mercoledì 15 febbraio 2012

L’ITALIA ENTRA NEL PROGRAMMA



– L’F-35 viene realizzato in tre versioni: una “normale”, una imbarcata (per le grosse portaerei) e una STOVL (decollo corto e atterraggio verticale, per i Marines e per le piccole portaerei). Le forze aeree italiane stanno introducendo in servizio il caccia EF-2000 Typhoon (Eurofighter) destinato a compiti di difesa aerea. Nei prossimi anni dovranno sostituire la propria linea da attacco, rappresentata dai Tornado e dagli AMX, nonché i cacciabombardieri STOVL Harrier II imbarcati su portaerei. Per sostituire gli Harrier II non esiste alternativa: l’unico caccia STOVL disponibile è proprio l’F-35. A quel punto, visto che l’F-35 nelle sue varie versioni è in grado di sostituire anche i Tornado e AMX, la decisione più logica è stata quella di acquisire un unico modello per rimpiazzare ben tre aerei diversi. In questo modo si può ridurre il numero complessivo di aerei e semplificare notevolmente le spese di gestione e manutenzione, ridurre le scorte di parti di ricambio, uniformare l’addestramento e così via. In termini economici, si tratta di risparmi notevoli. Teoricamente ci sarebbero da sostituire circa 200 – 220 aerei, ma la Difesa ritiene che un centinaio di F-35 o poco più dovrebbero bastare. A questo punto, piuttosto che acquistare un centinaio di F-35 al “prezzo di listino”, senza ritorni industriali e tecnologici, l’Italia decise di entrare nel programma di sviluppo con un investimento iniziale di circa un miliardo di dollari e l’apertura di uno stabilimento di produzione e manutenzione a Novara, presso la base aerea di Cameri.
UN OTTIMO AFFARE “ECONOMICO”…- Questo significa che l’industria italiana otterrà profitti non solo dall’acquisto dei velivoli italiani, ma anche da tutte le vendite ed esportazioni che interessano l’F-35, nonché dalla manutenzione dei velivoli italiani e stranieri. Considerato chel’F-35 ha un mercato sicuro (non esistono altri velivoli concorrenti) di varie migliaia di “pezzi” nel mondo, sono tutti soldi che ritornano in Italia. La quota di partecipazione italiana è pari al 5 % ed il rientro è proporzionato a quella quota. Il prezzo finale di un singolo F-35 non è ancora noto e varierà nel tempo (l’aumento del ritmo produttivo determinerà una diminuzione dei costi per esemplare) ma è valutato intorno ai 60-70 milioni di dollari. Il carniere di ordini già oggi supera le 3000 unità, pari a oltre 200 miliardi di dollari, il 5 % dei quali (10 miliardi) è quindi destinato a finire in Italia. Conti alla mano, gli investimenti iniziali e le spese di acquisto per i velivoli italiani saranno abbondantemente coperti da questo ritorno, per non parlare delle ricadute in termini di occupazione e di trasferimento di tecnologie avanzate. A tutto questo andranno aggiunti i profitti ottenuti dalla manutenzione degli F-35 esportati in Europa e in vari paesi nel mondo, che farà capo allo stabilimento di Cameri. In termini economici, comunque si guardi la questione, la partecipazione italiana al programma F-35 costituisce un ottimo affare.
..E UNO STRUMENTO MILITARE “NECESSARIO” – L’ F-35 è un aereo “nucleare”,ma non più degli altri: qualsiasi aereo può trasportare bombe nucleari: basta agganciarle. Per assicurarne la corretta gestione è però necessario che il software dell’aereo siaopportunamente programmato. I Tornado italiani, ad esempio, sono predisposti all’utilizzo di armi nucleari, mentre quelli operati dall’Arabia Saudita non lo sono. La possibilità di impiegare o meno armi nucleari non dipende quindi dal modello di velivolo, ma da decisioni di natura politica e militare. Al momento non risulta che l’Italia intenda implementare capacità di attacco nucleare sui suoi F-35 ma è tra gli “aventi diritto” nel caso ritenesse di farlo (in quanto membro NATO). In compenso, se vogliamo uno strumento militare credibile, l’F-35 ci serve. A meno che non riteniamo di poter fare a meno delle portaerei e della capacità di fornire supporto aereo ai militari impegnati in missioni internazionali.

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