lunedì 28 dicembre 2009

CICLONE VENDOLA




In Puglia il Pd rischia di farsi molto male. Il presidente Vendola, nonostante tutto quello che ha combinato, non accetta di farsi da parte e sta sobillando una rivolta che ha del clamoroso. Insomma, di fronte ai movimenti d’apparato favorevoli a cacciarlo per insediare al suo posto il sindaco di Bari, Emiliano, ha scatenato in queste ore una mobilitazione diretta contro quello che dovrebbe farlo votare: Pierluigi Bersani. E’ uno spettacolo, quello che si vede nella rete. I sostenitori di Vendola hanno letteralmente invaso la pagina face book del segretario del Partito democratico e gliene dicono di tutti i colori.
Tra i commenti piu’ coloriti quelli che ricordano una recente frase di Emiliano: “Se mi candido, mi devono sputare in un occhio”. Pare di capire che la saliva rossa sia pronta.
Eccone solo alcuni…
Scrive Lia Caldarola: “bersani, ma che stai combinando in puglia? per pietà, per favore, per quello che vuoi tu, non ci potete buttare via così. sono anni e anni che lavoriamo per il centro sinistra e per il partito, usi a obbedir tacendo e tacendo morir. abbiamo ingoiato rospi schifosi "per la causa", abbiamo sopportato gente impresentabile... “
Armando Liso: “Segretario: se devo credere a quel democratico presente nel nome del tuo partito avvalla le primarie per le elezioni in puglia. Oppure accetta nichi come candidato.
Ogni tanto diciamo e facciamo qualcosa di sinistra”
Rolando Rosa: “caro Pierluigi con la tua nomina a segretario pensavamo che miglioravano le cose a sinistra..invece la rincorsa a Lombardo Cuffaro e casini vi porta inesorabilmente al CENTRO quasi destra..state facendo fuori addirittura vendola..una scelta scellerata di D'Alema che vuole mantenere il suo potere di Puglia!!!!!!!!!!!!!!”
Adriana: “ma com'è? Siete Democratici solo quando "conviene" a voi (che poi non capisco la convenienza in questo caso!)?
In Puglia chiediamo le Primarie a gran voce! Chiediamo che sia candidato Nichi Vendola, con o senza Primarie! CHIEDIAMO, CHIEDIAMO, CHIEDIAMO, ma nessuno ci ascolta!!! IL PD NON CI ASCOLTA!
E allora....in Puglia: O NICHI O NIENTE!
*vergogna!!!*
Si’, vergogna. Soprattutto – aggiungiamo noi – perche’ per far fuori Vendola rimandate a votare gli elettori per le comunali di Bari. Sta diventando una costante il disprezzo del voto popolare: Rutelli non completo’ il secondo mandato a Roma per candidarsi contro Berlusconi, lo stesso fece Veltroni, ora lo fara’ il primo cittadino di Bari. Davvero poca roba, questa sinistra….

