni, su cui il sindaco Piero Fassino ha dato mandato di indagare (non volendo una commissione d'inchiesta) al city manager Cesare Vaciago. Peccato che subito dopo si è scoperto che Vaciago ha quattro nipoti che lavorano in o con il Comune di Torino. Ma il lavoro, sempre agli stessi? Che ci volete fare, la città è piccola e i parenti mormorano...

giovedì 6 settembre 2012

“i politici parlano solo delle loro candidature, noi pensiamo a un progetto per il salento del futuro. il consiglio delle autonomie ascolti la propost




05/09/2012
di Paolo Pagliaro

Ci siamo accorti che non basta nemmeno la gravità del momento economico che stiamo attraversando per dare una scossa ai nostri rappresentanti istituzionali. Ci chiediamo allora cosa serva per stimolare un dibattito utile sul Salento e sul futuro di questa terra…?
C’è solo un silenzio assordante che deve farci preoccupare perché così rischiamo di affondare. Non si parla di futuro, se non di quello politico del presidente della Provincia di Taranto Florido o dei nostri parlamentari o di tutti quelli che vogliono trovare, come nel gioco dei quattro cantoni una nuova, collocazione magari su qualche poltrona barese o romana.
Una cosa vergognosa!
A brindisi, il dibattito politico si concentra sugli attacchi personali sui rapporti con Enel del presidente Ferrarese o sul suo futuro politico a Bari o a Roma e non si percepisce niente del futuro di questo territorio dopo la decisione di cancellare la Provincia di Brindisi per accorparla a quella di Taranto.
Proprio a Brindisi e da Brindisi, in primis, dovrebbe alzarsi il grido di allarme.
Invece il nulla, silenzio assoluto. Si è arreso Ferrarese e si sono arresi i Brindisini?
Come è possibile che di fronte a quello che sta avvenendo in tutto il Salento, con manifestazioni di protesta a difesa del lavoro non ci sia nessuno che senta il dovere di programmare un futuro con nuove idee e nuovi progetti?
Quando si sveglieranno i nostri politici? Quando capiranno che l’unica soluzione è quella presentata dal Movimento Regione Salento? Quando si inizierà a pensare alla nostra gente sempre più spaventata dalla persistenza di una crisi devastante?
Chiediamo ufficialmente audizione al Consiglio delle Autonomie, e lo facciamo insieme al Presidente della Provincia di Bari Schittulli, promotore del progetto della Regione Federiciana, per esporre compiutamente la nostra idea riformista, senza se e senza ma, per dare una speranza e un futuro a questa terra, condannata dalle politiche centralistiche baresi e dal silenzio dei nostri governanti a diversi livelli.
Se c’è qualcuno che vuole arrendersi noi del Movimento Regione Salento non siamo fra quelli che getteranno la spugna, fino al raggiungimento dell’unico obiettivo possibile.

Paolo Pagliaro
Presidente
Movimento Regione Salento

martedì 4 settembre 2012

Il governo ha deciso: brindisi e taranto unica provincia, parola al parlamento




Gli abitanti non devono essere meno di 350mila e la superficie deve estendersi per 2.500 metri quadrati, se non si rispettano questi requisiti allora la Provincia non esiste. Lo ha stabilito il Consiglio dei Ministri che con questa decisione ha cancellato 64 Province italiane e quindi Brindisi e Taranto.

Resta, invece, Lecce svuotata di molteplici poteri. Brindisi e Taranto rispettato il requisito della popolazione, ma non quella della estensione e quindi saranno accorpate, un’unica Questura, Prefettura e Motorizzazione. E quindi un unico Presidente. La posizione del Presidente della Provincia di Brindisi è nota da tempo. “Volevano farci sembrare la casta della politica – afferma Ferrarese - ma la politica della Provincia costa meno della politica italiana. Nessun politico ha ostacolato questo abuso al territorio. Ma non sarò io il liquidatore della mia Provincia”.

Il Presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido parla di incasinamento istituzionale. “Un progetto ha senso- dice Florido- solo se si affronta il tema delle risorse, poteri e autonomie. Una super Provincia sarebbe solo un carrozzone inutile, senza soldi né poteri”.

Resta, invece, la Provincia di Lecce ma svuotata di numerose competenze, avrà poteri su ambiente, trasporto e viabilità. Insomma né carne né pesce, dice qualcuno. Il decreto dovrà essere convertito in legge, quindi, dovrà essere discusso in Parlamento, dovranno esprimersi le forze politiche.

Per il pidiellino Michele Saccomanno sarebbe stata necessaria l’abolizione di tutte le Province senza distinzione. “Non si può stabilire l’abolizione di una Provincia in merito alla sua estensione territoriale – afferma Saccomanno – quando conta 450mila abitanti come Brindisi cercheremo di intervenire su questo”.

Discussione ancora tutta aperta per il Senatore tarantino del Partito Democratico Ludovico Vico: “La discussione deve essere ancora fatta – spiega Vico- i requisiti per una Provincia devono andare oltre i due richiesti stabiliti dal Governo, perchè bisogna anche considerare il prodotto interno lordo, il numero dei Comuni. Nella discussione porteremo queste valutazioni”.

Per il salentino Rosario Giorgio Costa, Senatore del Pdl, la Provincia di Lecce merita di essere mantenuta autonoma. “E non è causale – dice Costa – che il CdM abbia modificato i parametri, Lecce resta nelle condizioni per continuare a lavorare, d’altro canto ha una popolazione che stimata attorno ai 700mila abitanti. Non trovo giusta la configurazione dell’ente a secondo livello. E’ giusto che si mantenga la democraticità dell’istituzione con l’elezione diretta dei rappresentanti. Avrei preferito che si fosse tornati alla Provincia di Terra d’Otranto. Ovvio che ora si dovrà riformare, dopo le Province, anche le Regioni. Partecipate? Giusto privatizzarle”.

Il leccese Lorenzo Ria, dell’Udc é d’accordo sugli accorpamenti. “Ora si passi – sostiene Ria – alla ridefinizione dei confini dei nuovi enti. Molti Comuni chiederanno di essere annessi ad una o altra Provincia. La configurazione ad ente di secondo livello è giusta, la Provincia braccio operativo della Regione, ente intermedio. Torna la centralità del Comune, come istituzione più vicina al cittadino. Sulle deleghe ho qualche dubbio su formazione professionale che sarebbe dovuta restare di competenza della Provincia. Bene privatizzare le partecipate”.

Sulla vicenda anche il Movimento Regione Salento, tra i primi a sostenere l’abolizione di tutte le Province, questo si rivolge alla politica e ai Parlamentari, accusandoli di non aver avuto coraggio. “Il minestrone è servito – scrive il Presidente del Movimento Paolo Pagliaro - il solito pastrocchio all’italiana. La soppressione di alcune Provincie e l’accorpamento di altre giunge ad inutili risultati. Così non funziona. Dobbiamo svegliarci. Non si possono accettare, senza reagire, decisioni così drastiche calate dall’alto. Ci vuole coraggio.

Quello che manca ai nostri Parlamentari è proprio il coraggio. Allora diciamo che “se non sono in grado di opporre resistenza, che stiano a riposo e lascino ad altri il tempo delle scelte coraggiose”.

Il governo ha deciso: brindisi e taranto unica provincia, parola al parlamento



Gli abitanti non devono essere meno di 350mila e la superficie deve estendersi per 2.500 metri quadrati, se non si rispettano questi requisiti allora la Provincia non esiste. Lo ha stabilito il Consiglio dei Ministri che con questa decisione ha cancellato 64 Province italiane e quindi Brindisi e Taranto.

Resta, invece, Lecce svuotata di molteplici poteri. Brindisi e Taranto rispettato il requisito della popolazione, ma non quella della estensione e quindi saranno accorpate, un’unica Questura, Prefettura e Motorizzazione. E quindi un unico Presidente. La posizione del Presidente della Provincia di Brindisi è nota da tempo. “Volevano farci sembrare la casta della politica – afferma Ferrarese - ma la politica della Provincia costa meno della politica italiana. Nessun politico ha ostacolato questo abuso al territorio. Ma non sarò io il liquidatore della mia Provincia”.

Il Presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido parla di incasinamento istituzionale. “Un progetto ha senso- dice Florido- solo se si affronta il tema delle risorse, poteri e autonomie. Una super Provincia sarebbe solo un carrozzone inutile, senza soldi né poteri”.

Resta, invece, la Provincia di Lecce ma svuotata di numerose competenze, avrà poteri su ambiente, trasporto e viabilità. Insomma né carne né pesce, dice qualcuno. Il decreto dovrà essere convertito in legge, quindi, dovrà essere discusso in Parlamento, dovranno esprimersi le forze politiche.

Per il pidiellino Michele Saccomanno sarebbe stata necessaria l’abolizione di tutte le Province senza distinzione. “Non si può stabilire l’abolizione di una Provincia in merito alla sua estensione territoriale – afferma Saccomanno – quando conta 450mila abitanti come Brindisi cercheremo di intervenire su questo”.

Discussione ancora tutta aperta per il Senatore tarantino del Partito Democratico Ludovico Vico: “La discussione deve essere ancora fatta – spiega Vico- i requisiti per una Provincia devono andare oltre i due richiesti stabiliti dal Governo, perchè bisogna anche considerare il prodotto interno lordo, il numero dei Comuni. Nella discussione porteremo queste valutazioni”.

Per il salentino Rosario Giorgio Costa, Senatore del Pdl, la Provincia di Lecce merita di essere mantenuta autonoma. “E non è causale – dice Costa – che il CdM abbia modificato i parametri, Lecce resta nelle condizioni per continuare a lavorare, d’altro canto ha una popolazione che stimata attorno ai 700mila abitanti. Non trovo giusta la configurazione dell’ente a secondo livello. E’ giusto che si mantenga la democraticità dell’istituzione con l’elezione diretta dei rappresentanti. Avrei preferito che si fosse tornati alla Provincia di Terra d’Otranto. Ovvio che ora si dovrà riformare, dopo le Province, anche le Regioni. Partecipate? Giusto privatizzarle”.

Il leccese Lorenzo Ria, dell’Udc é d’accordo sugli accorpamenti. “Ora si passi – sostiene Ria – alla ridefinizione dei confini dei nuovi enti. Molti Comuni chiederanno di essere annessi ad una o altra Provincia. La configurazione ad ente di secondo livello è giusta, la Provincia braccio operativo della Regione, ente intermedio. Torna la centralità del Comune, come istituzione più vicina al cittadino. Sulle deleghe ho qualche dubbio su formazione professionale che sarebbe dovuta restare di competenza della Provincia. Bene privatizzare le partecipate”.

Sulla vicenda anche il Movimento Regione Salento, tra i primi a sostenere l’abolizione di tutte le Province, questo si rivolge alla politica e ai Parlamentari, accusandoli di non aver avuto coraggio. “Il minestrone è servito – scrive il Presidente del Movimento Paolo Pagliaro - il solito pastrocchio all’italiana. La soppressione di alcune Provincie e l’accorpamento di altre giunge ad inutili risultati. Così non funziona. Dobbiamo svegliarci. Non si possono accettare, senza reagire, decisioni così drastiche calate dall’alto. Ci vuole coraggio.

