giovedì 5 maggio 2011

Maxi causa di sei banche contro l’ex partito dei Ds. Se il Pd riuscirà a defilarsi, toccherà allo Stato coprire parte del buco da record


giovedì 05 maggio 2011, 08:00
Concita fa la maestrina ma ha 176 milioni di debiti
di Paolo Bracalini

Roma La premessa per un inciucione tra gli ex missini di Fini e gli ex Pci di Bersani è pessima, visto che l’avvocato che segue la maxi causa contro l’ex partito editore dell’Unità è Girolamo Bongiorno, cattedratico parlermitano padre di Giulia, legale e braccio destro del leader cosiddetto futurista. Il professore assiste un pool di banche (tra cui colossi come Intesa San Paolo, Unicredit, Bnl) in credito con l’ex partito dei Ds, per una cifra spaventosa: 176 milioni di euro. Finora gli sforzi per recuperare i soldi sono stati vani, ma siamo alle strette perché un’udienza è fissata (come racconta Rosario Dimito sul Messaggero) tra due settimane circa. I debiti risalgono a tre tranche di finanziamenti, il primo nel 1988, gli altri nel ’93 e poi nel ’94.
Di mezzo c’è anche la presidenza del Consiglio, in qualità di garante «solidale», in virtù della legge sui contributi pubblici all’editoria. Significa che se parte dell’attuale Pd (quello erede del patrimonio ma anche dei guai dei Ds) riuscirà in qualche modo a defilarsi, sarà lo Stato a dover rispondere in sede esecutiva, accollandosi una fetta dei debiti che ora le banche rivendicano. Tecnicamente si chiama «escussione della garanzia della Stato», in soldoni si tratta del rimborso dei debiti dovuti dall’Unità, trascinati fino ad oggi.
Nel 2008 era arrivata una diffida di pagamento, sia ai Ds (già confluiti nel Pd) sia a Palazzo Chigi, allora occupato da Romano Prodi. La presidenza del Consiglio a quel punto intimò al partito di saldare il debito, anche al fine di «salvaguardare la posizione assunta dallo Stato come garante». Risposta democratica: silenzio assoluto. Il passo successivo è stato un precetto di pagamento, notificato dalla banche al partito, e quindi un pignoramento a Camera e Senato stavolta in ragione dei contributi elettorali (svariati milioni di euro) erogati dal Parlamento al partito allora guidato da Walter Veltroni.
Negli anni il quotidiano ha attraversato varie ristrutturazioni societarie e nel 2000 le esposizioni finanziarie del quotidiano sono state rinegoziate, trasferendole al partito.
Ma questo passaggio non ha migliorato le cose, anzi. Nelle due udienze del 2009 e poi del 2010 non si è cavato un ragno dal buco, anche perché - riporta il Messaggero - un gruppo di fuoriusciti del Ds-Pd si sarebbe messo di traverso «nei confronti delle procedure esecutive intentate». Ora gli istituti di credito puntano, entro maggio, a recuperare il 25% almeno dei vecchi finanziamenti. Sì, ma da chi? Lo Stato è più solvibile rispetto al partito, che però è tutt’altro che povero. Specie se si considera la proprietà immobiliare, retaggio del Pci. Su questo dossier regna lo storico tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, baffo alla Peppone e carattere di ferro, soprattutto quando si toccano i denari.
Il comparto immobiliare dei Ds-Pd conta all’incirca 2.400 immobili (sezioni di partito, case del popolo, bar, appartamenti e locali sparsi per tutta l’Italia). Un tesoro forse capace di coprire i debiti accumulati dall’Unità di quegli anni (ora graziosamente diretta da Concita De Gregorio, dispensatrice di lezioni su varie materie, la cui gestione non ha niente a che vedere con i vecchi debiti), su cui le banche potrebbero rivalersi con dei pignoramenti. Ma qui nascono i problemi, per via dell’astuzia del diabolico Sposetti. Gli immobili sono stati trasferiti a delle Fondazioni, o anche a Federazioni locali (un trucco pensato anche per non mescolare la preziosa eredità comunista con quei baciapile della MargheritaCioè soggetti terzi rispetto al partito, che potrebbero far valere l’autonomia patrimoniale messa nero su bianco nei loro statuti, per opporsi alle eventuali azioni esecutive. Un intricato groviglio di beni, posseduti ma intangibili grazie agli espedienti della tesoreria. Col paradosso di un partito ricchissimo, ma (finora) insolvente. Non solo immobili, ma anche opere d’arte, più di 400, tra cui dei Guttuso, dei Mario Schifano (una di queste tele, I compagni, la regalò Gian Maria Volontè alla sua sezione), dei Piero Dorazio, e poi altri meno noti. Si annovera nella ricca eredità anche un patrimonio di memoria (con un valore economico, ça va sans dire) raccontato tempo fa dal Foglio, composto da pezzi come il servizio da caffè che Palmiro Togliatti usava alle Frattocchie, le foto autografate dei cosmonauti sovietici come Gagarin, la scrivania di Pajetta. E poi addirittura sedici loculi disponibili nel mausoleo del partito al cimitero del Verano, a Roma. Molti nemici, molto onore. Molti immobili, molti debiti. Contratti negli anni che coincidono con le direzioni di due illustri predecessori della dolce Concita: Massimo D’Alema e Walter Veltroni. E io pago.

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