Francesco Storace

venerdì 18 dicembre 2009

Rai, da Santoro "buon Natale" al boss Spatuzza




Il conduttore di «Annozero» celebra il pentito che accusa Berlusconi e Travaglio si accanisce contro il Giornale e Feltri. Da Di Pietro altro veleno contro il premier: a lui non stringo la mano.
Marco Travaglio santo subito. Martire. Vittima del fuoco mediatico che, dopo l’aggressione in piazza Duomo a Milano subita da Berlusconi, ha dovuto subire e subisce. Ma un santo francamente imbarazzante, subito pronto, quando gli tocca di fare il suo sermone a colpire alle spalle l’assente Vittorio Feltri, a metterlo sulla graticola. È il mondo di Annozero. Che va alla rovescia e prende una piega sconcertante fin dall’anteprima. Quanto la Rai per bocca di Santoro fa gli auguri di Buon Natale alla mafia, al pentito Spatuzza che sta tentando di infangare Berlusconi ma che, secondo il padrone di casa, Michele l’intenditore, «merita di essere ascoltato con attenzione. So benissimo chi è Spatuzza. So che ha ucciso decine di persone, ha sciolto un bambino nell’acido, ha fatto delle cose veramente orribili. Ma adesso Spatuzza racconta dei fatti e noi stiamo ad ascoltarlo».
Resta il fatto che adesso Travaglio gioca lui il ruolo della vittima e del capro espiatorio contro cui tutti se la stanno prendendo. Così gli auguri di buon Natale, dispensati da Santoro, con l’affetto di un amico fraterno realmente addolorato, dipingono sulla tela, che arrederà la tribuna del programma di Raidue fino al termine, un Marco Travaglio trafitto dalle frecce della polemica come un novello San Sebastiano. La teoria annozeresca della serata è quella di far passare la vera vittima, Berlusconi, per il carnefice.
In effetti Travaglio sfodera un’insolita, disarmante faccia di circostanza. Punta, soprattutto, ad arte, nei primi piani su un faccia contrita. Persino quando dice e ribadisce con la sua solita, disarmante aria innocente «che non si può impedire a nessuno di odiare, di augurarsi che il Creatore chiami a sé una persona che si detesta (ogni riferimento al Cavaliere naturalmente è escluso, ndr) e che l’eccessiva personalizzazione che il premier ha messo e mette in ogni sua mossa di capo di governo e di partito, sì, insomma, è la molla che può scatenare l’odio di parte di quegli italiani che non lo sopportano». Ma i suoi sorrisetti tornano, e meno male, quando nel suo pistolotto il Travaglio Immarcescibile dedica tutta la sua scoppiettante ironia ai titoli del Giornale e tratteggia a modo suo il «partito dell’amore» mettendo alla berlina chi non può replicare. Da sbellicarsi davvero per le perline. Che l’emulo di San Sebastiano infila nella sua collanina da villaggio vacanze. Ci pensa anche Tonino Di Pietro a sostenerlo. Quel pacato Di Pietro che aveva già offerto nel pomeriggio di ieri, alla presentazione del libro Il caso Genchi, naturalmente in compagnia dell’amicone Travaglio, uno scampolo significativo della sua disponibilità ad abbassare i toni della polemica. Alla seguente, innocua, domanda di una giornalista: «Quando tornerà in Parlamento e incontrerà Silvio Berlusconi gli stringerà la mano?», lui ha risposto secco e seccato: «Siamo qui per parlare di politica e di politica dobbiamo parlare» Un vero signore. Che infatti subito dopo si è affrettato a precisare che lui e la sua Idv «non accettano né accetteranno mai di dialogare senza se e senza ma con questa maggioranza perché quando al governo ci sta Berlusconi ti chiedi sempre dov’è la fregatura».
Per la verità il Gran Condottiero dell’Italia dei suoi Valori ieri è riuscito a superarsi nello studio di Annozero così come anche in Parlamento dove, nel dibattito sulla Finanziaria, ha tuonato: «Voi criminalizzate come terroristi coloro che come Travaglio cercano di aprire gli occhi ai cittadini prima che sia tardi. Mettete a rischio la vita di queste persone perché voi armate la mano assassina. Voi dite che c’è disagio sociale e protesta. Certo che c’è. C’è il rischio di una rivolta ma accusate noi dell’opposizione che denunciamo questo. Di chi è la colpa: nostra che denunciamo o voi che commettete questa ingiustizia? Guardatevi allo specchio perché siete voi che col vostro menefreghismo portate avanti leggi che interessano solo il premier e che create allarme e protesta civile». Questa è davvero bella, fantastico, no? Una straordinaria difesa d’ufficio di un vero duro da fumetto horror come Travaglio che, per scienza rivelata, ha il dono e il diritto di insultare impunemente Berlusconi ogni giorno del calendario. Per fortuna che poi Di Pietro ha aggiustato il tiro (si fa per dire, naturalmente, non essendo ancora armato) definendo la Finanziaria approvata dalla Camera «iniqua e criminogena» e lo scudo fiscale una «tangente di Stato che fa percepire al governo soldi da evasori, corruttori, mercanti di droga». Si vede, come ha ammesso lui stesso ieri orgogliosamente, che sta utilizzando come sussidiari di verità i libri di Travaglio.

giovedì 17 dicembre 2009

REGIONALI VENETO - GALAN TAGLIATO FUORI



E' PEGGIO DI UN TRADIMENTO, DECISO TUTTO A ROMA



17 dic. - Il governatore Giancarlo Galan fa sapere che la decisione sulla candidatura alla presidenza del Veneto "e' avvenuta, a Roma naturalmente". "Considero quanto avvenuto peggio di un tradimento - afferma Galan, facendo capire che non sara' lui il candidato del centrodestra - e cioe' un errore. Come piu' volte ripetuto ora mi prendero' il tempo necessario per riflettere tentando di capire regole e modalita' di un modo di fare politica che non condivido ma che posso tentare di comprendere".

LA RUSSA, CAPISCO GALAN MA SCELTE NON SONO TRADIMENTI - "Comprendo l'amarezza di Galan ma dico anche che in una coalizione non ci sono tradimenti ma scelte". E' Ignazio La Russa, al termine dell'ufficio di presidenza del Pdl, a replicare cosi' alle parole con le quali l'attuale presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, ha commentato il via libera del suo partito a candidare, alle prossime regionali, un esponente della Lega anziche' confermarlo.

Ed e' proprio ai rapporti con il Carroccio che La Russa fa riferimento per spiegare che "la Lega e' un alleato molto disponibile e che ha anzi facilitato le nostre scelte".

LEGA IN VENETO DOVREBBE CANDIDARE TOSI - Servira' un passaggio ufficiale del direttivo Veneto della Lega ma dovrebbe essere comunque Flavio Tosi il candidato del carroccio alla presidenza della regione al posto di Giancarlo Galan. E' quanto riferiscono fonti della Lega.

da "il Clandestino"

martedì 15 dicembre 2009

Superare la sindrome di Piazza Duomo




Più che uno spartiacque, rischia di diventare un muro divisorio: una barriera di odio che può accentuare, invece di ridurre la distanza fra ciò che è percepito come berlusconiano e tutto quello che gli si oppone. L’aggressione di domenica in Piazza Duomo al presidente del Consiglio non ha calmato gli animi. Per questo ieri Giorgio Napolitano ha deciso di ritornare sul ferimento di Berlusconi; e di restituirlo alle sue dimensioni gravi e allarmanti.

Il centrodestra sembra di colpo placato dopo le tensioni delle ultime settimane fra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Ma la rabbia e la voglia di puntare il dito contro gli avversari è prepotente. E l’opposizione deve fare i conti con se stessa.

Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, di­ce parole nette e coraggiose contro la vio­lenza e va a trovare il premier in ospedale. Ma deve guardare in faccia la realtà di un pezzo del partito, che condanna il ferimen­to del premier fra mille distinguo; e di un’Idv, l’alleato-concorrente, che rivendica il proprio diritto ad un antiberlusconismo senza solidarietà né pentimenti. È come se la «sindrome di Piazza Duomo» continuas­se a gravare su un Paese dominato dall’ipo­teca delle minoranze; e rallentasse la capa­cità di reazione contro un episodio «folle» che si sta rivelando il sintomo di una nor­malità avvelenata. Sembra si faccia fatica a comprendere fino in fondo quanto è acca­duto.