Quello che manca ai nostri Parlamentari è proprio il coraggio. Allora diciamo che “se non sono in grado di opporre resistenza, che stiano a riposo e lascino ad altri il tempo delle scelte coraggiose”.

venerdì 31 agosto 2012

Le primarie della casta le ha già vinte Vendola



REGIONE-CUCCAGNA
Pensioni d’oro a 55 anni, auto blu di lusso, liquidazioni ai consiglieri in carcere: la Puglia è la capitale degli sprechi di Stato

Caso Frisullo, scandalo Mele e spese di Introna: breve viaggio in Puglia, l'impero degli sprechi
Per tutti gli italiani andare in pensione è diventato un calvario. Qui no: puoi ancora ritirarti a 55 anni avendo versato contributi solo per cinque anni. E l’assegno mensile anche così supera i tremila euro al mese, perché invece di essere tagliato come è avvenuto nel resto di Italia, viene periodicamente rivalutato. Dopo nemmeno un anno di lavoro puoi chiedere l’anticipo del Tfr, e fino a quando non hai raggiunto l’80% del dovuto puoi chiederlo anche l’anno dopo, e l’anno dopo ancora. Qui il numero uno può andare in giro su un’auto di lusso straniera tremila di cilindrata, e al suo vice è concessa una duemila di cilindrata con tutti i comfort, anche se c’è una legge che dice che sopra i 1.600 cc non si può salire.
Benevenuti in Puglia, nel regno di Nichi Vendola, nel cuore di quel consiglio regionale che oggi è il paese della cuccagna della Casta. Qui tutto è ancora possibile, e se non ci fossero delibere, timbri amministrativi, stanziamenti effettivi, ci sarebbe da non credere ai propri occhi. Accadono cose nel cuore della politica pugliese che nemmeno la più fervida fantasia avrebbe immaginato esistere in Sicilia, la tradizionale patria di tutti i mali della spesa pubblica, del privilegio dei satrapi.
In Puglia qualsiasi cosa è concessa. Tutto - anche quello che non pensavi possibile - diventa realtà. Grazie allo status di consigliere regionale possono rifarsi una vita politici che ne hanno combinata più di una e sono stati triturati dalle cronache. Prendiamo Sandro Frisullo, il luogotenente di Massimo D’Alema in zona, finito in carcere per l’inchiesta su soldi e donne elargiti da Giampaolo Tarantini. Per lui la carriera politica si è dovuta chiudere, ma la Regione gli ha consentito di ripartire grazie a bei mattoncini per rifarsi una seconda vita. Prima gli ha consegnato un assegno di fine mandato da 388.992,96 euro. Il 13 luglio 2010 ha chiesto e ottenuto di andare in pensione anticipata a 55 anni e gli è stato concesso. Da allora percepisce ogni mese dalla Regione un assegno da 10.071,80 euro lordi. Non sarebbe mai accaduto in un altro posto. Ma almeno Frisullo era stato consigliere regionale ininterrottamente dal 1995 al 2010: 15 anni. L’8 marzo di quest’anno la domanda di pensione anticipata appena compiuto il cinquantacinquesimo anno di età è giunta da un altro ex consigliere regionale: Cosimo Mele. Era deputato dell’Udc quando finì nei guai per una notte in albergo in via Veneto con due donne - una delle quali finì all’ospedale per overdose di cocaina. Mele fu mandato a processo, e il leader del suo partito gli impose le dimissioni da deputato. Fu però consigliere regionale per tutti i 5 anni della precedente legislatura (2000-2005). Solo quelli aveva alle spalle, così il suo assegno previdenziale è per forza ridotto: 3.403,82 euro lordi al mese che gli vengono corrisposti dal consiglio regionale dal primo aprile scorso. Non lo farà diventare ricco, certo. Bisogna però provare a raccontare agli italiani comuni che con il governo di Mario Monti e la stretta pensionistica di Elsa Fornero in vigore, c’è un Mele in Puglia che può andare in pensione a 55 anni, avendone lavorati solo cinque, con 3.403,82 euro lordi di pensione.
I due nomi citati sono i più noti alle cronache nere nazionali, ma in Puglia sono a decine gli ex consiglieri che negli ultimi due anni sono andati in pensione prima dei 60 anni con emolumenti mensili di tutto rispetto (il più basso è quello di Mele). Non è una eccezione: è la regola. Per altro mentre le leggi nazionali in piena crisi economica dicevano tutt’altro e perfino i deputati e senatori tiravano la cinghia si tagliavano gli stipendi e i rimborsi spese, nel regno di Vendola è accaduto l’esatto opposto. I vitalizi sono stati ritenuti esenti dai tagli, e il loro importo è stato periodicamente rivalutato.
Che le leggi in Puglia vadano in controtendenza, è evidente perfino dal ruolino delle cause davanti alla Corte Costituzionale. Due vedono contrapposti Vendola e il presidente del Consiglio, Mario Monti. La prima nasce dal fatto che quando la legge nazionale ha deciso di ridurre i consiglieri regionali, in Puglia si è fatto un taglietto, scendendo a 60, dieci in più del tetto imposto agli altri. E il governo ha fatto loro causa. La seconda diatriba nasce da una legge di Giulio Tremonti che riduceva la spesa per consulenze e collaboratori. Anche la Puglia si è adeguata, ma non per tutti. Vendola ha escluso dalla scure proprio i suoi collaboratori, e così è stato citato prima da Berlusconi e poi da Monti di fronte alla Corte costituzionale.
Per capire come l’andazzo da queste parti sia di tutto altro tenore, tanto da trasformarsi nel paradiso della Casta, basta dare un’occhiata agli stanziamenti amministrativi che riguardano il presidente del consiglio regionale, Onofrio Introna, compagno di partito di Vendola in Sel. Quando si è insediato gli hanno messo a disposizione una Bmw. Lui ha voluto cambiare, preferendo una Audi A6 tremila di cilindrata. Siccome la Consip non ce l’aveva, ha costretto gli uffici della Regione a una trattativa privata con un noleggiatore del posto. Intanto che c’era, ha fatto prendere altre due Audi A6, però duemila di cilindrata, destinate al vicepresidente del consiglio regionale (Nicola Marmo, Pdl) e a un consigliere segretario. Non bastava l’auto di lusso. Quando Introna è nel suo bell’ufficio in Regione, che fa? Sicuramente scrive ad amici ed elettori. Perché ha chiesto e ottenuto una delibera amministrativa per la fornitura di carta intestata, buste e suppellettili a suo uso, indicandone anche i produttori prescelti: «500 buste shoppers della ditta Paperstore di Gravina di Puglia; n. 3mila fogli di carta intestata /Il Presidente/ e n. 3mila cartoncini formato americano intestati /Il Presidente/ della ditta Ragusa Tipografia di Bari; n. 70 cornici con riproduzione stemma Consiglio - lastra in argento - in vari formati, dalla ditta Braganti Antonio di Milano; n. 60 prodotti in terracotta artigianali /La nostra Terra/ dalla ditta Gallo Maria di Rutigliano (Ba)». Non si può dire che Introna non avesse idee sicure. Ma quando ha finito di scrivere? Nessun problema. Ha chiesto e ottenuto un abbonamento Sky che avesse dentro tutto, ma proprio tutto: partite di calcio, cinema, Hd, possibilità di registrare, perfino il pacchetto per le famiglie. Il primo anno valeva 65 euro al mese. Il secondo è lievitato a 1.800 euro anno, chissà perché. Visto che l’andazzo era quello, anche il vicepresidente Marmo non ha voluto esser da meno. Quando ha preso possesso del suo ufficio, ha deciso che i mobili erano «deteriorati e fatiscenti». E come il dirigente amministrativo ha voluto scrivere nella delibera di spesa, per coprirsi le spalle «considerato che lo stesso Vicepresidente ha fortemente insistito per la sostituzione degli arredi con quelli realizzati dalla ditta Fantoni», sono stati stanziati per la bisogna 9.513,60 euro.
Con un clima così, ognuno ha abbandonato qualsiasi ritegno. In pieno scandalo Luigi Lusi il 10 maggio scorso la Regione Puglia ha pagato alla società di riscossione crediti Credit Tech una fattura Telecom da 403,3 euro protestata al vecchio gruppo consiliare della Margherita. L’aveva girata alla amministrazione l’ex presidente del gruppo, Francesco Ognissanti, dopo avere controllato sul vecchio conto corrente locale del partito: «Ha ragione Telecom», ha spiegato Ognissanti agli uffici amministrativi della Regione, «ho controllato sul nostro conto del Banco di Napoli e noi quella bolletta non l’abbiamo mai pagata. Potete tranquillamente pagarla voi». E la Regione Puglia di Vendola, che quando si tratta della Casta ha un cuore grande come un melone, ha pagato il debito della Margherita senza battere ciglio.
di Franco Bechis

giovedì 30 agosto 2012

Di Pietro, Craxi e Napolitano: così Tonino graziò Re Giorgio




di Filippo Facci
La frase di Craxi, testuale, fu ritrasmessa integralmente da Annozero solo due anni fa, nel gennaio del 2010. Eccola. «Sarebbe come credere che il presidente della Camera. Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del Pci, non si fosse mai accorto del genere di traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del Pci con i Paesi dell’Est». Fu pronunciata durante il processo Cusani - non Enimont, come ha detto Di Pietro nella sua intervista a Oggi - ed erano le 17 del 17 dicembre 1993. Quel giorno rimase memorabile anche per l’interrogatorio mattutino di Arnaldo Forlani (quattro ore: fu strapazzato per via della sua palese reticenza) ma nel pomeriggio, appunto, s’intuì che sarebbe stato un pomeriggio speciale. Di Pietro, che era il pm, cercherà di giustificare la sua docilità spacciandola come strumentale ai suoi obiettivi istruttori: cioè far parlare Craxi. Ma negli anni successivi si sarebbe ben compreso come Di Pietro potesse anche temere le sortite di un uomo che di lui sapeva molte cose: qualsiasi cosa avesse detto Craxi, in ogni caso, quel giorno l’avrebbe detta davanti a milioni di persone. Di Pietro lo sapeva. Sta di fatto che non gli fece neppure una domanda vera e formulata fino in fondo, acconsentendo ogni volta di farsi interrompere con ripetuti «mi consenta di chiarire un punto». Craxi disse tutto ciò che voleva. Parlò delle cooperative rosse (e Tonino: «Ecco, è importante anche questo») e spiegò che la Montedison non pagava solo il Psi (e Tonino: «È vero, è vero... ce l’hanno riferito in parecchi»). Incapace di distinguere tra verità e verità processuale, il leader socialista ruggì a piacimento: tirò in ballo Gardini, Spadolini e La Malfa. E Napolitano, che peraltro era già stato coinvolto indirettamente perché a Milano avevano arrestato tutti i suoi uomini (la mitica corrente migliorista, detta «pigliorista») tanto che lo stesso Craxi aveva scelto anche Napolitano tra i soggetti di alcuni suoi quadri della serie «Bugiardi ed extraterrestri», opere a metà tra la satira e l’arte concettuale.

