venerdì 5 settembre 2014

Il 'don' offende la figlia del Marò: mandate lui in India

Tanto da quelle parti perseguitano i cristiani. E dunque questo parroco non rischia nulla Dopo aver insultato per anni Silvio Berlusconi, a Giorgio De Capitani (nome e cognome andrebbero preceduti dal ‘don’, ma capirete bene come il titolo in questo caso stoni) adesso non va bene neppure che una figlia difenda il papà, imprigionato da oltre due anni in India, senza un processo degno di questo nome e senza che lo Stato si sia finora speso concretamente per riportarlo a casa. "Dàtti una calmata, rifletti, non scrivere stronzate, e implora in ginocchio la clemenza della giustizia indiana!". Così Giorgio De Capitani prende di mira Giulia Latorre, figlia del marò Massimiliano che l’altro giorni su facebook ha definito l’Italia un "Paese di merda, che pensa più agli immigrati che a mio padre”. In quel caso la rabbia di una figlia, in questo la maldicenza di un ‘padre’. E proprio perché arriva da un ambiente cattolico, la maldicenza - comunque disdicevole a prescindere - fa doppiamente male (ben altra sensibilità ha invece mostrato il fine poeta Davide Rondoni, in una lettera aperta apparsa su Avvenire di ieri e intitolata 'Giulia, la tua ira spinga l'amore'). Per tornare al 'don', ricordiamo che, dopo gli insulti a Berlusconi, De Capitani venne rimosso dalla parrocchia di Rovagnate e mandato  a Dolzago, vicino Lecco. Ora vorremmo sommessamente consigliare al suo Vescovo di mandare De Capitani proprio in India, dove i cristiani li perseguitano. E dove ‘don’ Giorgio quindi non rischia assolutamente niente. itraboni@ilgiornaleditalia.org

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