venerdì 23 settembre 2011

Ora Berlusconi sfiducia Tremonti


"Prima si dimette e meglio è"

Gelida telefonata tra il premier e il suo ministro. Il Cavaliere: "Vuole sputtanarmi, va dicendo in giro che ho peggiorato la manovra e che ho minato la credibilità del Paese"

di FRANCESCO BEI

ROMA - Nel giorno in cui il Pdl e la Lega salvano dalla galera il suo ex braccio destro, è Silvio Berlusconi in persona a sfiduciare Giulio Tremonti. Non un atto formale, non ancora almeno, ma un giudizio durissimo contro il ministro dell'Economia, accusato senza mezzi termini di aver tradito la causa comune. "È andato in giro in Europa a dire che ero stato io a peggiorare la manovra", si è sfogato il premier con i suoi ministri, "e, se non ci fosse questa bufera sui mercati, avrei già fatto l'unica cosa da fare: chiedergli di andarsene".

La rabbia esplode alle nove del mattino, prima che a Montecitorio inizi la seduta dedicata a salvare il soldato Milanese. I ministri si trovano sul tavolo della sala verde di palazzo Chigi tante cartelline già pronte con dentro la nota di Aggiornamento del Def, il documento che certifica le nuove stime al ribasso sulla crescita. Ma Tremonti non c'è. "È dovuto volare a Washington - annuncia Gianni Letta - per la riunione del Fondo monetario e del G20". La protesta dei ministri monta, non ci stanno a votare a scatola chiusa "il compitino che ci ha preparato quello". Sono irritati anche perché il piano per lo sviluppo, ancora una volta, sta prendendo corpo nelle stanze di via XX Settembre, all'insaputa di tutti. Reclamano "collegialità". Alzano la voce Galan e Brunetta, Romani e Carfagna. Ma stavolta il più arrabbiato di tutti è proprio lui, Berlusconi: "Avete ragione, stavolta non ha scuse. Noi siamo qui
a lavorare e lui nemmeno si degna di venire. A questo punto come fa a restare al suo posto? Se ne dovrebbe andare via dal governo anche per un'altra ragione: ho saputo che va a dire in giro, erga omnes, che lui c'ha messo tre anni a conquistare una credibilità per questo governo e io in tre settimane ho sputtanato tutto".

Il Cavaliere è un fiume in piena. I ministri, anche i più critici con Tremonti, restano attoniti di fronte a quelle parole. capiscono che davvero sta per accadere qualcosa, che Tremonti ha le ore contate. Quando poi, all'ora di pranzo, Montecitorio delibera per la salvezza di Milanese senza il voto del ministro dell'Economia, Berlusconi (in una riunione improvvisata nella sala del governo accanto all'aula) rincara la dose. "Dal punto di vista umano, semplicemente u-ma-no, non essere venuto qui a votare per il suo amico, lasciando ad altri il compito di metterci la faccia, è una cosa indegna. Immorale". Ai presenti il Cavaliere racconta un episodio accaduto quella mattina. "Quando Letta mi ha riferito che Tremonti non sarebbe venuto in aula a votare, l'ho fatto subito chiamare a casa. Mi ha detto che aveva prenotato un volo della "United" per le undici. Allora gli ho risposto: ma scusa Giulio, perché prendi un aereo di linea? Ti faccio preparare l'aereo di Stato, così vieni a votare e poi parti a mezzogiorno. Sapete cosa mi ha risposto? Mi ha mandato a quel paese!".

In serata si diffondono da Washington voci di dimissioni di Tremonti, ma l'entourage del ministro dell'Economia smentisce seccamente. E tuttavia il processo politico dentro al Pdl prosegue a Roma, a palazzo Grazioli, dove il premier convoca Alfano e lo stato maggiore del partito. Ci si congratula per il voto su Milanese, anche se pesa quella pattuglia di franchi tiratori. Ma è di nuovo il "problema" Tremonti a dominare. Alla fine, con lo spread schizzato oltre quota 400 e la borsa a picco, tutti convengono che cacciare su due piedi il ministro è un'impresa molto rischiosa. Intanto verrà commissariato, spostando a palazzo Chigi, sotto la direzione del premier e di Gianni Letta, la "cabina di regia" che dovrà mettere a punto le misure per rilanciare la crescita. Si accenna anche alle pensioni e torna in primo piano la questione dell'abolizione di quella d'anzianità, nonostante la contrarietà della Lega. Ma è l'enorme stock di debito pubblico la montagna da aggredire. Così, per la prima volta, fa capolino una parola finora mai pronunciata, "patrimoniale". Quasi un'eresia tra le mura di palazzo Grazioli. Ma forse necessaria, anche perché con gli attuali livelli di mercato, spiega uno dei partecipanti al vertice, "privatizzare le aziende di Stato oggi vorrebbe dire darle via in saldo". Berlusconi è comunque determinato ad agire, anche Napolitano lo ha messo con le spalle al muro nel colloquio di due giorni fa sul Colle. "Abbiamo tre mesi, da qui a dicembre, per smuovere tutto, per dare una scossa all'economia". Si parla anche della legge elettorale, visto che il referendum incombe e se tornasse il Mattarellum per il Pdl sarebbe la fine. Così viene dato mandato a Denis Verdini si buttare giù una proposta sul modello spagnolo, un proporzionale con indicazione del premier e circoscrizioni piccole. Un sistema che dovrebbe andare bene anche all'Udc, almeno così sperano a via del Plebiscito. Verdini dovrà poi mescolare questa proposta con quella già elaborata dal ministro Calderoli, per farne uscire qualcosa di coerente.

Infine le intercettazioni. Il Cavaliere si lamenta di essere in "uno Stato di polizia", protesta perché "queste cose vengono diffuse anche all'estero e alla fine non fanno solo un danno personale a me ma a tutto il paese. Un altro al posto mio sarebbe morto". Alla fine si decide di procedere in fretta con la legge-bavaglio alla Camera, anche sfrondandola se servirà ad andare più veloci.

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