venerdì 23 aprile 2010

Lascia la polizia: «Insulti, sputi e calci senza poter reagire>>


Dice addio alla divisa dopo 18 anni: sono stanco di vedere liberi i delinquenti che arresto
Assistente capo si dimette e scrive a Manganelli


PADOVA — Ci vuole coraggio a lasciare un posto fisso, un posto pubblico, senza avere la certezza di poterne trovare un altro, soprattutto in un momento storico come questo. Per L., 41enne padovano, il coraggio è stato un mestiere fino a pochi giorni fa: era un assistente capo del Reparto mobile di Padova. Ha indossato la divisa per 18 anni, ma lunedì ha presentato le dimissioni in questura e al capo della polizia, Antonio Manganelli, perchè non ce la faceva più a vedere vanificate ogni giorno dall’incertezza della pena ore di prima linea, in mezzo a pericoli e frustrazioni. E per una paga irrisoria.

«Sono entrato nella polizia nel settembre del 1992—scrive L. a Manganelli — a quel tempo per una giornata di ordine pubblico fuori sede un normale poliziotto percepiva 40.000 lire di indennità. Oggi per lo stesso servizio si percepiscono 22 euro. In 18 anni abbiamo perso oltre il 50% del potere d’acquisto. Altrettanto dicasi per il compenso relativo all’ora straordinaria, mediamente di circa 7 euro. Un qualunque artigiano chiede almeno 4/5 volte di ciò che percepisco in quell’ora, che non mi posso rifiutare di espletare». Ma la motivazione prevalente nella scelta di lasciare la polizia riguarda la dignità dell’uomo, che «più volte ho visto calpestata nelle piazze, in ragione della mancanza di coraggio di prendere delle decisioni da parte di chi aveva la responsabilità dell’ordine pubblico», scrive l’ex assistente capo. E aggiunge: «Ho preso insulti, sputi, calci, pugni, ho subìto lanci di uova, di deiezioni di animali e oggetti variamente pericolosi senza poter reagire. Quando mi è capitato di arrestare in flagranza persone responsabili di gravi reati, al termine del processo conclusosi con la condanna ho quasi sempre sentito la fatidica frase: "Si dispone altresì l’immediata remissione in libertà". Modo elegante per vanificare il lavoro e mortificare professionalmente l’operatore di polizia. Ora dico basta — conclude L.—psicologicamente e umanamente non reggo più. A partire dall’1 maggio rassegno le mie dimissioni, senza alcuna certezza per il mio futuro ma convinto che un Paese che tratta in questo modo i rappresentanti delle forze dell’ordine si candida alla propria implosione».

E’ un segnale preoccupante, che mette a nudo la gestione della sicurezza in Italia. «Non voglio sollevare casi, nè polemiche— chiarisce l’ex poliziotto— solo raccontare la mia storia. Non sbatto la porta, continuo a credere che il lavoro delle forze dell’ordine sia alla base dello Stato di diritto,ma in queste condizioni non me la sento di andare avanti. E’ mortificante ». «La situazione del collega è quella di tutti noi — spiega Graziano Candeo, segretario provinciale del Siulp—un consigliere regionale guadagna circa il doppio di un questore. Il comandante dei vigili di una città media ha uno stipendio di gran lunga maggiore a quello di un funzionario, di un dirigente di polizia o dello stesso questore. E non è tutto. In passato dopo 25 anni di servizio si poteva andare in pensione, oggi bisogna averne maturati 40. A chi contrae infermità per ragioni di servizio lo Stato respinge ogni istanza di risarcimento, perchè non ci sono soldi e infatti il nostro contratto non è stato rinnovato nè per il biennio 2008/2009 nè per quello 2010/2011. Eppure — chiude Candeo — un poliziotto che non riesca a mantenere la famiglia non può fare un secondo lavoro, pena la destituzione, e spesso non si vede neppure pagate tutte le ore di straordinario ».

Michela Nicolussi Moro

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