Di Pietro, bastonata a Napolitano: "Aveva ragione Craxi, soldi russi al Pci e Giorgio sapeva"





Nuovo attacco di Antonio Di Pietro al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E questa volta l'ex pm usa un'arma insospettabile e pesantissima: Bettino Craxi. Sì, proprio l'ex premier e leader socialista simbolo di Tangentopoli, il nemico giurato di Tonino ai tempi della toga. Dopo quasi vent'anni, l'attuale leader Idv intervistato da Oggi riprende una a suo tempo celebre deposizione di Craxi ed è bufera: "Esistono - dice l'onorevole al settimanale - due Giorgio Napolitano: quello che ci racconta oggi la pubblicistica ufficiale, il limpido garante della Costituzione, e quello che raccontò l'imputato Bettino Craxi in un interrogatorio formale, reso, nel 1993, durante una pubblica udienza del processo Enimont, uno dei più importanti di Tangentopoli". E già, a leggere queste righe, le mura del Quirinale tremano. Si parla di legami profondi, durante la Prima Repubblica, tra Urss e Partito comunista italiano. "Craxi - prosegue Di Pietro - descriveva quel Napolitano, esponente di spicco del Pci nonché presidente della Camera, come un uomo molto attento al sistema della Prima Repubblica specie coltivando i suoi rapporti con Mosca. Io credo che in quell'interrogatorio formale, che io condussi davanti al giudice, Craxi stesse rivelando fatti veri perché accusò pure se stesso e poi gli altri di finanziamento illecito dei partiti. Ora delle due l'una: o quei fatti raccontati non avevano rilevanza penale oppure non vedo perché si sia usato il sistema dei due pesi e delle due misure". Di Pietro, che già nei giorni scorsi aveva accusato il presidente della Repubblica di 'sospendere la democrazia' insieme al premier Monti, pizzica ancora Napolitano: "Abbiamo letto sul prestigioso NYT che al nostro presidente della Repubblica è stato dato il titolo di Re Giorgio. A nessun altro capo dello Stato era mai capitato prima. Bisogna porsi questo problema. Evidentemente il presidente della Repubblica ha cercato il consenso di tutte le forze politiche per mantenere un'acquiescenza nei suoi confronti, una quiete, che io non condivido. Io penso che quando c'è un fallo l'arbitro deve fischiare e non fare finta di niente sennò cerca di addomesticare la partita".
L'ira del Colle - Passano poche ore e, come prevedibile, arriva la replica stizzita del Colle, che parla di "nuovi, assurdi artifizi provocatori nel quotidiano crescendo di un'aggressiva polemica personale contro il presidente della Repubblica". Di Pietro però non si arrende e controribatte: "Consiglio alle fonti del Quirinale di vedere il filmato su youtube e di risentire dal vivo le dichiarazioni rese da Bettino Craxi nel formale interrogatorio davanti ai giudici del tribunale di Milano, durante il processo Enimont. In particolare - continua l'ex pm - consiglio di ascoltare cosa riferì Craxi in merito al sistema di finanziamento ai partiti ai tempi della Prima Repubblica e come questo sistema coinvolgesse tutti i partiti, compreso il Pci dell'onorevole Napolitano, ovviamente per fatti già all'epoca non aventi più rilevanza penale, a causa del tempo trascorso e delle modalità di attuazione".

venerdì 24 agosto 2012

La Sicilia è un'Italia esagerata



Governare la Sicilia è un’impre¬sa epica, quasi impossibile. Ma l'isola può di¬ventare il laboratorio politico d’Italia...
Marcello Veneziani - Ven, 24/08/2012 - 15:22

Evviva, finalmente un galantuomo che non prende il pizzo, perché ce l’ha già solo sotto il mento.

Parlo di Nello Musumeci, candidato a guidare la Sicilia. Ottimo amministra¬tore di Catania, indenne da macchie in¬fami, grande oratore assai amato e vota¬to, la sua candidatura segna una svolta e non solo perché il centro-destra candi¬da per la prima volta un uomo di destra¬destra, ma anche perché rompe il vizio siculo di spostarsi a destra o a sinistra ma lasciando poi il governo a ex demo¬cristiani, da Orlando a Cuffaro e a Lom¬bardo ( quasi tutti i big siculi sono di mar¬ca dc).
Questa volta si prova cambiare, alme¬no al vertice. Musumeci avrà molti venti contrari, anche tra coloro che fingeran¬no d’appoggiarlo, oltre la rivalità di Paler¬mo. Con Musumeci, il centro-destra ha un conto in sospeso. Alle elezioni del 2006 Berlusconi non vinse per una manciata di voti. Mancarono all’appello proprio i voti di Musumeci che per il veto di Fini a candidarlo corse da solo con una sua li¬sta prendendo molti voti. Sarebbero ba¬stati per vincere.
Certo, governare la Sicilia è un’impre¬sa epica, quasi impossibile. La Sicilia è l’esagerazione dell’Italia. Tutto quel che si dice dell’Italia diventa eccessivo in Sici¬lia: vizi e virtù, fantasia e mafioseria, acu¬me e teatralità, solarità e ombrosità, splendore e degrado, bellezza e malgo¬verno, debiti e spesa pubblica. Per la stessa ragione la Sicilia può di¬ventare il laboratorio d’Italia. Provateci almeno, prima di richiamare per dispera¬zione gli arabi o i normanni e proporre che la Sicilia sia cassata...

sabato 18 agosto 2012

Cagliari, rom alloggiati in villa con piscina dopo essere stati sfrattati dal campo nomadi


Il comune pagherà l'affitto per almeno un anno, ma la convenzione potrebbe prolungarsi


- Non è andata male a due famiglie di rom che a fine giugno hanno dovuto abbandonare il campo nomadi nel Cagliaritano, sulla Ss554, chiuso dal sindaco Massimo Zedda per gravi problemi igienici. Sono infatti state alloggiate in una villa sul litorale con pavimenti in marmo, grande caminetto al centro del salone, bagno con idromassaggio e aria condizionata in ognuna delle quattro camere da letto. L'affitto? Paga il comune di Cagliari.
Come riporta il quotidiano 'L'Unione sarda', d fronte alla prima villa sul litorale, a pochi metri, c'è quella che diventerà la nuova casa per altri tre nuclei familiari: un vecchio ristorante che si affaccia su una grande piscina, patio in cotto e centinaia di metri quadri di terreno, fino a pochi giorni fa completamente incolto.

Sono due delle ville sul litorale che il Comune, tramite la Caritas, ha messo a disposizione delle famiglie bosniache allontanate dalle baracche e dai terreni inquinati stretti tra la Statale 554 e il quartiere di Mulinu Becciu. Sarà il Comune a pagare, almeno per i primi dodici mesi l'affitto delle case, ma il sostegno potrebbe arrivare fino a due o tre anni.

mercoledì 15 agosto 2012

Nouriel Roubini: perfect storm, tempesta finanziaria, crisi finanziaria, crollo euro



La 'tempesta economica globale'. Banchieri avidi e sistema al collasso
Il rischio di un crollo sistemico è alle porte. L'economista Usa non
ha dubbi sull'imminente apocalisse finanziaria: le avvisaglie ci sono
tutte e sarà peggio della crisi del 2008. Ecco i motivi del collasso e
le possibili, ma remote, vie di uscita

Fonte: ANSAL'ECONOMISTA Chi è Nouriel Roubini
Docente ed economista statunitense, nato a Istanbul nel 1958 da
famiglia di ebrei iraniani. È professore di economia alla New York
University. Ha vissuto in Italia, soprattutto a Milano, dove si è
laureato alla Bocconi, conseguendo successivamente il dottorato ad
Harvard.
Ha ricoperto varie cariche al Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti
e svolto numerose consulenze per il Governo Usa in qualità di esperto
economico.
Roubini è noto per le sue previsioni di crisi finanziaria mondiale, in
particolare per aver previsto con precisione la crisi dei subprime del
2007. Attitudine che gli è valsa il nomignolo 'Dr. Doom' (dott.
Sventura).
leggi l'articolo Spread e antispread: cosa sono, come funzionano e
perché toccano le nostre tasche
Il differenziale tra Btp e bund tedeschi è il termometro del nostro
debito. Lo scudo anti-spread interviene quando la febbre sale troppo.
Dal suo funzionamento dipende l'arrivo di altre tasse e tagli per gli
italiani.


Crisi economica? Il peggio deve ancora arrivare. Nouriel Roubini l'ha
definita la "tempesta perfetta" e annuncia che sarà peggio della crisi
economica che ha investito i mercati nel 2008. Lo scenario tratteggiato
dall'autorevole esperto di economia internazionale nel corso di
un'intervista a Bloomberg Tv è dei più foschi e prevede per il 2013 il
collasso, difficilmente evitabile, dell'attuale sistema. L'analisi di
Roubini, è impietosa ma chiara. Ecco in sintesi il messaggio del
professore che si è guadagnato negli anni l'appellativo di dr. Doom,
dottor Catastrofe.

"Perfect storm", le cause del ciclone
Nouriel Roubini ha indicato quattro scenari che concorrono a creare la
"tempesta perfetta".

● Il ristagno dell'economia Usa.
● L'aggravarsi dei problemi del debito europei.
● La decelerazione delle economie emergenti, che registrano un forte
calo della crescita Principalmente la Cina, ma il deficit è esteso a
tutta l'area 'Bric' (Brasile, Russia, India e Cina).
● Il pericolo di un conflitto militare tra Israele, Stati uniti e Iran,
che raddoppierebbe il prezzo del petrolio in una notte.

Perché sarà peggio del 2008
A differenza del 2008, si è a corto di contromisure. Nel 2008 si
potevano ancora tagliare i tassi di interesse, mentre oggi già
rasentano i minimi storici. Inoltre le iniezioni di liquidità
attraverso QE (quantitative easing o alleggerimento quantitativo)
stanno diventando sempre meno efficaci perché il problema è di
solvibilità, non di liquidità.

Il fallimento del Summit europeo
Il vertice europeo di Bruxelles di fine giugno è stato un insuccesso
"poiché i rendimenti dei titoli di Spagna e Italia (lo spread) restano
alti" e probabilmente siamo alla vigilia di nuove crisi del debito.

Un sistema bancario avido e immorale
"I banchieri sono avidi. Lo sono stati per mille anni". Secondo Roubini
le banche agiscono in modo illegale ma le sanzioni non sono irrisorie
rispetto ai danni compiuti ("nel migliore dei casi vengono
schiaffeggiate con una multa"). "Se alcune persone finiscono in carcere
o qualcuno verrà impiccato per le strade, forse varrà da lezione per
qualcuno".

Correre ai ripari
Secondo il professore "siamo ormai a corto di conigli da tirare fuori
dal cappello". O i paesi europei trovano l'accordo su una forma di
mutualizzazione del debito (ma gli Eurobond sono sempre più una
chimera), o la Bce interviene monetizzando il debito, con licenza di
stampare monete, oppure vanno aumentate le elargizioni dei fondi
salvastato: "il fondo Efsf-Esm deve essere almeno quadruplicato; in
caso contrario si avrà una crisi più grande non tra sei mesi, ma nelle
prossime due settimane".