Le logiche conflittuali minacciano di raf­freddare l’emozione e l’allarme per qualco­sa che invece deve preoccupare. «È stato colpito e ferito il presidente del Consi­glio », avverte Napolitano in un’intervista al Tg2. «E anche se verrà verificato che si è trattato del gesto di uno sconsiderato, dob­biamo essere tutti egualmente allarmati. E quando dico tutti, intendo tutti gli italiani che credono nella democrazia e hanno a cuore che venga garantita la pacifica convi­venza civile». Sono parole che chiedono chiarezza e coerenza di comportamenti; ed invitano ad assumere un atteggiamento di­verso dall’esasperazione pericolosa delle polemiche. È un’insistenza figlia di una grande preoccupazione.

Motivata, verrebbe da dire dopo la reazio­ne di Antonio Di Pietro, che finge di non essere uno dei principali destinatari dell’ap­pello; ed invita la maggioranza a seguire i consigli di Napolitano. In realtà, il capo del­lo Stato sembra indovinare le potenzialità ed insieme i pericoli che si presentano do­po l’aggressione a Berlusconi. Quando insi­ste sull’esigenza di non vedere «complot­ti », parla al governo. E quando avverte che c’è una maggioranza votata per guidare il Paese per cinque anni, e dunque non biso­gna inseguire «scorciatoie», si rivolge al­l’opposizione. L’impressione è che sia un’esortazione simmetrica a non accarezza­re l’idea di elezioni anticipate.

Segno che il pericolo di rotture è tutt’al­tro che scongiurato; e che per il momento è difficile calcolare i contraccolpi che l’ag­gressione in Piazza Duomo produrrà. L’idea di una manifestazione di solidarietà a Berlu­sconi organizzata dal Pdl a febbraio fa pen­sare ad un’onda lunga ed emotiva. E l’insi­stenza dell’Idv nell’attaccare il presidente del Consiglio evoca un progetto di esaspera­zione dei contrasti: un «tanto peggio, tanto meglio» che si salda con la voglia di vendet­ta di qualche minoranza esagitata del cen­trodestra. Napolitano addita dunque una ri­composizione difficile, eppure obbligata: l’unica in grado di esorcizzare il fantasma di violenze vecchie e nuove.

Massimo Franco
15 dicembre 2009

REGIONALI VENETO - I DATI SHOCK: SECONDO GPG LA LEGA PRIMO PARTITO CON IL 32% E RUBA VOTI AL PDL






09 dic. - Clamorosi. Non ci sono altre parole per definire gli ultimissimi risultati dei sondaggi GPG in vista delle elezioni regionali della prossima primavera. Le rilevazioni del 3 dicembre segnano un balzo notevole della Lega Nord, sia in Padania sia nelle zone rosse d'Italia, che sottrae consensi al Popolo della Libertà. Colpo di scena in Veneto. Dove il movimento guidato da Umberto Bossi è nettamente il primo partito con il 32%, un incremento dell'1,5% rispetto al dato di fine ottobre (alle Europee dello scorso giugno aveva ottenuto il 28,4%).
Ed è il Pdl a subire il calo maggiore, crollando al 23% (meno 3 in un mese) paragonato al 29,3% delle consultazioni per l'Europarlamento.
Il Carroccio mette le ali anche in Lombardia e si avvicina al Popolo della Libertà con il 26,5 contro il 28.
Alle Europee la Lega si era fermata al 22,7% e il partito del premier aveva raggiunto addirittura il 33,9. Anche in Piemonte crescono i padani. La percentuale stimata è pari al 18,5% contro il 15,7 delle elezioni di giugno. Tracollo del Popolo della Libertà dal 32,4 al 26%.
Più contenuto l'aumento leghista in Liguria, dove il sondaggio di GPG assegna al movimento del Senatùr l'11,5% rispetto al 9,9 dell'ultima tornata elettorale. Anche qui Pdl è in discesa (27,5% contro il 34,4). Notevole l'ascesa del Carroccio soprattutto al di fuori delle sue aree tradizionali.
In Emilia Romagna la Lega mette a segno un vero e proprio balzo e raggiunge il 14,5% rispetto all'11,1 ottenuto alle Europee. Pdl in caduta libera dal 27,4 al 23%.
Ma è clamoroso il dato della Toscana, dove i padani vengono accreditati addirittura del 7,5% rispetto al 4,3. Perde più di cinque punti il Popolo della Libertà. Lega in crescita anche in Umbria: 6% contro il 3,6, quasi il doppio. Ma sono le Marche a registrare il dato più sorprendente.
Il Carroccio raggiunge nei sondaggi il 9% rispetto al 5,5 delle elezioni europee. Un incremento notevole messo a segno ai danni dell'alleato ex Forza Italia-An (29% contro il 35,2).

lunedì 14 dicembre 2009

Le reazioni dopo l'aggressione a Berlusconi


Napolitano: fermare la spirale di violenza
Bindi: il premier non faccia la vittima
Il Pdl insorge: «Ciarpame politico»
Polemica per un'intervista della presidente del Pd. E Di Pietro: «Berlusconi istigatore». Scoppia la bufera politica

