venerdì 19 dicembre 2014

Negazione di un’ identità e suicidio di una cultura

Sembrerebbe una questione di poco conto , tanto più a fronte dei problemi ,e tutti gravi, che dobbiamo fronteggiare. Però di poco conto non è il principio che vi è sotteso . E poiché con l’avvicinarsi del Natale la stampa e i media in genere tornano ad occuparsi della questione , evidentemente quel principio è tanto rilevante e controverso , da radicarsi in prese di posizioni polemiche che ignorano un corposo e pluriennale dibattito , nonché i passi in avanti che sull’argomento sono stati fatti. Ogni anno, in questa stagione ,tutto ricomincia daccapo , come se nulla fosse stato detto, come se nulla fosse stato chiarito, come se nulla fosse stato capito. E allora la questione è seria e visto che riguarda il Natale, o facciamo ora un ultimo tentativo di orientarci sulla questione , o andiamo fuori tempo massimo. Anche se relativamente fuori tempo, perché al prossimo Natale la questione si ripresenterà, quasi certamente. Tutto cominciò una decina d’anni fa , allorché, in una scuola materna, le maestre decisero di non allestire il presepio con i bambini per non turbare la sensibilità dell’unico bimbo mussulmano frequentante. In conseguenza di quella scelta, non si festeggiò neppure il Natale a scuola. Giornali e radio riferirono il fatto, che divenne “notizia”. Ricordo il profondo dissenso verso quella rinuncia espresso in una intervista radiofonica dallo scrittore islamico Ben Jelloun, che trovava controproducente e assurdo togliere ai bambini il piacere di una tradizione legata ad una festa,tanto radicata nel sentimento e nel vissuto e particolarmente in quello infantile. Di più, diceva in sostanza Jelloun, che senso ha togliere o negare ai bambini il gusto di una tradizione popolare, segno di una bimillenaria cultura, di diffusione planetaria, radicata nel sentimento, nell’arte, nella letteratura, nella storia, nella vita di ogni ceto sociale e specialmente in un paese come il nostro? Quante forme di cultura radicano nelle varie religioni e da esse traggono la loro specificità ed essenza, persino quando, nel tempo, si discostano dai loro significati originari? Perché pensare che non debbano aver spazio a scuola, se di culture si tratta? E aggiunse: non fare il presepio è una stupidaggine, anche perché nel Corano Cristo è considerato un grande profeta e molto rilievo è attribuito alla figura della Madonna, vergine e madre anche per i musulmani. Cosa questa che pochi sanno, anche fra gli insegnanti. Fu una lezione memorabile, quella dello scrittore musulmano. Chiara al punto che avrebbe dovuto chiudere la questione “presepi” per sempre . E nessun’altra voce del mondo islamico sentì la necessità né di controbattere né di aggiungere una virgola alle parole di Jelloun . Oltretutto Jelloun aveva posto la questione assai correttamente, indicando implicitamente una distinzione fra” tradizione culturale” e “culto” . Di fatto il presepe non appartiene da un punto di vista dottrinale né alla Liturgia né al culto in senso stretto. Ricordate quando, all’inizio delle lezioni, le maestre facevano recitare una preghiera in classe ? Una pratica che si configurava come “culto” e in quanto tale suscitò polemiche, soprattutto allorquando, aboliti i vecchi programmi della scuola elementare che indicavano la religione cattolica come “base e coronamento” dell’azione educativa della scuola dell’obbligo, la scuola pubblica veniva improntata ad una nuova laicità. Una scuola, quindi luogo di cultura, anche religiosa,si badi bene , perché dalle religioni deriva un immenso patrimonio culturale, ma non di “culto”, che si esercita in altre sedi. Ecco perché dallo scrittore magrebino ci venne un esempio di buon senso mussulmano che ci servì di lezione. Ma purtroppo per poco, o forse per pochi. Infatti ad ogni nuovo Natale, in qualche scuola della Repubblica, il dirigente o qualche docente si esprime contro il presepe e, guarda caso, sempre in riferimento alla presenza di musulmani fra gli allievi. E cosi capitò di nuovo, non molto tempo fa. In occasione del Natale, un importante quotidiano nazionale infatti riportava che in una scuola milanese: “le insegnanti di religione allestiscono il presepio in una parte dell’istituto abbastanza riservata, dove chi non vuole non è costretto a vederlo”. La frase virgolettata riportava la “versione ufficiale” della scuola. Colpiva quel “non essere costretti a vedere” e quindi, “togliere alla vista”. Si può capire la buona intenzione e lo sforzo. Si può capire la scelta di non privare i bambini “cristiani” del presepio, evitando nel contempo interferenze con la sensibilità dei “non cristiani”. Tuttavia, la soluzione adottata non pareva risolvere, e nemmeno affrontare, il problema. Emergeva invece, agli occhi di molti, più che un malinteso senso di rispetto per l’altrui diversità, un inconcepibile atteggiamento di immotivata autocensura, una sottomissione e negazione di una propria e non certo vergognosa specificità e identità culturale. I musulmani , se li conoscete bene , non abdicano a nulla della loro specificità religiosa. Anzi esibiscono con senso di superiorità, insito nella loro coscienza religiosa, i segni e gli atti del loro culto. Il velo sul capo o il volto coperto delle musulmane anche nelle nostre città sono un’esibizione politico –religiosa ,come lo è di fatto l’islam, che non è solo religione. Tendono a mostrare che sono anche qui, con fierezza, e a loro poco importa che le nostre leggi vietino la copertura del volto in pubblico. E’ la loro una sfida perché per loro Allah