Catastrofismo o lungimiranza? Dipende dai punti di vista, in ogni caso,
quel che potrebbe avverarsi è il cosiddetto 'paradosso di Cassandra':
per chi prevede catastrofi, la condizione necessaria affinché la
previsione si avveri è che non venga creduto.

Fukushima: trovate farfalle con mutazioni genetiche Vicino alla centrale; timore radiazioni su altre specie


14 agosto, 17:55

(ANSA) - TOKYO, 14 AGO - Mutazioni genetiche hanno colpito tre diverse generazioni di farfalle osservate intorno alla centrale nucleare di Fukushima, danneggiata dal sisma/tsunami dell'11 marzo 2011. E' quanto emerge da uno studio curato da un pool di ricercatori guidato da Joji Otaki dell'Universita' Ryukyu di Okinawa, e pubblicato sul sito di Scientific Reports.

L'incidente di Fukushima, si legge nella rapporto, ''ha causato un massiccio rilascio di materiale radioattivo nell'ambiente'' che ''ha causato danni fisiologici e genetici alle Zizeeria maha blu, farfalla comune in Giappone''. A maggio 2011 sono stati raccolti 144 esemplari, tra maschi e femmine, nelle aree colpite dalle radiazioni: pur sembrando normali, ''si notavano gia' alcune lievi anomalie''. Circa il 12% degli insetti esposto alle radiazioni ancora nello stadio di larva, subito dopo il disastro, ha presentato anomalie, tra ali accartocciate e occhi danneggiati. Gli stessi esemplari poi accoppiati in un laboratorio lontano da Fukushima, hanno dato origine alla seconda generazione con problemi simili, ma nella misura del 18%. La percentuale e' salita al 34% nella generazione successiva, anche con un genitore proveniente da altra area e quindi considerato 'sano'. Sei mesi dopo il disastro, 240 nuovi esemplari catturati a Fukushima hanno registrato anomalie nel 52% dei casi.

Otaki, tuttavia, ha spiegato che e' presto per arrivare a conclusioni di tipo 'conseguenziale': i risultati raggiunti dal suo team, in altri termini, non potevano essere direttamente replicati su altre specie animali, uomo incluso. In generale, c'e' l'invito alla prudenza nelle prime reazioni della comunita' scientifica nipponica, combinato alla necessita' di effettuare altre rilevazioni. Kunikazu Noguchi, professore associato di protezione radiologica alla Nihon University School of Dentistry, ha osservato che e' opportuno raccogliere altri dati per determinare l'impatto dell'incidente di Fukushima sugli animali in generale. Resta pero' opinione condivisa che le farfalle siano considerate tra le piu' importanti spie dei cambiamenti ambientali.(ANSA).

domenica 1 luglio 2012

Ecco i 334 boss graziati dalla sinistra e presi dal centrodestra




Ecco l’elenco dei mafiosi cui nel ’93 il ministro della Giustizia Conso non rinnovò il carcere duro. Ci sono anche Vito Ciancimino e Luigi Ilardo, uomini chiave della presunta trattativa
di Gian Marco Chiocci e Mariateresa Conti -
Altro che i tentativi dei pm di tirare il centrodestra a tutti i costi dentro la presunta trattativa tra Stato e Cosa nostra dopo le stragi del ’92 e del ’93. Altro che dichiarazioni più o meno fumose di pentiti o aspiranti tali stile Massimo Ciancimino.

Il perno dell’inchiesta di Palermo sui contatti tra pezzi delle Istituzioni e mafiosi, l’alleggerimento del 41 bis, il regime di carcere duro cui furonosottoposti un migliaio di boss all’indomani degli eccidi palermitani del 1992, avvenne nel 1 993, quando ministro di Giustizia era Giovanni Conso.
E la lista dei 334 cui l’allora Guardasigilli-in via Arenula per due mandati dal febbraio del 1993 al maggio del 1994- fece la grazia di passare a un regime carcerario più morbido, parla chiaro. Non tanto per alcuni nomi di boss di rango che figurano qua e là, in un mare magnum che però - da Adelfio Francesco da Palermo a Zito Vincenzo da Fiumara, da Aquilino Paolo da Montebello Jonico (Reggio Calabria), passando pure per l’algerino Hamoul Mohamed e dallo slavo Haziri Fazli-è fatto anche di ’ndranghetisti, boss della camorra, colombiani e criminali vari.
Ma soprattutto per i nomi di due personaggi, ormai defunti, e che pure fanno parte integrante della presunta trattativa: Vito Ciancimino, l’ex sindaco boss di Palermo che secondo i pm sarebbe stato il tramite della prima fase della trattativa, quella avviatasostengono - a cavallo delle stragi; e Luigi Ilardo, nei primi anni ’90 rappresentante della famiglia mafiosa di Caltanissetta, cugino e braccio destro del boss nisseno Piddu Madonia e che però, scarcerato nel 1994, iniziò a collaborare col Ros,fece l’infiltrato nel tentativo di portare alla cattura di Bernardo Provenzano e che poi, scoperto, fu ucciso dalla mafia, nel 1996.

Insomma, la sinistra trattava i boss coi guanti bianchi, mentre i governi di centrodestra li riacciuffavano, sequestrando loro i beni e spedendoli al carcere duro senza se e senza ma. Ciancimino e Ilardo non sono le sole sorprese contenute neiprospetti riepilogativi sull’andamento del 41 bis in quegli anni trasmessi alla procura di Palermo nel gennaio del 2011 dall’allora direttore del Dap Franco Ionta e agli atti dell’inchiesta palermitana. Spulciando i nomi dei «graziati» dal ministro se ne scoprono delle belle.
Sì, ci sono esponenti di spicco del gotha mafioso dell’epoca come il capomandamento di San Mauro Castelverde Giuseppe Farinella o Giuseppe Gaeta, capo della famiglia mafiosa di Termini Imerese, o ancora il vecchissimo - classe 1917- Nenè Geraci, il capomafia di Partinico (Palermo). Ma ci sono pure personaggi che i galloni di boss li conquisteranno molto dopo, come Vito Vitale, futuro capo di Partinico. Non solo. Un’altra anomalia che salta all’occhio è la presenza di cognomi della vecchia mafia, quella che aveva perso la guerra con i corleonesi guidati da Riina e Provenzano. Come Inzerillo o i due Alberti, Gerlando senior e Gerlando junior, coinvolto il primo nei principali fatti di mafia degli anni ’60 e il secondo nell’uccisione a soli 17 anni, nel 1985, di Graziella Campagna. Colpisce, poi, la presenza di personaggi di rilievo marginale o che persino nulla hanno a che fare con Cosa nostra, come narcotrafficanti colombiani, o esponenti di ’ndrangheta e camorra. Persino Renato Vallanzasca, di cui tutto si può dire meno che sia un capomafia,all’epoca beneficò del mancato rinnovo del carcere duro.
Perché questo strano mix? Non possono non tornare alla mente le intercettazioni sono venute fuori in questi giorni- le preoccupazioni dell’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, e del consigliere del Quirinale Loris D’Ambrosio,che al telefono parlano del suicidio in carcere, nell’agosto del ’93,di Antonino Gioè. E non può non tornare allamente un altro fatto di quel terribile 1993: la lettera che a febbraio i parenti dei detenuti sottoposti al 41 bis nelle carceri speciali di Pianosa e dell’Asinara inviarono al presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Una lettera aspra, dai toni minacciosi, in cui i familiari intimavano al Colle di prendere le distanze dagli «squadristi agli ordini del dittatore Amato ».
Quel Niccolò Amato,all’epoca alla guida del Dap, che pochi mesi dopo sarebbe stato silurato e sostituito col più morbido Adalberto Capriotti, indicato - Scalfaro sentito dai pm di Palermo ha detto di non ricordare, ma lo smentisce il suo ex segretario Gaetano Gifuni- dal Quirinale. Poi Conso fece il resto, con il mancato rinnovo del carcere duro per 334 reclusi. E le bombe si fermarono.

giovedì 28 giugno 2012

Economia domestica

Una curiosa teoria economica è stata annunciata negli Stati Uniti. Il tipo si chiama Marc Faber. È un analista in borsa e uomo d'affari, un imprenditore che ha successo. All'inizio di quest'anno, tra i vari progetti dell'amministrazione Obama per rilanciare l'economia americana, vi era anche quello di dare ad ogni cittadino americano la somma di 600 dollari in modo da far riprendere i consumi.
Marc Faber ha scritto nel suo bollettino mensile un commento con molto umorismo.
Miei cari connazionali americani, il governo federale sta valutando di dare a ciascuno di noi una somma di 600 dollari:

* Se noi spendiamo quei soldi al Walt-Mart-Supermarket, il denaro va in Cina..
* Se noi spendiamo i soldi per la benzina, va agli arabi.
* Se acquistiamo un computer, il denaro va in l'India.
* Se acquistiamo frutta, i soldi vanno in Messico, Honduras e Guatemala, Italia, Spagna.
* Se compriamo una buona macchina, i soldi andranno a finire in Germania, in Giappone o in Corea.
* Se compriamo regalini, vanno a Taiwan,e nessun centesimo di questo denaro aiuterà l'economia americana.
* L'unico modo per mantenere quel denaro negli Stati Uniti è di spenderlo con puttane o birra, già che sono gli unici due beni che producono ancora qui.

Risposta di un economista italiano, anche lui di buon umore:

Carissimo Marc,
La situazione degli americani diventa realmente sempre peggiore. Inoltre mi dispiace informarla, che la fabbrica di birra USA Budweiser è stata acquistata recentemente dalla multinazionale brasiliana AmBev. Pertanto vi restano solo le puttane. Ora, se queste decidessero di inviare i loro guadagni ai loro figli, questi soldi arriverebbero direttamente ai DEPUTATI ITALIANI qui a Roma ... !!!

mercoledì 27 giugno 2012

TRAMONTO FUTURISTA

Lino Adamo

Fini scaricato da Casini: pensa di non ricandidarsi
L'apertura del leader Udc al rosso Bersani ha spiazzato e affondato definitivamente Gianfranco: si ritira?