MILANO - «Esprimo la più ferma condanna del grave e inconsulto gesto di aggressione nei confronti del presidente del Consiglio al quale va la mia personale solidarietà». Il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha commentato così l'atto di violenza contro il presidente del Consiglio in piazza Duomo a Milano. Il presidente della Repubblica, che domenica sera ha anche telefonato al premier al termine degli accertamenti medici all'ospedale San Raffaele, ha anche espresso «il più netto, rinnovato appello perché ogni contrasto politico e istituzionale sia ricondotto entro limiti di responsabile autocontrollo e di civile confronto, prevenendo e stroncando ogni impulso e spirale di violenza». Il messaggio del Colle non ha però spento le polemiche politiche scatenate dal primo commento a caldo di Antonio Di Pietro sull'aggressione al premier. Una vera e propria bufera, rafforzata dalle parole di Rosy Bindi. «Io non voglio che ci sia mai violenza, ma Berlusconi con i suoi comportamenti e il suo menefreghismo istiga alla violenza» ha detto il leader Idv. «Il premier non faccia la vittima» ha rincarato la dose la presidente del Pd, che ha accusato il premier di essere «uno degli artifici del clima violento» che si respira nel Paese. Dura, in entrambi casi, la reazione del Pdl. «Le affermazioni di Rosy Bindi, per il sottosegretario paolo Bonaiuti - sono un lascito del passato: nelle sue parole si percepisce quel terribile concetto di superiorità morale che è tipico della sinistra». «Finchè la sinistra - ammonisce il sottosegretario - si tirerà dietro questo ciarpame non arriverà a nulla. Il moralismo li anima li rende convinti di essere solo loro depositari della verità. È un'arretratezza che va superata».

Berlusconi sanguinante lascia piazza Duomo




MILANO - Silvio Berlusconi è stato colpito al viso da un uomo che teneva tra le mani una statuetta subito dopo il suo comizio in piazza Duomo, a Milano, in occasione della cerimonia di avvio del tesseramento al Pdl. Il premier è stato raggiunto al volto da una statuetta usata come oggetto contundente attorno alle 18,20, mentre si attardava nel salutare i fan che lo avevano raggiunto alla base del palco. Tra questi si era però infiltrato anche un individuo che, arrivato fino a ridosso del luogo in cui era parcheggiata l'auto del presidente del consiglio, è riuscito ad eludere la sorveglianza e a mettere in atto il suo proposito. Già durante il comizio Berlusconi era stato contestato da un gruppo di persone che si trovavano sul lato destro del palco (GUARDA). L'autore dell'aggressione non faceva tuttavia parte di quel gruppo e da quanto è stato possibile accertare ha agito da solo.


L'ARRESTO - Berlusconi ha subito accusato il colpo, si è accasciato con il labbro sanguinante ed è stato fatto sedere all'interno dell'automobile dagli uomini della sua scorta, mentre altri agenti di polizia riuscivano a fermare l'autore dell'aggressione e a sottrarlo alla folla che avrebbe voluto linciarlo. L'oggetto sferrato contro il premier sarebbe una riproduzione in miniatura del Duomo, di quelle vendute in tutti i negozietti di souvenir presenti in diversi punti della piazza. Una prima ricostruzione dell'accaduto l'ha fatta Doriano Riparbelli, responsabile organizzativo del coordinamento regionale del Pdl: «Un simpatizzante ha chiesto a Berlusconi di poterlo fotografare, poi ha tirato fuori il portafogli per dargli il biglietto da visita - ha riferito Riparbelli -. Berlusconi si è spostato per stringere la mano di altri simpatizzanti e a quel punto il contestatore lo ha colpito con una statuetta». Secondo il coordinatore regionale del partito, il premier «ha fatto come se stesse per svenire, poi si è tirato su, lo ha guardato negli occhi, è risalito in macchina, ha cercato di uscire dall'auto per parlare al contestatore e chiedergli la ragione del gesto. A quel punto la scorta ha trattenuto Berlusconi dall'uscire, è stato soccorso subito dal suo medico personale ed è stato portato al San Raffaele».

domenica 13 dicembre 2009

Brunetta all’attacco: «I Comuni piangono? Vedo troppe cicale»


Politica, Pubblica Amministrazione
10 dicembre 2009
di Staff
Tags: comuni, corriere veneto, finanziaria, regioni, stato



Pubblichiamo un’intervista di Marco Bonet, fatta per il Corriere del Veneto al Ministro della Pubblica Amministrazione e Innovazione, Renato Brunetta.

«I sindaci si la­mentano, lo so, ma sa come si dice: spesso in Italia il convento è povero e i frati sono ric­chi». Il ministro Brunetta, ha ormai abituato l’italica platea alle sue stoccate, ed alle ovazio­ni e i fischi che ne seguono a seconda dei pet­ti che vengono trafitti. Non fa eccezione la metafora in questione, visto che nelle parole del ministro il convento disadorno è lo Stato, la «Roma ladrona» di padana memoria, men­tre i frati crapuloni sono gli enti locali, «sì, insomma, i Comuni, le Province e le Regio­ni».

Ministro, in qualche municipio si griderà allo scandalo. «Nessuno scandalo, sto ai fatti: in questo momento di difficoltà lo Stato si è dato da fa­re ed ha tagliato le spese praticamente ovun­que era possibile, mentre gli enti locali non sempre sono riusciti a fare altrettanto. Ci so­no i virtuosi, per carità, ma quante cicale…».

Siamo alle accuse incrociate: gli enti loca­li invitano voi ad essere più morigerati. «La spesa pubblica è divisa esattamente a metà. Ciascuno dovrebbe fare la sua parte, a cominciare dalle Regioni e dalla spesa sanitaria».