e l’unico vero Dio e Maometto è il profeta di Allah. Cristo per loro, ha predicato e preannunciato la venuta di Maometto. Quindi l’islam dovrà essere imposto al mondo intero. Con questo tipo di mentalità, difficile attendersi dal mondo islamico atteggiamenti di autocensura o di correzione del proprio modo di contrapporsi al resto del mondo. In barba alle nostre leggi , sgozzano i montoni in occasione delle loro feste religiose, anche da noi , senza il preventivo stordimento dell’animale per evitargli la sofferenza della lunga agonia necessaria ad ottenere il totale dissanguamento, secondo le modalità della macellazione “halal”. E non sto a enumerare riti e tradizioni cui non rinunciano. Certamente, se fosse una tradizione loro, non rinuncerebbero a fare il presepio. Probabilmente ce lo imporrebbero senza tante storie. Per chiarire: il tema di questa riflessione non riguarda l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole della Repubblica, e pertanto non è su questo che si vuol esprimere un’opinione. Ci sono leggi al riguardo: leggi vigenti. Su questo ci sono anche opinioni in contrasto, ma la questione che qui si vuol affrontare è un’altra. Una cosa è la dimensione “confessionale” o l’insegnamento di una specifica “fede” religiosa. Altra cosa è la cultura che deriva dalle religioni e dalle conseguenti tradizioni e manifestazioni. La cultura religiosa, in quanto e per quanto mera cultura, trova nella scuola il suo posto privilegiato, come tutte le forme di cultura esistenti. È tutt’altra cosa dall’istruzione confessionale. Non è fede. È conoscenza. Per conoscere e per capire l’arte e la letteratura (e persino la lingua e la mentalità) di questo Paese, interpretabile appieno solo attraverso la cultura derivante dal Cristianesimo e dal Cattolicesimo, sono certamente utili, se non indispensabili, strumenti culturali che hanno attinto a quelle radici. Il che non si identifica con “la fede”. In questo senso, visto che la società cambia, è opportuno che si conosca (per cultura) anche il senso del Ramadan o della festa delle Capanne, così come il Natale e la Pasqua. Senza confondere questioni diverse su piani diversi. A questo proposito va ribadito che il presepio non è un precetto religioso; non è un atto liturgico; non è un fatto propagandistico, e nemmeno un atto di culto, per quanto di ovvia ispirazione religiosa. In quanto tradizione popolare è un fatto”culturale“. E la cultura non si nasconde alla vista, non offende e non si occulta: si spiega. Si aiuta a capirla, a interpretarla . Il che non significa imporla. Senza chiusure per la cultura altrui, ma soprattutto senza imbarazzo, e tanto meno vergogna, per la propria. La sensibilità che ci porta ad assumere comportamenti rispettosi dell’altrui diversità, non può prescindere dal rispettare, anzitutto, noi stessi, e dal fatto che comunque il rispetto deve essere reciproco. La paura, nemmeno dissimulata, dell’integralismo altrui (come se l’integralismo fosse solo”altrui”) non deve indurre ad acquiescenze autodifensive, a mal tollerate rinunce, a occultamenti più o meno parziali e a finti pudori. Si può spiegare a tutti, piccoli e grandi, cristiani e musulmani, che l’espressione di una cultura specifica,se non è in contrasto con le leggi dello stato, non vuole prevaricare, non costituisce un’ingiustizia, non è un’imposizione. Non deve imbarazzare chi la esprime, né chi non vi appartiene o ne è estraneo. È certamente apprezzabile che, pur nella legittima manifestazione di una antica tradizione, si pensi a modi d’esprimerla nuovi e rispettosi di una mutata composizione sociale, per attenzione agli “altri”. Ma è certo discutibile che in una società ancora (forse per poco) prevalentemente connotata da una matrice cristiana, si scelga di “nascondere” alla vista, una manifestazione di una sua specifica “cultura”. Fosse pure minoritaria, andrebbe tutelata. E minoritaria ancora non è. Se democrazia ha un senso, non solo politico… Chi pensa di manifestare in modo “riservato” nella scuola le proprie tradizioni, in quanto connesse alla religione, si è mai chiesto quanto sia più macroscopica (e difficile da tenere “riservata”) la tradizionale vacanza di quasi venti giorni per il Natale e quasi dieci per la Pasqua? Chiudere la scuole per periodi così lunghi e per motivi anche di indubbia matrice religiosa non crea imbarazzi a nessuno? Quella sospensione del servizio scolastico non è forse un più pesante condizionamento per chi appartiene ad altra fede religiosa? Altro che presepio. Certo : fare scuola è sempre più difficile e gli insegnanti sentono sempre di più il bisogno di un supporto e di una tutela. Non si può pretendere che trovino da soli la soluzione a problemi di convivenza interetnica e interreligiosa all’interno delle scuole. Certamente possono concorrere a individuare modi e forme di comprensione, di conoscenza e di tolleranza fra”civiltà”, di cui tanti bambini stranieri immigrati sono inconsapevoli rappresentanti, nonché “portatori sani”. “Leggendo” le valenze culturali di quelle diversità, senza ovviamente avventurarsi nelle questioni di fede. Impegnandosi, come dovremmo far tutti, a superare gli integralismi . Non è facile, ma non è possibile sottrarsi al compito che la nuova composizione sociale propone allo stato, alla società e alla scuola. Con una forte richiesta di dialogo, che è fatto per capire altrui mentalità e per far capire la propria. Per convivere in pace, senza nascondersi e senza imporre. Senza atteggiarsi a vittime e senza fare vittime. E senza disconoscere la propria cultura. Vittorio Zedda