L'apertura di Pier Ferdinando Casini, che strizza l'occho al Pd di Bersani e si tinge di rosso, potrebbe rivelarsi un suicido politico per l'Udc. Ma la sterzata a sinistra del democristiano, intanto, ha mietuto la sua prima vittima: Gianfranco Fini. Il leader futurista è spiazzato: come spiegare al suo esiguo elettorato che l'ex missino Gianfranco è pronto a marciare insieme agli ex Ds? Impossibile, probabilmente. Dietro alle dichiarazioni di facciata che hanno seguito l'intervista-outing del leader Udc al Corriere della Sera ("Gianfranco Fini era a piena conoscenza delle intenzioni di Casini"...) c'è tutto il disappunto del presidente della Camera, che delle "intenzioni di Casini" non sapeva nulla. Il Terzo Polo è morto (lo ha detto lo stesso Casini dopo la batosta alle amministrative in cui ha trionfato Grillo), e in un partito morto non è necessario che gli (ex) alleati siano a conoscenza delle reciproche strategie.
Riunione d'emergenza - Fini vuole delle spiegazioni: una riunione con Casini, Benedetto Della Vedova, Lorenzo Cesa, Fernando Adornato e Italo Bocchino è stata convocata nel pomeriggio di martedì pomeriggio proprio nello studio del Presidente della Camera. Secondo quanto trapelato, la riunione è stata convocata "per discutere anche delle strategie riguardanti le alleanze in vista delle prossime elezioni politiche". Il presidente della Camera, come detto, si è apprestato a far trapelare che "era al corrente dei contenuti dell'intervista al Corriere della Sera": una frase che nel gergo politico lascia intendere l'esatto opposto. Al termine dell'incontro, durato circa un'ora e mezza, altre dichiarazioni di facciata. Adornato ha spiegato che "il terzo Polo non esiste più, ma certo esistono le sue ragioni fondative. Quello di oggi rientra negli incontri che normalmente facciamo per fare il punto della situazione su diverse tematiche".
La scissione - E se il Terzo Polo è già morto, Futuro e Libertà è un partito spaccato. C'è chi nella sparuta squadra guidata da Fini sarebbe favorevole al cosiddetto "patto tra moderati e progressisti", ossia a "baciare" il Pd generando il più improbabile mostro della seconda Repubblica: ex neri ed ex (?) rossi tutti insieme (Della Vedova, per inciso, ha dichiarato di aver gradito l'intervista di Casini: tutti col compagno Bersani). E Gianfranco? Resta col cerino in mano: un futuro incerto e un partito che è in grado di raccogliere percentuali infinitesimali alle prossime elezioni. E così, in un contesto fluido e difficile da gestire, starebbe cominciando a maturare la decisione "drastica" del presidente della Camera: potrebbe non ricandidarsi al Parlamento.
"Fini è rimasto solo" - La voce è stata rilanciata da Dagospia, che parla del "pissi pissi che impazza sotto o'Vesuvio". Ovvero, "Gianfranco avrebbe in mente il 'bel gesto' per le prossime politiche", lasciando la poltrona in Parlamento e regalando quel (poco) che resta di Futuro e Libertà ai suo colonnelli che non hanno perso tempo a strizzare l'occhio al Partito Democratico. Dagospia cita poi una fonte che sceglie l'anonimato: "Ormai Fini è rimasto solo dopo che Casini lo ha mollato per il Pd. Ecco perché sta meditando il colpo a sorpresa: non candidarsi, evitare il rischio di un flop elettorale e scegliere il gesto nobile". Si ipotizza poi che il "bel gesto" di Gianfranco possa essere il preludio a qualche "incarico prestigioso" nella prossima legislatura. Anche se probabilmente, tra due legislature, di Fini non sentiremo nemmeno più parlare.
da Il Giornale

martedì 26 giugno 2012

Giudici italiani contro l’integrazione

Sta destando scalpore una storia che giunge da Albenga, città ligure in provincia di Savona. Si tratta di adozioni, ma il caso in questione rischia di creare un pericoloso precedente: due bambini, di cinque e tre anni, sono stati assegnati dal Tribunale dei Minori ad una famiglia Musulmana. Questo nonostante siano stati tolti ad un padre sì di religione islamica, ma intenzionato a crescerli ed educarli come cristiani.
Il padre naturale è un artigiano edile, si chiama Khalid, i bimbi li ha avuti da una madre italiana. Ed ora dice:

Dio è uno solo, ma io voglio che i miei figli crescano nella religione del Paese dove sono nati. E voglio che mangino il prosciutto a merenda e l’arrosto di maiale a pranzo, e la bambina non vada in giro con il velo ma faccia i bagni al mare, e il maschietto quando avrà l’età beva ogni tanto una birra con gli amici

Il Tribunale dei minori di Genova per ora è stato di diverso avviso, avendo deciso di assegnare i due bambini ad una famiglia adottiva islamica, con mamma che si è convertita all’Islam da poco.
Lati oscuri anche sulla decisione di togliere la custodia dei figli ai genitori naturali: sulla delibera firmata dal Tribunale dei minori sono citati gli articoli 333 (condotta del genitore pregiudizievole ai figli) e 336 (che indica il procedimento) del codice civile, e si specifica pure che «pur sinceramente affezionato e animato da buone intenzioni, il padre non è in grado neppure di far regolarmente visita ai figli».
Questioni delicate, come tutte quelle che riguardano l’affidamento dei figli, ma Khalid non ci sta e promette battaglia:

Voglio sapere perché si è deciso di affidare due bambini cristiani a una famiglia musulmana. E perché i giudici arrivino ad accusarmi di maltrattamenti o disinteresse pur di riuscire a strapparmeli.

La madre, ex tossicodipendente, è ospite in una comunità di recupero assieme ai due bambini che ora saranno adottati dalla nuova famiglia:

Mia moglie ha fatto qualche sciocchezza di troppo, in passato, e sono stato io stesso ad andare prima dai carabinieri e poi dalle assistenti sociali. L’aspetto, un giorno tornerà a vivere con me. Nel frattempo i miei figli possono rientrare a casa: ho un appartamento, un lavoro onesto e un fratello, sposato con una bambina, che può aiutarmi a seguirli. Sfido chiunque a sostenere che tratto male o trascuro i miei bambini. Mi portino una denuncia, una testimonianza. Soprattutto mi spieghino perché tutta questa determinazione: dal Marocco si sta trasferendo in Italia anche mia madre, che è la loro nonna.

Infine, l’accorato appello di Khalid:

Anche il parroco di San Michele mi ha detto che è un’aberrazione affidare due cristiani a una coppia di genitori musulmani: perché questo non conta niente per i giudici? E perché, se io non lo desidero, i miei ragazzi devono crescere nelle tradizioni e nella cultura del Marocco, e non giocarsi le chances che non ho avuto io

Perché strappare due bambini ad un padre di religione Musulmana che avrebbe voluto educarli all’integrazione e farli diventare cristiani, affidandoli ad una famiglia di religione islamica?

giovedì 14 giugno 2012

La Grecia è un'idrovora di sprechi


il parlamento greco

Di Andrea Brenta

Un funzionario che cerca di mettere a punto una riforma della pubblica amministrazione greca, un sistema ipertrofico, fondato sul clientelismo politico. Davide contro Golia. O, meglio, Teseo nel labirinto del Minotauro. In realtà Panagiotis Karkatsoulis, che ha recentemente (e in un momento in cui l'immagine dei dipendenti pubblici greci è ai minimi) ricevuto il Premio internazionale della società americana per l'amministrazione pubblica, non è l'unico funzionario a operare per le riforme della p.a. greca, ma uno dei più visibili. In un grafico, da lui battezzato «macaroni» e dedicato al coordinamento delle politiche pubbliche, Karkatsoulis ha cercato di «rappresentare chi dà ordini a chi, compilando le attribuzioni di ciascun ministro».

Partendo dal premier fino ai principali ministeri, lo schema mostra la catena di comando e le relazioni fra i differenti dicasteri. Il risultato assomiglia molto a un piatto di spaghetti... alla greca. «Come è possibile governare con questo?», si chiede il funzionario, che punta il dito contro altre assurdità del sistema. Per esempio, i due terzi delle misure sono presi attraverso decreti ministeriali (contro solo il 2% attraverso delle leggi). Il primo governo Papandreou contava 15 ministri, 9 viceministri e 21 ministri aggiunti, già più che sufficienti per un paese di 11 milioni di abitanti. Se non che, bisogna aggiungere 78 segretariati generali o speciali, 1.200 consiglieri, 149 direzioni generali e 886 direzioni. Il sovraccosto generato dall'amministrazione è stimato in 14 miliardi di euro.

Diversi anni fa un ministro aveva chiesto a Karkatsoulis di censire le strutture amministrative senza ragione di essere. Il funzionario aveva spiegato al ministro che quelle che contavano meno di cinque persone sarebbero dovute sparire per essere accorpate ad altre. Il ministro aveva portato il limite a tre persone. Oggi il 20% delle strutture dell'amministrazione greca non ha impiegati, il che significa che è composto unicamente da un responsabile con un titolo e un'indennità per dirigere se stesso. E il 57% ha tre impiegati o meno.

«È la caratteristica dei sistemi clientelari», spiega un funzionario europeo. «La funzione serve a ricompensare un affiliato politico». Un sistema ereditato dall'impero ottomano e perfezionato soprattutto con l'arrivo al potere, nel 1981, di Andreas Papandreou (1919-1996). Il primo ministro socialista ha soppresso le direzioni generali dei ministeri per rimpiazzarle con posizioni più politiche.

Karkatsoulis conta sulle dita di una mano i ministri riformatori che ha visto passare in vent'anni. E racconta di come essi siano stati rapidamente passati ad altre funzioni. Il primo fra questi fu Anastasios Peponis, che nel 1994 modificò la legge sul reclutamento dei funzionari per introdurre un po' di meritocrazia. «All'interno del governo tutti erano contrari. E hanno aggiunto degli emendamenti per attenuare la norma». Andò peggio a un altro ministro riformatore, Stavros Bénos, che fu presto spedito al ministero del mar Egeo. Si è dovuto attendere l'arrivo della «troïka» (Bce, Fmi, Commissione Ue) nel 2010 per veder ripartire il treno delle riforme. Ma a un prezzo ben più alto.

mercoledì 13 giugno 2012

Moderati, sveglia, la vostra leader si chiama Elsa Fornero



JACOPO TONDELLI
Oggi, un nuovo attacco da parte di Susanna Camusso che spara a zero e dici che alla Fornero “i licenziamenti piacciono”. Sullo sfondo, il continuo dissidio con Patroni Griffi, protettore del pubblico impiego cui non bisogna chiedere mai. Invece di perdersi tra i cocci del Pdl o gli auspici di uomini nuovi che non lo sono da 20 anni, chi vuole rifondare un centrodestra, dovrebbe puntare su Elsa Fornero.

“Alla Fornero piaccono i licenziamenti, è insensibile alle sofferenze”. Una Susanna Camusso al limite dell’attacco personale, forse oltre il limite del buon gusto, spara a zero oggi sulla ministra del welfare Fornero. La stessa Fornero che, ormai da settimane, viene attaccato dal ministro Patroni Griffi perchè pone - razionalmente - il punto dell'assurda diseguaglianza di trattamento tra lavoratori pubblici e privati rispetto alle norme sul licenziamento.
Due indizi non fanno una prova, ma se fossi un “sincero liberale” dotato di molti soldi, di capacità di influenza, e di pasisone civile non avrei dubbi: per rifare un centrodestra appena decente, in questo paese sprovvisto dell’abc dell’alternanza, punterei tutto su di lei. Inutile perdere tempo coi cocci di un pdl che elegge Schifani ad autorità morale. Inutile aspettare che un nuovo centrodestra nasca dall'espansione improbabile di Casini e del suo faticoso 8 per cento. Inutile attendere uomini nuovi che non erano nuovi neanche vent’anni fa.
Elsa Fornero ha fatto l’unica cosa che davvero resterà di questo governo, cioè la riforma delle pensioni. Ha mostrato carisma politico e la giusta capacità di dividere: vedi Cgil e Patroni Griffi. Sa parlare con tutti, compresi gli operai della Fiom (che si mostrano comunque più capaci di dialogo della Camusso) e i ragazzini saccenti che non si alzano dalla sedia per salutare un ministro della Repubblica. È una donna, una donna normale che si è fatta strada con il cervello e un sistema di relazioni rispettabile, dopo un parlamento popolato di amazzoni e veline.
Insomma, cosa aspettano i liberali italiani, i montezemoli sempre “sul punto di”, quel che resta dei brandelli del progetto liberale di massa di Berlusconi, gli Antonio Martino, i Beppe Pisanu? Una leader se vogliono ce l'hanno. Si chiama Elsa Fornero. E a giudicare dalla caciara lanciata da Susanna Camusso, qualcuno - dall'altra parte della barricata - lo ha anche capito.

giovedì 7 giugno 2012

Perché ti vesti di robe altrui?