Il federalismo migliorerà le cose? «E’ uno dei pilastri su cui poggia la nostra opera di moralizzazione. Una volta realizzato, la situazione cambierà radicalmente». In piazza Montecitorio, ci sarà anche il Comune di Venezia. Il suo resta tra i nomi più ricorrenti per la corsa a Ca’ Far­setti. «Un impegno forte nella mia città è tra i so­gni che non svaniscono mai».

Dunque, se il partito glielo chiedesse, sa­rebbe pronto alla tenzone elettorale? «Ho preso un impegno con 60 milioni di italiani ed intendo onorarlo. Ciò detto, la poli­tica è l’arte del possibile ed il mio amore per Venezia è profondissimo». Si candida? «Ne parleremo all’interno del Pdl e con gli alleati. Decideremo presto». Deciderete presto anche il vostro alfiere per le Regionali? «Entro Natale la partita sarà chiusa. E’ il punto all’ordine del giorno subito dopo la Fi­nanziaria».

Galan confida ancora in una ricandidatu­ra. Con quali speranze? «Squadra che vince non si cambia. Di soli­to. Il Veneto, però, non fa storia a sé: rientra in un quadro più ampio che conta anche la Liguria, il Piemonte…» …la Lombardia… «No, no, la Lombardia è storia chiusa. Il grande Formigoni non si tocca neanche per scherzo». Quindi per Galan è finita. «Aspettiamo Natale».

La Finanziaria, diceva, è la vostra priori­tà. E’ ancora deluso da Tremonti? «Il problema non è Tremonti, ma come si vogliono spendere gli otto miliardi di euro a disposizione per accompagnare la ripresa: dobbiamo passare dal governo della crisi a quello della rinascita». Le imprese, soprattutto a Nord Est, vi aspettano al varco. «Infatti, dobbiamo staccare la flebo e co­minciare con le vitamine. Se si resta attaccati all’ago, io rimango scettico».

Alle imprese guarda anche l’idea della Carta dei doveri della pubblica amministra­zione. «Dobbiamo spezzare il patto leonino tra gli uffici pubblici e gli italiani. Se un ufficio ha già le carte che gli servono non deve chieder­le una seconda volta. E se lo fa dev’essere san­zionato. Voglio abbattere la giungla burocrati­ca che ormai ci sta soffocando. E poi ‘Genti­lezza e cortesia’, una nuova campagna: i citta­dini sono i nostri clienti e vanno trattati con i guanti».

Rassegna stampadi Alessandro D'Amato (Gregorj) Affinità e differenze tra il compagno Minzolini e noi


E’ la dimostrazione che c’è chi manifesta per la libertà di stampa ma è intollerante verso chi ha un’opinione diversa“. Con la protervia e la presunzione che ormai sembrano appartenergli come segno distintivo, Augusto Minzolini replica così al comunicato del comitato di redazione del Tg1, che in effetti era stato davvero pesante. “Il Tg1 - avevano detto nel comunicato – non è mai stato schierato, nella sua storia, contro alcuna manifestazione. Ieri il direttore lo ha allineato contro la manifestazione del sindacato unitario dei giornalisti per la libertà d’informazione, cui ha aderito una moltitudine di cittadini. Il Tg1 va in tutte le case. E’ servizio pubblico e rispetta ogni opinione e sensibilità per non mettere in gioco il suo patrimonio di credibilità. Ai telespettatori che in queste ore fanno giungere le loro proteste, l’impegno del Comitato di Redazione perché siano recuperati rispetto ed equilibrio. Ai vertici aziendali chiediamo una convocazione urgente per esprimere le nostre preoccupazioni“.

A una accusa ben precisa, Minzolini ha provato a buttarla con Voltaire, ovvero in caciara. Come fanno quelli che non sanno più che dire, l’Augusto Pinocchiet di tanti retroscena totalmente inventati con tanto di virgolettati smentiti dopo poche ore se n’è uscito buttandola in politica: “E’ forse reato avere un’opinione diversa?“, butta là il Minzo, ben sapendo che ci saranno un sacco di illuministi da Bignami pronti a difenderle la libertà di dire fregnacce. Perché, è bene ricordarlo, ci saranno anche tante affinità tra il dire fregnacce e l’esprimere la propria opinione, ma ci sono anche tante differenze. Quando il direttore del Tg1 afferma che “nel 2004, Tony Blair dopo un lungo braccio di ferro che arrivò quasi in tribunale costrinse alle dimissioni i vertici della Bbc, che lo accusavano di aver falsificato i dossier sulla guerra in Iraq“, non è che stia dicendo la propria opinione. Sta semplicemente raccontando una fregnaccia. La vicenda di cui parla il Minzo in realtà non arrivò mai in tribunale e Tony Blair non querelò mai la Bbc: “la commissione d’inchiesta indipendente di Lord Hutton fu creata per investigare sulla morte di un consulente del governo, David Kelly, che nel 2002 aveva scritto un rapporto sulle armi di distruzione di massa in Iraq. Dopo il servizio della Bbc in cui Kelly veniva individuato come la fonte in grado di sostenere che il rapporto era stato manipolato per agevolare l’intervento britannico in Iraq, Kelly si suicidò. In seguito all’inchiesta, che individuò l’errore della Bbc sulle accuse di manipolazione e scagionò il premier, il presidente e il direttore generale della rete pubblica si dimisero, ammettendo l’errore“. Come capita di fare a quelli a corto di argomenti, Minzolini ha “piegato” una storia ai suoi voleri per portarla a sostegno di una tesi. Ora, far passare l’evidente mistificazione di Minzolini per una libera opinione non è solo sbagliato, è anche intellettualmente disonesto.

