lunedì 27 settembre 2010

Il presidente "super partes" cerca di fare acquisti


E adesso? E adesso è una parola... Il minimo che si può dire è che il videomessag­gio ha terremotato il piccolo mondo finiano, che si aspetta­va qualcosa di diverso, un di­scorso molto più duro - gli uni -, molto più chiarificatore sui misteri monegaschi - gli altri. Comunque lo si guardi, da fal­chi o da colombe, un messag­gio insoddisfacente, non riso­lutivo, debole. E nemmeno co­me viatico per la pace col Pdl le parole di Fini possono esse­­re ritenute sufficienti, perché­per accontentare l’ala bocchi­niana - ha comunque inserito elementi polemici contro il Cav nel discorso tanto atteso dopo quello di Mirabello; sul dissenso che non avrebbe do­micilio nel Pdl, su un rapporto con la magistratura sano ri­spetto a quello dei berlusco­niani, sulla riforma della giusti­zia per i cittadini e «non per ri­solvere i problemi personali» (una strizzatina d’occhio al­l’opposizione). Come parole di pace con il Pdl, non sono il massimo. E così, malgrado il barometro sia lievemente cambiato rispetto a prima, le nuvole nere all’orizzonte non sono ancora scomparse, anzi. Nel Pdl si fa notare un fatto non irrilevante, che pesa sulla credibilità di Gianfranco Fini come terza carica dello Stato, in una situazione di scontro co­sì aperto e violento che lo vede in prima linea. Un episodio che si è verificato giovedì, qual­che ora prima della conferen­za stampa della (ex) deputata finiana Souad Sbai per annun­ciare il suo passaggio (anzi, rientro) nelle file del Pdl. Fini, raccontano le fonti, ha convo­cato la Sbai nel suo ufficio per raccogliere le sue valutazioni e sondare la possibilità di non farla passare col Pdl. L’aritme­tica, in questa crisi della mag­gioranza, è diventata più deter­minante della politica, e Fini sa bene che una pedina in più o in meno può rafforzare o in­debolire il suo peso al tavolo delle trattative col Cav (o con l’opposizione). Ma il punto, che nel Pdl è un argomento di discussione seria in queste ore, è il seguente: può un presi­dente della Camera essere considerato imparziale se poi è la stessa persona che si spen­de per convincere un deputa­to a stare in un gruppo alla Ca­mera invece che in un altro? La risposta che si danno tutti è negativa. Fini si trova nella situazio­ne, eccezionale nella storia della nostra Repubblica, di es­s­ere il capo di un gruppo parla­mentare che non esisteva al momento del voto e che è sta­to eletto con un partito con cui ora è in polemica, e contempo­raneamente a rappresentare la totalità del Parlamento pur parteggiando per una sola par­te di esso, che vorrebbe - è na­turale- più nutrita e forte possi­bile. Torna, insomma, il tema dell’opportunità che Finilasci la presidenza della Camera, per dedicarsi senza più ambi­guità al suo ruolo di fondatore di una nuova ala, nei fatti di un nuovo partito di centrodestra. Il rischio è ovviamente tutto per Fini, che però non è tipo che ama rischiare. Il ruolo di presidente della Camera gli as­sicura uno standing istituzio­nale- e un rapporto privilegia­to con il Colle, determinante in caso di crisi di governo- che non potrebbe mai avere come semplice leader del Fli. Non so­lo, ma il Fli è un pianetino ap­pena formatosi, dove si molti­plicano le scosse di assesta­mento e le tempeste. Al di là delle costanti voci di addii e passaggi al Pdl, la spaccatura interna è sempre più eviden­te. Si racconta di una fortissi­ma irritazione tra i futurist-fi­niani per le parole del deputa­to Fli Giuseppe Consolo, che ha assicurato preventivamen­te il suo appoggio ai cinque punti di Berlusconi. Ci sareb­bero state pressioni per fargli correggere il tiro specificando che quella è una sua persona­le posizione, e non quella del Fli. Un finiano invece di quelli anti-Cav racconta anonima­mente di prepararsi ad «uscire dall’aula nel momento in cui Berlusconi prenderà la paro­la », il 29 settembre. Ma il prota­gonismo troppo polemico di Bocchino & Co sta creando problemi. Il sottosegretario fi­niano Roberto Menia tira un dardo all’indirizzo di Bocchi­no dicendo che «sono finiano, ma non obbedisco a Bocchi­no ». Il senatore Menardi con­fessa un «malessere», perché «ci sono colleghi che parlano a sproposito», e anche il capo­gruppo al Senato Viespoli du­bita che la tattica mediatica ­orchestrata dalla banda Boc­chino, Granata e Farefuturo ­sia stata giusta. Un settembre «nero» per Gianfranco Fini.

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