In questi giorni di annotazioni terribili dal fronte del terremoto, che sembra distante se visto in tv, ma che è realmente dietro l’angolo, un annuncio passa in secondo piano. Ritengo importante farvi sapere (ancor di più se è rilevante per i nostri cittadini) come mai l’IMU si è volatizzata. Lo scontro silenzioso e serrato che si è combattuto fra le mura del comune ha ottenuto il primo risultato eccellente: niente IMU sulla prima casa. Dopo la presentazione del nostro studio per l’eliminazione dell’IMU sul bilancio comunale alle parti politiche che sostengono il sindaco Mario Faccioli ha creato un pandemonio. Il loro progetto iniziale era: irpef al 6,5 per mille ed IMU su tutto. Poi con l’eliminazione dell’IMU sulla prima casa il Sindaco vuole aumentare l’addizionale al 7-8 per mille. Milioni di euro di tasse in più. Alcuni consiglieri da sempre impegnati contro gli eccessi della tassazione hanno intrapreso un serrato confronto con il sindaco per rigettare la proposta. Super Mario ha condotto il gioco come sempre: irritato, ha sfidato tutti a contraddirlo “dopo tutto il tempo e lavoro speso mi ….!!!!!”. Anche altri hanno speso tempo e lavoro, “forse più esperti di lui” hanno studiato il bilancio ed hanno scoperto che sotto varie voci come avanzo dell’ anno passato, gli oneri di urbanizzazione ecc cerano soldi nascosti ( quasi un milione di euro) per poter fare un po’ di maquillage alla cittadina nell’ ultimo anno da sindaco. E’ stato fatto un gran pressing per evitare che la giunta e il sindaco trascurassero le difficoltà della gente nel pagare sempre più tasse e sempre più insostenibili. Dopo un’animata “discussione” si è raggiunto il risultato sperato: in soli due giorni è sparito un balzello da oltre un milione di euro. Festeggiamo e ringraziamo chi ha sfasciato la proposta inaccettabile di Super Mario che è stata difesa da pochissimi consiglieri a lui fedelissimi. Il nostro sindaco è sempre più solo in quest’ ultima parte di mandato. Forti di questo risultato per noi tutti, chiediamo ai nostri amici di proseguire l’opera: c’è ancora da migliorare, l’ addizionale irpef era il 2 per mille solo un anno fa. Oggi il sindaco la vorrebbe all’8 (quattro volte tanto in un anno). Ci auguriamo che venga fatto tutto il possibile per riqualificare la spesa. Niente spese inutili. Niente “marchette pre elettorali” tipiche dell’ultimo anno di tanti sindaci. Chiediamo: Analisi seria dei costi nascosti che il comune sostiene per l’attività concertistica e le feste di ogni genere. Oggi più che mai in un periodo di crisi profonda, bisogna abbandonare le spese inutili per far si che questi non ricadano sui nostri concittadini sotto forma di tasse, bisogna garantire la spesa qualificata,la manutenzione del territorio ( e non solo delle strade delle frazioni che stanno a cuore al sindaco), la difesa sociale e basta. Abbassiamo il più possibile l’addizionale irpef che colpisce i pensionati e dipendenti in busta paga. Chiediamo a consiglieri ed assessori che non si riconoscono nelle proposte del sindaco di avere il coraggio di uscire allo scoperto.
Lino Adamo

domenica 13 maggio 2012

“Gomorra” e il pizzo: tutti zitti. Ma se il pentito avesse detto le stesse cose sul Cav?



Girolamo Fragalà

Nessuno vuole fare il processo, per carità. Di processi mediatici ne abbiamo le tasche piene, è roba da Santoro. Strano però che la notizia non abbia stuzzicato la curiosità dei giornali, specie di quelli che pubblicano pagine e pagine di intercettazioni, anche quelle più inutili e improbabili, “Tizio ha detto di essere andato al bar con Caio” e “Sempronio ha detto di aver conosciuto una donna che aveva gambe da spezzare il fiato”. E invece niente. “Il Fatto” ha dedicato una pagina alle parole del pentito di camorra Oreste Spagnuolo: «Senza il pizzo “Gomorra” non lo avrebbero girato». Il regista Matteo Garrone sarebbe stato vittima di un’estorsione e avrebbe pure incontrato un malavitoso agli arresti domiciliari. Il condizionale è d’obbligo perché anche dei pentiti – o meglio, di un certo pentitismo – ne abbiamo le tasche piene. Ma una piccola punzecchiatura è lecita: «Se fosse successo per un film prodotto dalle società che fanno capo al gruppo Berlusconi sarebbe già scoppiato uno scandalo», ha detto Maurizio Gasparri. Peraltro, «già è noto che numerosi interpreti del film sono stati arrestati perché erano effettivamente delinquenti. Attori che non si sa bene come siano stati selezionati». Parole inconfutabili: nessuno ha detto una parola, neppure quei deputati della sinistra che solitamente mandano fiumi di comunicati alle agenzie. «Speriamo – ha aggiunto Gasparri – che non sia vero. Ma Saviano non ha nulla da dire?». Lo scrittore si è chiuso a lungo nel silenzio e i partiti non hanno voluto distoglierlo dal suo momento di meditazione. Resta un interrogativo: se il pentito avesse fatto – anche di sfuggita – il nome di Berlusconi, che cosa sarebbe accaduto? Meglio soprassedere, altrimenti si rischia una risposta alla Catalano: «È meglio essere sani e ricchi piuttosto che essere poveri e malati».

lunedì 30 aprile 2012

25 aprile una data che divide un paese già diviso

Ho cercato di informarmi con tutti i mezzi a mia disposizione di Destra, di Sinistra o di Centro non importa, per comprendere perché il 25 aprile è una data che fraziona un paese già diviso. La Resistenza italiana (ma detta anche Resistenza Partigiana), fu l’insieme dei movimenti politici e militari che in Italia dopo l’8 settembre 1943 si opposero al nazifascismo. Il periodo documentato in cui il movimento fu attivo, comunemente indicato come “Resistenza”, termina nei primi giorni del maggio 1945, durarono quindi 20 mesi circa. La scelta di ricordare il 25 aprile 1945 fa riferimento alla data dell’appello diramato dal CLNAI per l’insurrezione armata sella città di Milano, sede del Comando Partigiano dell’Alta Italia. Invece di unire tutti gli italiani il 25 aprile inteso come festa della liberazione dal nazifascismo, continua a frazionare. Bisogna prenderne atto, non è diventato solida memoria collettiva dei suoi cittadini, perché? La festa del 25 aprile fu decisa nel 1946 dal premier democristiano Alcide De Gasperi, dietro la spinta poderosa del comunista Giorgio Amendola, dirigente pci e allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sono anni che questa data viene brandito come una clava contro “qualcuno” ovvero contro il nemico di turno, che fino a ieri era Berlusconi. La data del 25 aprile, che avrebbe dovuto simboleggiare la festa della libertà, è diventata sempre di più una festa di parte e un ulteriore motivo di scontro tra fascisti e antifascisti, comunisti e democristiani: è lo spirito di divisione che ci portiamo dietro da secoli. Le grandi date, quelle che diventano sangue e carne di una nazione, non si possono imporre per decreto, ma si riconoscono dall’emozione e dal tormento che evocano. La Francia ha il 14 luglio, l’America il 4 luglio, il 12 ottobre la Spagna, sono tutte feste nazionali dove tutti si fermano e le festeggiano uniti sotto le proprie istituzioni, nessuno pensa che siano feste di parte o di divisione e nessuno le rivendica, ma tutti si sentono orgogliosi di far parte delle proprie nazioni in questi giorni di festa. In Italia invece da 67 anni il 25 aprile divide le persone, non le unisce perche? Il fascismo volendo rafforzare l’identità nazionale inventò la storia della “gloria militare perduta” e riempì il calendario di feste nazionali che però erano tutte feste di regime. Feste che la Repubblica ha abolito senza trovarne una valida per tutti. Nel 25 aprile c’è ancora un sedimento di ideologia e retorica. E’ giusto riconoscere alla Resistenza i meriti che ha; ma senza attribuirne quelle che non ha. Il 25 aprile sa ancora di cellula di partito: risente dell’egemonia comunista che servì al pci per prendere parte alla spartizione del potere finita la guerra. Vorrei ragionare con voi sui tanti perché questo 25 aprile divide e non unisce, senza parlare di partigiani o di fascisti durante la guerra. Non mi interessa quello che hanno fatto i fascisti o i partigiani, non mi interessa perché chi pensa che i fascisti siano tutti bravi continuerà a pensarlo, chi pensa che siano tutti cattivi continuerà a pensarlo, chi pensa che erano sia buoni che cattivi idem, stessa cosa per i partigiani, quindi perché il 25 aprile divide e non unisce? A mio avviso è ancora una volta colpa della politica italiana che dal 46 ad oggi, con motivazioni diverse, ha voluto questo fino a tangentopoli, correggetemi se sbaglio, il 25 aprile era una festa nazionale che però era snobbata da molti partiti politici (DC PRI PLI PSI) ricordo che da bambino nei cortei del 25 aprile vedevo solo bandiere del pci , bandiere tricolore o bandiere di altri partiti politici. Questo ha fatto si che detta festa si alterasse in una festa privata e non più nazionale. Prima di tangentopoli una grossa parte politica italiana non aveva interesse a prendere parte alle celebrazioni del 25 aprile per motivi loro (giusti o sbagliati non lo so) con tangentopoli cambia completamente lo scenario politico italiano. La destra e la Lega con Berlusconi vanno al governo e da quel momento, sempre per interesse politici si sono accese le polemiche sul 25 aprile. Chi dal 1946 ha sempre festeggiato detta festa (pci) non voleva che alla suddetta festa potessero parteciparvi altri che non fossero loro specie se facenti parte della Lega, AN o FI. Da tangentopoli ad oggi questo accade ogni anno, con una parte politica che rivendica a se detta festa, ed un’altra che a seconda della polemica locale o nazionale che si va ad innescare, non la riconosce o si dice vittima di non vuole che presenzi a detta festa. Tutto questo ha portato ad avere gli italiani divisi in 3 gruppi. Ecco la differenza tra il nostro 25 aprile e le feste sopra citate. Le ricorrenze sono un ponte, fra noi, il nostro passato e la nostra storia. Chi dimentica la propria storia rischia di ripeterne gli errori. Lino ADAMO

giovedì 5 aprile 2012

Bossi si è dimesso da segretario federale della Lega


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NEWS

Umberto Bossi si è dimesso da segretario federale della Lega dopo lo stillicidio di notizie che anche oggi ha sommerso la Lega e la gestione familistica del denaro da parte del tesoriere Francesco Belsito in favore del Senatùr e dei suoi familiari e di alcuni tra i maggiori esponenti del Carroccio. Si va verso un triumvirato di reggenza. Bossi è stato intanto nominato presidente del partito.