L'ultima follia: rimborso pure ai consiglieri assenti

In Friuli-Venezia Giulia voto bipartisan: trasporti e pasti in nota spese anche in caso di mancanza dall'aula. E la Serracchiani non dice nulla  Eccone un'altra. Sì, un'altra che promette promette e non mantiene un centesimo delle cose che dice. Debora Serracchiani, una volta eletta nel 2013 a governatrice del Friuli-Venezia Giulia aveva detto: «Dimezzeremo gli emolumenti dei consiglieri, massimo 5mila euro al mese, spese incluse». Ma la rivoluzione si è già fermata: oggi la retribuzione netta non scende sotto i 7.500. E l'ultima legge di bilancio invece di togliere, aggiunge.Il centrodestra ha proposto un emendamento (votato all'unanimità da tutta la maggioranza) che permette ai consiglieri assenti, malati o in vacanza, poco importa, di farsi rimborsare le spese di «mandato». Ripetiamo: un consigliere o una consigliera della Regione Friuli-Venezia Giulia che non si presentano alle sedute d'aula, indipendentemente dalle scuse che accampano (anche maternità, paternità e lutti costituiscono assenze giustificate), possono chiedere il rimborso di spese mai sostenute come taxi, biglietti aerei o ferroviari, bar, ristoranti, etc . Non sono bastati gli scandalosi scontrini delle mutande in Piemonte, degli aperitivi in Lombardia, dei vibratori in Emilia-Romagna, ora arrivano anche i rimborsi per il nulla. E questo non è tutto. In Friuli-Venezia Giulia un consigliere inviato «in missione» a rappresentare i friulani fuori regione, viene ricompensato due volte: una volta per le spese sostenute e un'altra attraverso un rimborso forfettario. E non si vergognano neppure. Alla renziana senza macchia e senza paura Serracchiani non è venuto in mente di prendere carta e penna e denunciare quanto i suoi consiglieri hanno votato. Non fosse altro per il fatto che la sua legislatura era nata dalle ceneri di una stagione all'insegna di «rimborsopoli» (venerdì scorso venti consiglieri sono stati convocati dalla Corte dei Conti per fornire spiegazioni sull'utilizzo dei fondi dei gruppi per l'acquisto di gioielli, pneumatici e profumi). Il testo originale della legge regionale che disciplina le diarie prevedeva una «trattenuta del rimborso forfettario» per ogni «giornata di assenza dalle sedute di Consiglio o di commissione». Ovvero una decurtazione della diaria dai 120 ai 166 euro netti per ogni assenza. L'emendamento proposto dal centrodestra e votato da tutti, invece, recita: «La trattenuta non viene operata in caso di malattia». La regola vale sia per i consiglieri sia per i membri della giunta, quindi anche per la santarellina Serracchiani. Lei da sola, da gennaio a settembre, si è fatta rimborsare 32.406 euro. La sua giunta 105mila euro.La cosa buffa è che a differenza dell'indennità la diaria è pure esentasse. Per questo quando i consiglieri regionali sentono parlare di rimborso forfettario viene loro l'acquolina in bocca stile Grinch. Ecco perché molti consigli regionali hanno tagliato le prime e alzato le seconde. In Veneto, ad esempio, i consiglieri hanno fatto finta di ridursi lo stipendio di 3.709 euro, aumentando i rimborsi di 4.500 euro. Quando si tratta di diarie non esistono destra e sinistra. Sono tutti uguali.

