venerdì 2 luglio 2010

Duello Fini-Bondi e volano parole pesanti




ROMA — Quasi un duello, cominciato con complimenti in punta di fioretto e finito a sciabolate, con Gianfranco Fini che affonda sui casi Brancher, Cosentino, sulla «sudditanza» del partito verso la Lega, sul «diritto al dissenso» e Sandro Bondi che risponde «amareggiato», dice che il presidente della Camera sta diventando «un serio impedimento al partito» e paventa l’arrivo dei «comunisti». Le premesse di uno scontro — nel dibattito organizzato da Alessandro Campi direttore della nuova «Rivista di Politica» — ci sono tutte. Il moderatore Pierluigi Battista dà il la. Fini comincia cauto, ma getta subito qualche seme dello scontro incipiente, invitando a ripensare l’ossessione per la società civile: «La politica—dice—non è improvvisazione, non è sondaggio. Non è insultante essere professionisti della politica». A Berlusconi forse ronzano le orecchie, ma Bondi opta per un’apertura di credito: «Mettiamo da parte le cose che ci dividono e partiamo dalle cose che ci uniscono, come la riduzione dei parlamentari e la fine del bicameralismo perfetto». Fini non raccoglie, attacca la legge elettorale dei «nominati» e passa alla democrazia nel partito: «Non si può dire segui la linea sennò sei fuori. Dico una cosa un po’ cattivella, le espulsioni per eresia accadevano nei partiti non liberali, nel Pci e anche nell’Msi.

Il punto è: giusto il rispetto della maggioranza, ma poi, dopo il voto, devo fare un’abiura? Qui si tratta di rivendicare il diritto al dissenso, perché una democrazia è tale se non c’è il pensiero unico». Fini chiede un congresso e attacca su unità nazionale e legalità, «valori fondanti che non possono essere messi ai voti». Bondi tira un sospirone e sorride a fatica: «Qui c’è un problema di fondo, che rischia di diventare un serio impedimento al partito unitario. La legge elettorale non è una questione dirimente, possiamo discuterne. E poi evocare sempre l’eresia, l’abiura, è sbagliato, non c’è bisogno ». Segue siparietto (Fini: «Quando Bondi comincia a darmi del lei si mette male»; Bondi: «Ma io do del lei anche a Berlusconi »). Bondi prosegue: «Non è la Lega che mette in discussione l’unità nazionale, sono le condizioni del Sud. Se marchi solo le differenze diventi un controcanto sterile, invece puoi dare un contributo al partito». A questo punto si è passati al «tu», ma Fini non è sollevato: «Sono più preoccupato di prima: mi confermi la sudditanza verso la Lega». Poi la sfida: «Quale Paese al mondo ha un sottosegretario del quale hanno chiesto l’arresto per gravi reati?». Riferimento a Nicola Cosentino. Bondi reagisce: «Un po’ di garbo, i dirigenti si difendono, si esprime solidarietà». Non per Fini: «Dobbiamo essere come la moglie di Cesare, al di sopra di ogni sospetto». Affondo finale sulle critiche di Pietro Grasso (Bondi replica: «Ma non è il Vangelo») e su Brancher: «Non voglio che ci sia il sospetto che qualcuno si faccia nominare ministro per non andare in tribunale». Bondi: «Mi scoraggio, così avremmo avuto i comunisti al governo». Fini: «Ma che c’entra?».

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