«Chi sbaglia paga, qualunque sia il cognome che porta». Avrebbe detto così Umberto Bossi – secondo quanto ha riferito l’europarlamentare Matteo Salvini a Radio Padania – durante il consiglio della Lega Nord al termine del quale si è dimesso da segretario federale del partito. Lo stillicidio di notizie che anche oggi ha sommerso la Lega e la gestione familistica del denaro da parte del tesoriere Francesco Belsito in favore del Senatùr e dei suoi familiari e di alcuni tra i maggiori esponenti del Carroccio lo ha portato a dimissioni «irrevocabili» nel corso del consiglio federale. Si va verso un triumvirato di reggenza, mentre il Senatùr è stato immediatamente nominato presidente. I tre reggenti sono il coordinatore delle segreterie nazionali, Roberto Calderoli, l’ex ministro dell’Interno, Roberto Maroni e la parlamentare vicentina Emanuela Dal Lago. Stefano Stefani, presidente della commissione Esteri di Montecitorio, è stato invece nominano nuovo tesoriere della Lega. «Sono notizie che colpiscono, credo che adesso non sia possibile un commento, vediamo come si evolve la situazione», ha detto il governatore della Lombardia Roberto Formigoni nell’apprendere la notizia. Ma si è detto sicuro che niente cambierà per gli equilibri in Giunta.
Classe 1941,Bossi è in politica da 30 anni, con il chiodo fisso del federalismo: 4 lustri tra aule parlamentari, stanze del governo, comizi sul pratone di Pontida e ampolle con l’acqua del sacro fiume Po. Prima di incrociare la propria strada con la politica, il Senatur, che aveva lasciato la scuola per aiutare la famiglia, trova un impiego all’Aci di Varese, poi ottiene il diploma di perito elettronico alla scuola per corrispondenza Radio Elettra, lavora come operaio, perito tecnico e informatico. Nel 1961 tenta la strada del successo musicale partecipando col nome d’arte di Donato al Festival di Castrocaro. La musica, però, non è nel suo destino. L’impatto con le teorie autonomiste e federaliste avviene nel 1979, quando Bossi incontra all’Università di Pavia il leader dell'Union Valdotaine Bruno Salvadori. Nel 1980 Bossi fonda un gruppo che chiama Unione nord occidentale lombarda per l'Autonomia. È l’inizio di tutto. Oggi, forse, la fine.

martedì 20 marzo 2012

Sigari e film porno: nel mondo ci si dimette per molto meno



A CURA DI MARCO BRAGHIERI E CARLO MANZO
In Italia l’ipotesi di dimissioni per Michele Emiliano, e molti altri prima di lui, sembra fantascienza. Eppure, all’estero, ministri, deputati, banchieri hanno spesso lasciato l’incarico per “piccole sciocchezze”: un film porno comprato per errore a spese delle Stato, qualche riga copia-incollata nella tesi di laurea, una battuta poco spiritosa o troppi sms a una ballerina sexy. Tutti i casi degli ultimi cinque anni nella nostra infografica, che vi riproponiamo.

domenica 11 marzo 2012

Urso a Fini: "Non sarò mai un'icona della sinistra"


Politica

L'onorevole: "Se la nave cambia rotta, in molti non ci saremo". Sul caso Rivellino: "Ha lasciato per il sospetto che si appoggi il Pd"


"Se la nave cambia rotta, in molti non ci staremo". Parola di Adolfo Urso, insieme ad Andrea Ronchi leader dell'area moderata (e più insoddisfatta) di Futuro e Libertà, la creatura politica di Gianfranco Fini che continua a perdere pezzi: giovedì ha detto addio al presidente della Camera il coordinatore in Campania del partito, Enzo Rivellini. Urso, intervistato dal Corriere della Sera, invia dei messaggi molto precisi a Gianfranco: il disegno di Fli è quello di "creare una destra riformista europea, parte di un bipolarismo normale, non tribale. E' l'unico progetto di Futuro e Libertà che conosco e sono disposto a realizzare. Fini lo sa, con lui sono stato chiaro".

"MAI UN'ICONA DELLA SINISTRA" - Urso utilizza il termine "tribale", quasi a voler riprendere e rimarcare le accuse mosse giovedì dall'europarlamentare di Fli, Potito Salatto, che imputa a Fini una "gestione padronale" del partito. Urso sottolineao poi il disagio provato nel veder sfilare i suoi tra la bandiere dell'Idv di Di Pietro e quelle di Rifondazione comunista. "I miei colleghi intervenuti sono stati chiamati 'compagno Granata e compagna Perina'. Ecco - pone dei paletti ben precisi - a me non si potrà mai chiedere di diventare un'icona della sinistra".

"SE IL PROBLEMA SONO IO, MI TIRO INDIETRO" - Urso si spende poi in un'analisi sulla collocazione politica del partito di Gianfranco Fini. Sta bene il Terzo Polo, che però è ancora orfano di un coordinatore unico. "Casini aveva proposto il mio nome. Rutelli anche - spiega Urso -. Fini no. Se il problema sono io, mi tiro indietro". Quindi l'onorevole torna ancora sull'affaire Rivellini: "A Napoli c'è il forte sospetto che al secondo turno il nostro candidato appoggerà il centrosinistra. Per questo il coordinatore regionale Rivellini ha lasciato il partito".


“da il Giornale”

lunedì 5 marzo 2012

Il futuro della destra italiana

05 / Mar
2012
Lettera Politica 335
• Scritto da Paolo Danieli


Nei paesi europei la destra ha un bacino elettorale medio del 20%, voto più, voto meno. In alcuni stati è frammentata, sparsa in vari partiti o allocata in qualche contenitore moderato, in altri è riunita in un unico movimento, ma lo spazio elettorale su cui può contare mediamente è un 20%. In alcuni momenti lo spazio si contrae, in altri si espande, a seconda delle situazioni. Ci possono essere momenti favorevoli nei quali la destra supera quella soglia o altri in cui cala. Ma quello è il suo bacino.
Ci sono casi, come quello francese, dove il Front National punta a raggiungere un 30% alle prossime presidenziali o come quello tedesco dove oltre a piccole formazioni politiche radicali un significativo spezzone della destra politica è all’interno della Csu/ Cdu.
In Italia durante la Prima Repubblica la destra ha avuto la principale espressione partitica nel Movimento Sociale Italiano, anche se una parte di elettorato di destra era collocato, in funzione anticomunista, nella Democrazia Cristiana.
Nella Seconda Repubblica la situazione è cambiata. Il voto di destra si è distribuito fra Alleanza Nazionale, continuazione del Msi, e altre formazioni minori, come Fiamma e Forza Nuova. Tuttavia il voto di destra è andato anche a Forza Italia e, soprattutto, alla Lega. Poi, nell’ultima fase della Seconda Repubblica, con la costituzione del Pdl, l’elettorato di destra si è collocato in gran parte in questo contenitore, oltre che nella Lega e in formazioni minori, come la Destra.
Ora il ciclo della Seconda Repubblica si è concluso e con esso, verosimilmente, quello dei partiti che l’hanno popolata. C’è da chiedersi quale sarà il futuro della destra nella Terza Repubblica prossima ventura. Fare previsioni, si sa, è pericoloso. Ma lo è altrettanto non porsi il problema e continuare come se niente fosse.
Bisogna allora ragionare circa le prospettive, analizzando le dinamiche che si sono innescate.
A una prima analisi già un elemento balza all’occhio: nel nord del paese c’è la Lega che sequestra una grande mole di voti di destra. Ciò rende impossibile costruire un grande partito di destra che vada a coprire quel bacino elettorale del 20% di cui si diceva sopra. Chi si pone il problema di tenere viva e unita la destra non può prescindere da questo dato.
Ne consegue che allo stato attuale e con una legge elettorale che tende a favorire le aggregazioni l’unico modo per tenere unita la destra è collocarla in un grande contenitore moderato. Con due prospettive. Una, quella diegemonizzarlo attraverso la coesione e la proposta politica. L’altra, quella di attendere che all’esterno si creinole condizioni per costituire un grande partito di destra autonomo. E l’una non esclude l’altra.
Paolo Danieli

domenica 4 marzo 2012

Turchia: scoperta Bibbia di 1500 anni fa`




ANKARA - Durante un’operazione antiricettazione nel 2000, la polizia turca ha trovato una Bibbia finita in un deposito e riscoperta solo ora.
Secondo l’agenzia di stampa iraniana Mehr News, il Vaticano ha chiesto alla Turchia di esaminare l’antica Bibbia scritta 1500 anni fa.
Scritta a mano e in ottimo stato di conservazione, contiene molte tracce del periodo a cui risale. La Bibbia sarebbe in aramaico con alfabeto siriaco su fogli di pelle.
Il suo valore è di 17 milioni di euro.
L’opera sacra, affidata da poco al Museo etnografico di Ankara, è stata richiesta dalla Curia vaticana. La notizia è stata data dal ministro della Cultura e del Turismo Ertugrul Gunay ed è stata riportata dall’agenzia Anadolu. La Bibbia ha fatto nascere la curiosità dello Stato Vaticano in quanto sembrerebbe che la copia sia del controverso Vangelo di Barnaba. Il Vangelo di Barnaba, ricorda il sito del quotidiano di ispirazione islamica Zaman, contraddice il racconto canonico del Nuovo Testamento ''ma ha un forte parallelismo con la visione islamica di Gesu'.
“E' stata scritta in una lingua simile a quella parlata da Gesù”, ha spiegato il ministro all’agenzia di stampa turca,“probabilmente si tratta di aramaico”. Le copie più antiche del Vangelo di Barnaba risalgono al XVI secolo e sono scritte in italiano e spagnolo. Molti dei suoi contenuti e temi sono analoghe alle idee islamiche e include una profezia di Gesù sull'arrivo del profeta Mohammad (SAW) sulla terra. Il manoscritto, oltre ad avere un’enorme valore storico-religioso ha un valore reale di 17 milioni di euro e per una sola copia fotostatica, “viene stimata in 1,3 o anche 1,7 milioni” si legge tra le pagine del quotidiano filogovernativo Today’s Zaman.

mercoledì 29 febbraio 2012

Terroristi al potere? Il Pdl di Milano si dimentica di quelli dei Nar


Alessandro Da Rold

Il centrodestra di Milano che attacca Maurizio Azzolini, capo di gabinetto con la pistola del vicesindaco, si dimentica di Pasquale Lino Guaglianone, membro del consiglio di amministrazione di Ferrovie Nord Milano e presidente del collegio sindacale di Fiera Congressi. Ha sul capo una condanna a cinque anni per banda armata e riciclaggio. Faceva parte dei Nar, i Nuclei armati combattenti di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, condannati per la strage di Bologna del 1980.