Allo stesso modo, sparare la stupidaggine del fatto che i politici di sinistra querelano di più di quelli di destra, è allo stesso modo inutile. Non c’è nulla di male nel querelare chi scrive una bugia, a prescindere dal fatto che la si scriva contro uno di destra o uno di sinistra. Nella fattispecie, una gestione “allegra” della realtà da parte di un quotidiano come il Giornale, ha portato il suo stesso direttore Vittorio Feltri a scusarsi in prima persona con i diffamati. Le scuse, nero su bianco, le firmò proprio Feltri. Non uno che passava lì per caso. Anche qui, c’è differenza con chi, come l’avvocato Ghedini in nome e per conto del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, sceglie la via del risarcimento in sede civile invece della querela penale, come invece ha fatto il presidente della Camera Gianfrando Fini sempre con Feltri: è indice di coscienza pulita, quella di voler vedere esprimersi un giudice anche nel merito dei fatti, per sapere se i fatti di cui si accusa sono anche veri o falsi, anche se lesivi della reputazione del premier. Due stupidaggini, o forzature, tra le tante che si possono trovare nelle strampalate tesi di Minzolini. Il quale, però, dopo aver detto la sua opinione sulla manifestazione per la libertà di stampa ieri, non ha fatto quanto avrebbe fatto un liberale: ovvero accogliere un’opinione contraria alla sua a cui dare lo stesso spazio della propria. No, dico: l’abc del liberale for dummies arriva sempre alla prima pagina di Voltaire, raramente alla seconda. Non si tratta di opinioni, ma di fregnacce. Si sa, la differenza è difficile da cogliere per uno sul quale è stato ritagliato un neologismo, il “minzolinismo“, dal significato assai chiaro: “Forma di giornalismo che si basa sulla raccolta di dichiarazioni anche informali di uomini politici, senza alcuna verifica delle informazioni raccolte“. Parola dell’Annale del lessico contemporaneo italiano nell’edizione del 1996. Tredici anni fa, e sembra ieri. Anzi, no. Sembra oggi, durante il Tg1. Il che è anche peggio, se possibile.

venerdì 11 dicembre 2009

FRANCIA: PER 4 FRANCESI SU 10 LA RELIGIONE MUSULMANA INCOMPATIBILE CON VITA IN SOCIETA'






11 dic. - "L'islam non piace a una larga fetta della societa' francese - scrive REPUBBLICA -: il 40 per cento dei cittadini continua a pensare che la religione musulmana sia incompatibile con la vita nella societa' transalpina. Il 54 per cento pensa il contrario, ma e' una maggioranza ben risicata: l´82 e il 72 per cento considerano il cattolicesimo e l´ebraismo ben integrati. Secondo alcuni esperti, e' solo una questione di tempo. E' possibile, anche perche' gran parte della gente ignora i cardini della religione musulmana e tende a identificarla con la sua interpretazione fondamentalista.

Un dato e' tuttavia innegabile: la diffidenza contro i musulmani e' palpabile, soprattutto quando entrano in gioco i segni visibili dell´appartenenza religiosa, come il velo islamico. La "questione islamica" e' tornata d´attualita'. Il voto degli svizzeri contro la costruzione dei minareti ha rianimato le paure in vaste fasce della popolazione e il dibattito sull´identita' nazionale, incautamente voluto da Sarkozy a fini elettorali, si sta focalizzando su immigrazione e religione musulmana.
Il sondaggio pubblicato ieri dal Parisien indica tuttavia un malessere che non puo' essere sottovalutato, soprattutto se si considera che i musulmani di Francia, cinque milioni di persone secondo le stime piu' accreditate, non dimostrano un grande fervore religioso: solo il 17 per cento e' considerato praticante. Quando si parla di religione, insomma, i francesi tendono a parlare di immigrazione.
E le divisioni sono un po´ le stesse di altre occasioni, come il referendum sulla costituzione europea: i giovani e le classi medio-alte sono i piu' aperti, gli anziani e i ceti medio-bassi i piu' diffidenti.
Il dibattito sull´identita' nazionale non contribuisce certo a calmare gli animi. Secondo alcune fonti, il 20 per cento dei messaggi ricevuti dai siti ufficiali 'non sono pubblicabili'.
E anche quelli diffusi sul sito del ministero dell´Immigrazione sono centrati, piu' che altro, sul rifiuto degli extracomunitari. La Francia ha integrato piuttosto bene i suoi immigrati nel corso dei secoli, ma ancora oggi alcune frange della popolazione, soprattutto quelle di origine nordafricana, sono tenute ai margini della societa'.
Il sindaco di un paesino lorenese, durante un dibattito, si e' scatenato: 'Ci mangiano nella minestra. Ce ne sono dieci milioni che paghiamo per non far niente'. A quanto pare, le sue idee non sono poi cosi' isolate".