venerdì 12 dicembre 2014

RIFLESSIONI

Iniziate le elezioni Politiche Regionali nelle prime due regioni sulle nove che vanno al voto “ Emilia e Calabria” (voto sotto il quorum del 50%)inquieta una vittoria con un quorum simile, ma ciò che più inquieta oltre al risultato finale è l'astensionismo, la mancanza di fiducia dei cittadini verso i partiti politici. Riflettendo su questa consultazione ho costruito piccole considerazioni. Il cavallo di battaglia della Lega Nord è sempre stato il Federalismo fiscale, sia nella riforma costituzionale degli anni novanta sia in quella berlusconiana incompiuta del 2009, è che la spesa pubblica si consumi a livello locale. La Lega Nord sostenendo ciò sperava che si trasferissero meno risorse al sud, che dal canto suo non si era mai troppo opposto, ben conscio di una fragilità economica che avrebbe sempre legittimato un “livellamento”da Roma per garantire i servizi essenziali. Se il Federalismo prevedeva una prestazioni a costo uguale da Bolzano a Palermo, per cui ogni cittadino avrebbe fruito di un servizio uguale a parità di prezzo, in realtà trasferendo la spesa pubblica a livello territoriale, questi benefici non solo non si sono concretizzati ma abbiamo realizzato di pagare servizi spesso sempre più scadenti. Da una disamina di Confcommercio risulta che nel 1990 la spesa delle Amministrazioni Pubbliche era di 373mld nel 2013 di 798mld con una spesa per consumo conclusivo pressoché uguale al 20% circa del PIL. In sostanza lo Stato condensa gli investimenti pubblici a sostegno di quelli privati che si è dimezzata al 2,7% del PIL. In essenza lo Stato riduce gli investimenti per una crescita e continua a sprecare le sempre meno risorse che ci restano. Se esaminiamo le 20 regioni italiane, vediamo che sprecano ogni anno circa 105 mld di euro solo per i consumi finali senza considerare le prestazioni di assistenza. Mi chiedo e vi domando perché i politici sono così affezionati a queste fonti di spreco? E' ovvio perché generano stipendi! In questo modo si pone la corsa al voto delle nove regioni o meglio la corsa all'ultimo vitalizio. Già perché i 460 consiglieri uscenti hanno la facoltà di incassare grossi assegni anche con solo 5 anni di contributi o 60 anni di età. Per fortuna questa possibilità verrà annullata di là da venire. Non c'è equilibrio fra contributo versato e assegno riconosciuto per cui chi è in carica paga il contributo previdenziale inferiore al 33% valido per tutti i lavoratori dipendenti. Un consigliere regionale ha un'indennità mensile di 11.100 € lordi che possono arrivare a 13.800€ il che comporta in 5 anni di consultatore ad un massimo 146,500€ di contributi versati e doppi nel caso di due consiliature. Spiegato il perché i 460 consiglieri uscenti cercano di avviare una politica di contenimento spese ( in realtà contenimento quasi ridicolo). Se si considera che la mancata applicazione del sistema contributivo per cui ai consiglieri spetterebbe solo il giusto ammontare rapportato a quanto ha versato e all'età anagrafica è una vera rapina nei confronti di tutti i lavoratori. Fare leggi giuste che tolgano tutti questi sprechi costa in consensi, e “Renzi” ha deciso di fare solo riforme popolari, può sacrificare tutto ma non la sua celebrità. Rita FIORE>

lunedì 1 dicembre 2014

Venerdì 5 dicembre Destra in Movimento parteciperà con spirito di simpatia e collaborazione con AZIONE NRURALE, per la difesa dei prodotti agricoli Italiani, presso "LA CASA DELLA GIOVENTU'" via Canonica, 1 Cerea (VR)