sabato 25 febbraio 2012

Lo strano destino di Tosi: senza Palermo non vince a Verona


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ALESSANDRO DA ROLD E MARCO SARTI
Galan e Miccichè provano a scendere in campo alle amministrative di Verona. Con il progetto Grande Nord. Se i leghisti non sembrano disposti ad accettare il sostegno dell’ex sottosegretario, Angelino Alfano potrebbe anche benedire l’operazione. A patto che Grande Sud aiuti il Pdl a giocare un ruolo centrale a Palermo.
Il destino del centrodestra tra Verona e Palermo. È attorno alle elezioni amministrative di queste due città che Pdl, Terzo polo e Grande Sud fanno e disfano accordi e alleanze. Il futuro della partitocrazia italiana passa anche da qui.
In Veneto la novità è rappresentata dall’asse tra Gianfranco Miccichè e Giancarlo Galan. Il leader del partito meridionalista e l’ex ministro dei Beni culturali - amici da tempo - avrebbero già trovato un accordo. Il progetto è una formazione di centrodestra di stampo nordista, da tenere a battesimo già alle consultazioni di maggio. A Verona i due stanno pensando di presentare una lista di Grande Nord - una costola padana del partito di Miccichè - per sostenere la candidatura di Flavio Tosi. «Quella di esportare in Veneto il mio movimento politico è molto più di un’ipotesi», ammette l’ex sottosegretario. Un’iniziativa talmente concreta che il leader siciliano rivela di aver già depositato il simbolo di Grande Nord. «E tanto per non correre rischi - racconta - anche quello di Grande Italia». Per studiare i dettagli dell’intesa, in questi giorni si stanno muovendo a Verona gli uomini di Miccichè e Galan. Su tutti il deputato salernitano - ma veneto d’adozione - Gerardo Soglia e il presidente dell’Ater veronese Niko Cordioli.
Nella sede del comune scaligero, però, i fedelissimi del primo cittadino leghista continuano a ribadire di non aver avuto contatti con Miccichè. Non solo. A poche ore dalla notizia che una lista di nome Grande Nord avrebbe potuto appoggiare Tosi, un tosiano di ferro di nome Roberto Maroni ha replicato seccamente su Facebook alle aspirazioni dell'ex sottosegretario. «Ecco il “nuovo” che avanza (nientemeno che dalla Sicilia poi...). Il trasformismo del Gattopardo è una costante che ricorre sempre nella politica italiana. Noi siamo diversi, Padania libera». Lo stop maroniano non sembra casuale. Anche perché il quadro resta molto complesso. Si interseca a sua volta con l’intenzione di Tosi di presentare una sua lista civica personale, opzione di nuovo bocciata dal leader Umberto Bossi proprio oggi alla Camera. Ma il sindaco vuole andare avanti per la sua strada. La sensazione è che su Verona, come su Palermo si stiano concentrando tutte le difficoltà del centrodestra, orfano della storica alleanza tra Umberto Bossi e Silvio Berlusconi.
Diverso il ruolo di Giancarlo Galan. L’ex presidente del Veneto vuole giocare la sua partita alle amministrative, ma non vuole rompere definitivamente con il Pdl. Consapevole che la nascita di una lista di Grande Nord a Verona finirebbe inevitabilmente per attirare diversi dirigenti locali berlusconiani, aspetta il placet di via dell’Umiltà. E a quanto pare l’ok di Angelino Alfano potrebbe davvero arrivare. Ad una condizione. Galan e Miccichè sarebbero liberi di presentare una loro lista a Verona, a patto che il Pdl riesca a chiudere un accordo con Grande Sud e Terzo Polo a Palermo.
Il ruolo di tessitore chiesto a Miccichè è fondamentale. Nel capoluogo siciliano Udc, Fli, Mpa e Grande Sud appoggiano il candidato indipendente Massimo Costa. Giovane e molto apprezzato in città, Costa avrebbe buone possibilità di conquistare la poltrona di sindaco. Il Pdl vorrebbe sostenere lo stesso candidato, ma finora i veti dei finiani hanno chiuso ogni possibilità di alleanza. A via dell’Umiltà sperano ancora in un accordo in extremis. Ecco perché ancora aspettano a ufficializzare la candidatura di Francesco Cascio, il presidente dell’Ars e al momento seconda scelta dei pidiellini.
Miccichè ha già iniziato la sua opera di persuasione con gli alleati del Terzo polo. Oggi a Montecitorio - gremita in occasione del voto sul decreto milleproroghe - i contatti tra i protagonisti della vicenda siciliana sono proseguiti senza sosta. In Transatlantico l’ex sottosegretario ha prima avuto un lungo colloquio con il futurista siciliano Fabio Granata. Poi con il presidente dei deputati Fli Benedetto Della Vedova. Mentre, poco lontano, si aggirava per il palazzo anche il governatore della Sicilia e leader dell’Mpa Raffaele Lombardo.
Trattativa difficile. «Miccichè ci sta provando - ammette Granata - vuole aprire al Pdl per un interesse tattico. Ma noi non siamo disposti ad accettare». E se l’Udc sembra più possibilista sull’opportunità di allearsi con il partito di Alfano a Palermo, i finiani possono contare sulle resistenze dell’Mpa.

giovedì 23 febbraio 2012

Miccichè e Galan ci provano con Tosi, «Grande Nord» spacca il Pdl


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ALESSANDRO DA ROLD E MARCO SARTI
Grandi manovre nel centrodestra. Non solo a Roma, ma a pure a Verona, dove Gianfranco Miccichè e Giancarlo Galan stanno mettendo a punto il progetto di una Lista Civica «Grande Nord» con cui superare il Popolo della Libertà e appoggiare il leghista Flavio Tosi. L’ex sottosegretario, già fondatore di Grande Sud è pronto ad aprire una succursale del suo movimento anche in Padania. «Il sogno - racconta uno dei suoi fedelissimi - è riuscire un giorno a unire le due realtà e creare Grande Italia». Fantapolitica? Tutt’altro. Stando alle voci che girano a Montecitorio il progetto di Miccichè è estremamente concreto.
Gianfranco Miccichè lancia la sfida al Popolo della Libertà. Prima l’allontanamento dal partito di Berlusconi e la nascita di Grande Sud. Adesso con l’aiuto di Giancarlo Galan - già governatore del Veneto - l’ex sottosegretario è pronto ad aprire una succursale del suo movimento anche in Padania. Con poca originalità la nuova formazione si chiamerà Grande Nord. «Il sogno - racconta uno dei suoi fedelissimi - è riuscire un giorno a unire le due realtà e creare Grande Italia». Fantapolitica? Tutt’altro. Stando alle voci che girano a Montecitorio il progetto di Miccichè è estremamente concreto. E per ora si muove su due piani. A livello locale i deputati arancioni stanno preparando, d’accordo con Galan, una lista veronese per appoggiare il sindaco Flavio Tosi. A livello nazionale si sta studiando la possibilità di far nascere un nuovo gruppo alla Camera.
L’iniziativa veneta è nata proprio da un’idea di Miccichè e Galan. «L’ex ministro - racconta un deputato che lo conosce bene - ragionava da tempo sull’ipotesi di presentare liste civiche alle amministrative di maggio. Questo progetto di una lista veronese alternativa al Pdl non mi stupisce. Lui e Miccichè sono grandi amici». L’obiettivo è quello di anticipare i berlusconiani locali - già divisi dai litigi nell’ultimo congresso provinciale e ufficialmente ancora in cerca di un proprio candidato - e sostenere la conferma a sindaco di Flavio Tosi. «In questo modo - racconta un esponente di Grande Sud - sfileremo al partito di Alfano gran parte dei dirigenti locali. Che sono quasi tutti filo-tosiani». Galan, da parte sua, ha un’ottima intesa con il sindaco leghista e continua sul territorio la guerra con l'ex ministro al Welfare Maurizio Sacconi, che prima dei congressi del Pdl aveva stretto un'alleanza con il coordinatore regionale Alberto Giorgetti proprio in chiave anti ex ministro della Cultura. L’ex governatore lo ha anche detto espressamente in un’intervista della scorsa settimana al quotidiano Nordest. Al giornalista che gli chiedeva chi vorrebbe avere al suo fianco in un consiglio di amministrazione, ha risposto senza dubbi: «Cacciari e Tosi». Insomma, a Verona le truppe galaniane sarebbero più che disposte ad appoggiare il sindaco della Lega.
Al momento si stanno ancora studiando i dettagli dell’accordo. A seguire il dossier sono l’ex senatore Paolo Danieli, il vicesindaco di Verona Vito Giacino e il deputato - salernitano di nascita ma veronese d’adozione - Gerardo Soglia. Le uniche complicazioni potrebbero arrivare dai malumori della Lega. Da tempo, infatti, il cerchio magico di Umberto Bossi continua a remare contro la presentazione di una lista civica di Tosi in vista del congresso nazionale del Carroccio in giugno. L'allontamento da parte di Roberto Calderoli dalla vicepresidenza del parlamento della Padania è lì a dimostrarlo.
Sull’intesa con il sindaco leghista si fondano le mire espansionistiche di Miccichè. Se Verona offre una grande vetrina mediatica, il sogno è quello di presentare le liste di Grande Nord in tutto il Veneto. Da questo punto di vista l’ex sottosegretario potrebbe trovare una sponda importante in alcuni deputati del posto. Gli ex Pdl Fabio Gava e Giustina Mistrello Destro, usciti dal partito di Berlusconi lo scorso autunno e oggi vicini alle posizioni di Luca Cordero di Montezemolo.
Del resto, il canale tra Miccichè e i fuoriusciti berlusconiani è già aperto. Qualche tempo fa l’ex sottosegretario siciliano li ha contattati per dar vita all’idea Grande Nord anche in Parlamento. Il progetto è semplice: riunire dieci deputati meridionali e dieci settentrionali per formare il gruppo di Grande Italia alla Camera. L’iniziativa è in stand by: i numeri non sono ancora sufficienti. Grande Sud è fermo a nove parlamentari. Mentre Gava e Destro hanno raccolto - nella componente Liberali per l’Italia del gruppo misto - altri tre colleghi.
Eppure la formazione dei due veneti filo-montezemoliani è destinata a crescere. A breve dovrebbero aderire alla componente il Responsabile Roberto Marmo e il neodeputato Angelo Santori: entrato alla Camera da poche settimane in sostituzione del pidiellino Giulio Marini (che al seggio di Montecitorio ha preferito la poltrona di sindaco di Viterbo). Non è tutto. Stando alle indiscrezioni che girano a Palazzo potrebbero presto far parte della formazione altri deputati berlusconiani. Gente come Giorgio Stracquadanio e Isabella Bertolini, che con Gava e Destro hanno firmato lo scorso autunno la famosa lettera in cui si chiedeva un passo indietro a Berlusconi.
Risolto (?) il problema dei numeri, il progetto di Grande Italia rischia di arenarsi per questioni politiche. Convinti sostenitori del governo tecnico, sembra che i veneti di Liberali per l’Italia non gradiscano troppo i continui distinguo da Mario Monti degli uomini di Grande Sud.