ROSS LECCE: Soldi al boss per avere voti



Ruggeri (Udc): è falso
di GIANFRANCO LATTANTE
C’è anche un capitolo che riguarda i rapporti con i politici nelle indagini dei Ros di Lecce sull'attività del boss Salvatore Padovano, ucciso il 6 settembre dello scorso anno in un agguato ordinato dal fratello. I rapporti con i politici risalgono alla campagna elettorale dell’aprile 2008 quando si votava per le Politiche e, a Gallipoli, anche per le amministrat ive. Dalle intercettazioni vengono tirati in ballo l’onorevole Salvatore Ruggeri, già senatore, eletto alla Camera dei Deputati nelle liste dell'Udc e il candidato sindaco dell'Udc, l'imprenditore Giovanni De Marini. Ruggeri però smentisce

TRATTO DALLA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO-GLI INDAGATI






BARI – L'ex consigliere laico di centrosinistra del Csm, Gianni Di Cagno, e l’ex vicepresidente presidente della Provincia di Bari, Onofrio Sisto (Pd), entrambi avvocati, sono tra i professionisti baresi ai quali la magistratura ha notificato oggi provvedimenti interdittivi dall’attività professionale della durata di due mesi al termine delle indagini su clan malavitosi baresi. I due sono accusati di concorso nel reimpiego di danaro sporco per non aver rispettato gli obblighi di segnalare le attività sospette alle autorità competenti.

A Di Cagno e Sisto viene in particolare contestato di aver avuto rapporti professionali, per i quali avevano ricevuto regolare mandato, a rappresentare l’imprenditore Michele Labellarte (morto a settembre) nei rapporti con enti pubblici per curare la realizzazione di un campus universitario che avrebbe dovuto ospitare 3.500 studenti nei pressi di Bari. Labellarte – secondo la Guardia di Finanza – era colui che, avvalendosi di prestanome, riciclava i proventi illeciti del clan Parisi e quelli derivanti da una bancarotta che egli stesso aveva compiuto in passato. Il terzo professionista colpito dal provvedimento interdittivo della durata di due mesi è il notaio barese Francesco Mazza, indagato per un falso compiuto in relazione a un’asta giudiziaria.

Tra i nomi di assoluto primo piano l'on. Elvira Savino che risulta indagata per aver fatto da prestanome ad un boss per la realizzazione del campus universitario a Valenzano. L'on Savino (nata a Castellana Grotte nel '77) è stata eletta alla Camera dei deputati in forza al Pdl ed è salita all'onore delle cronache per il suo matrimonio celebrato nel settembre 2008 con Berlusconi come testimone di nozze.
La parlamentare è indagata per aver agevolato l’attività di riciclaggio del denaro proveniente dalla bancarotta della società 'New Memotech srl' per la quale l’imprenditore barese Michele Labellarte (ritenuto il riciclatore della mala, poi deceduto) era stato condannato per bancarotta fraudolenta.

Secondo l’accusa, la Savino ha agevolato l'attività illecita consentendo la fittizia intestazione di un conto corrente bancario. In cambio avrebbe ottenuto – sempre secondo l’accusa - «numerosi favori e regalie»: la concessione di una carta di credito collegata alla promozione di un vettore aereo con addebito sul conto di Labellarte (giugno 2007); il cambio di un assegno di 3.000 euro datole dal fratello Gianni (ottobre 2007); tre aiuti finanziari per complessivi 3.500 euro (nel 2008); il pagamento di un biglietto aereo Roma-Bari nel 2008; due ricariche telefoniche (nel 2008).

Gianni Di Cagno, invece, 58 anni, iscritto all'albodegli avvocati di Bari, è stato componente laico del Csm dal luglio 1998 al luglio 2002, designato da Democratici di sinistra (Ds). Dal dicembre 2002 è componente della Commissione di Garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Dal 1990 al 1994 è stato consigliere comunale Pci-Pds a Bari. Dal 1995 al 1998 consigliere alla Provincia di Bari e per un periodo anche vicepresidente. Tra le sue pubblicazioni, due volumi pubblicati tra il 1990 e il 1992 che raccolgono atti giudiziari riguardanti la criminalità di stampo mafioso a Bari. Nel 2004 ha pubblicato insieme con Gioacchino Natoli, che fu componente del Csm nello stesso periodo di Di Cagno, il libro 'Cosa nostra ieri, oggi, domani', un quadro dell’evoluzione di Cosa nostra dagli anni Cinquanta.

Onofrio Sisto, 51 anni, avvocato, è stato vicepresidente Ds-Pd alla Provincia di Bari dal 2004 al giugno scorso.

COINVOLTI ANCHE 6 DIRETTORI DI BANCA
Sono sei i direttori di filiali di banca indagati nell’inchiesta della procura antimafia di Bari per aver consentito l’accensione di conti correnti intestati a prestanome per agevolare l’attività di riciclaggio cui sarebbe stato dedito Michele Labellarte, presunto riciclatore di beni della mala barese e del clan mafioso di Savinuccio Parisi. I funzionari sono accusati di non aver segnalato all’Uif (Unità di informazione finanziaria) della Banca d’Italia la gestione dei conti correnti da parte di persone diverse dai titolari e di aver consentito che Labellarte tenesse “condotte espressamente tipizzate” e “sintomatiche di attività di riciclaggio".
I sei sono indagati perchè l’accusa ritiene di aver raccolto nei loro confronti prove dalle quali si evincerebbe che i funzionari sapevano della bancarotta di cui era stato protagonista Labellarte e di una ingente evasione Iva. Gli indagati sono Salvatore Biscozzi, Gaetano Barone, Grazia De Carne, Domenico Perrone, Beniamino Piombarolo e Francesco Lovecchio.

mercoledì 9 dicembre 2009

L'ARENA.IT- La prima centrale nucleare nel Veneto?


Verona. Il decreto arriverà in primavera, ma si fa strada l'ipotesi che la prima centrale nucleare italiana possa sorgere in Veneto, nell'area del Polesine, vicino a Chioggia, mentre il deposito delle scorie dovrebbe essere allestito in una località del Sud. Lo rivela oggi il Corriere della Sera secondo il quale l'orientamento dell'esecutivo guidato da Silvio Berlusconi sarebbe di realizzare al Nord la prima delle quattro centrali previste dal piano nucleare italiano. A favore della localizzazione in Veneto si era già espresso il governatore Giancarlo Galan. L'Agenzia per la sicurezza nucleare, che avrà potere decisionale sulla scelta dei siti, non è ancora nata. Da settimane si attende la nomina dei suoi vertici.

giovedì 3 dicembre 2009

SVIZZERA NO AI MINARETI



il referendum passa con il 57,5%
"Sorpresa e delusione" dell'Organizzazione della conferenza islamica e dei vescovi
Castelli (Lega): "E ora la croce nel tricolore. Potremmo presentare una proposta"

GINEVRA - Gli svizzeri si sono pronunciati a grande maggioranza per il divieto di costruzione di nuovi minareti nel loro Paese. Il referendum sulla proposta di modifica costituzionale promosso dalla destra nazional-conservatrice ha visto prevalere i sì con il 57,5%. Solo in quattro cantoni su 26 la proposta è stata respinta. Verrà pertanto modificato l'art.72 della Costituzione, che regola le relazioni tra lo Stato e le confessioni religiose.

Molte le reazioni di preoccupazione e di forte critica nei confronti del risultato referendario. I Verdi svizzeri esamineranno la possibilità di inoltrare ricorso alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo: "I musulmani non hanno ricevuto solo una sberla, ma addirittura un pugno in faccia", ha detto il presidente del partito, Ueli Leuenberger. A suo avviso l'iniziativa è incostituzionale e l'esito del referendum è il risultato di "una propaganda estremamente ben fatta, che ha fatto leva sui pregiudizi".

Ma dall'Italia arriva il plauso della Lega Nord. L'ex ministro Roberto Castelli non usa mezze misure: "Ancora una volta dagli svizzeri ci viene una lezione di civiltà. Occorre un segnale forte per battere l'ideologia massonica e filoislamica che purtroppo attraversa anche le forze alleate della Lega". Ed ecco la proposta: "Credo che la Lega Nord possa e debba nel prossimo disegno di legge di riforma costituzionale chiedere l'inserimento della croce nella bandiera italiana". Gli risponde il verde Angelo Bonelli: "La croce sul tricolore? A quando le crociate?".

"Sorpresa e delusione" da parte dell'Organizzazione della conferenza islamica (Oci): "Ci aspettavano un rifiuto massiccio", ha detto l'ambasciatore dell'Oci a Ginevra, Babacar Ba, secondo il quale il risultato del voto in Svizzera è una porta aperta per chi vuole mettere in dubbio le libertà fondamentali. "Bisogna ritrovare un ambito di dialogo per evitare pregiudizi", ha detto Babacar Ba.

Ma nemmeno la Chiesa svizzera sembra contenta della decisione. Anzi, la Conferenza dei vescovi svizzeri è decisamente preoccupata: la vittoria del sì al referendum, si legge in un comunicato, è "un ostacolo sulla via dell'integrazione e del dialogo interreligioso nel mutuo rispetto". "Non abbiamo saputo rispondere ad alcune paure legate all'integrazione di diverse religioni e culture in Svizzera", ha ammesso il portavoce Walter Mueller, secondo il quale sul risultato ha influito anche la situazione dei cristiani, vittime di discriminazione e oppressione in alcuni Paesi musulmani.

A dichiararsi costernata per i risultati del referendum è anche Amnesty International: si tratta, si legge in un comunicato dell'organizzazione, di "un divieto totale che rappresenta una violazione della libertà di religione ed è incompatibile con le convenzioni internazionali firmate dalla Confederazione". Il risultato è "scioccante", afferma il segretario generale della sezione svizzera dell'organizzazione, Daniel Bolomey, secondo cui Consiglio federale e Parlamento si sono assunti un rischio enorme rifiutandosi di dichiarare nulla l'iniziativa.

Il no ai minareti non è un no al diritto di preghiera per i musulmani, ha affermato il parlamentare svizzero Oskar Freysinger dell'Unione democratica di centro (Udc), tra i principali promotori del referendum. E ancora: "Il divieto dei minareti non cambierà niente per i musulmani che potranno continuare a praticare la loro religione, a pregare e a riunirsi. Si tratta di un messaggio, la società civile vuole mettere un freno agli aspetti politico-giuridici dell'Islam".

Nei giorni scorsi il Consiglio federale svizzero, organo esecutivo del governo della Confederazione, si è più volte espresso contro l'iniziativa, giudicata discriminatoria, pericolosa e rischiosa per i rapporti della Svizzera con il mondo arabo. In Svizzera i musulmani sono 400mila, il 5% della popolazione, e dispongono di circa 200 luoghi di preghiera, ma solo quattro minareti, che non sono usati per richiamare i fedeli.

Il Partito popolare svizzero (Svp) ha raccolto 100mila firme in un anno e mezzo per ottenere che la questione fosse sottoposta a referendum sulla base dell'assunto che l'erezione di torri o torrette collegate alle moschee è il simbolo di una "rivendicazione di potere politico-religiosa". La campagna che ha preceduto il referendum è stata animata e a tratti violenta: una moschea di Ginevra è stata danneggiata tre volte e il presidente Hans-Rudolf Merz si è rivolto alla nazione con un messaggio tv per sottolineare che "ai musulmani dovrebbe essere garantito il diritto di praticare la propria religione anche in Svizzera", ma anche per avvertire che nelle valli elvetiche "non echeggerà mai il canto del muezzin".