venerdì 20 febbraio 2015

Ah, se Renzi valesse la metà di re Abdallah…

di Andrea Pasini
Non posso che provare ammirazione per il re Adballah II di Giordania. Non posso che provare disprezzo per il nostro premier Matteo Renzi. La questione è quella islamica. La reazione – opposta – è quella di due capi di Stato che fronteggiano la minaccia denominata Isis. Minaccia fin troppo reale che, con l’intento di terrorizzarci e di renderci schiavi, ha nei giorni scorsi sentenziato a morte un pilota giordano. Senza vera causa, e attraverso una pratica aberrante. Ecco perché – con le immagini di quell’esecuzione ben impresse nella mente – non posso che parlare di ammirazione davanti al re di Giordania, che parte in prima linea con il suo esercito, guidando personalmente un F16 per combattere il terrorismo islamico. Combattere realmente, come io – e sono certo molti altri italiani – saremmo pronti a fare. Mentre questo accade lo Stato italiano resta in silenzio. Governati da una classe politica che invece di tutelarci si nasconde con codardia e pensa a proteggere i propri interessi. Io da imprenditore, oltre che cittadino italiano, lo so bene. Non è accettabile che i nostri politici continuino a tergiversare mentre il pericolo si trova a pochi passi dai nostri confini. La nostra storia, le nostre radici pronte ad essere spazzate via e dimenticate. Le nuove generazioni rese schiave. Quello che sembra uno scenario apocalittico diventa sempre più una reale possibilità, davanti alle azioni dell’Isis e ai suoi messaggi terroristici. Anche davanti alle ultime terribili scene dell’uomo arso vivo ho rifiutato di piegarmi al loro regime fondato sulla paura. Io non ho paura, perché non voglio che siano loro a condizionare negativamente il futuro mio e dei miei figli. Di una cosa però ho paura: del governo italiano e della sua codardia. Della scelta della nostra classe politica di piegarsi davanti alla minaccia islamica. Delle affermazioni di alcuni onorevoli quali il signor Di Battista (M5s) che sostiene sia necessario comprendere ciò che muove i membri dell’Isis. Io, da Occidentale – mentre sono ancora libero – rifiuto di comprendere l’odio che spinge queste persone ad uccidere chiunque non condivida la loro fede. Non possiamo permetterci di perdere questa guerra. Perché se ancora i nostri politici si nascondono davanti a questa situazione, anzi danno loro denaro per liberare due sedicenti cooperanti, noi italiani sappiamo che dobbiamo essere pronti. Pronti a lottare per il nostro passato e per il futuro dei nostri figli.

sabato 14 febbraio 2015

FdI-An boccia il nuovo logo di Roma: «Marino ripristini la scritta S.P.Q.R.»

Giacomo Fabi Continua a far discutere il nuovo logo di Roma voluto dal suo sindaco “marziano”, al secolo Ignazio Marino, che in pochi minuti ha gettato alle ortiche quell’acronimo – S.P.Q.R. – che in circa  trenta secoli di storia il mondo intero ha imparato ad associare a concetti tuttora attuali come la sovranità del popolo, il primato della politica e l’imperio della legge. S.P.Q.R.: un “brand” con trenta secoli di storia A sollevare il caso, con una nota congiunta diffusa alla stampa gli esponenti di Fdi-An Fabrizio Ghera, capogruppo in Campidoglio, e Federico Mollicone, responsabile comunicazione. A loro giudizio (ma è presumibile che rispecchi quello di tutti i romani e di tutti gli italiani, almeno quelli degni di essere tali) il nuovo logo del merchandising è «provinciale e stravolge i criteri tecnico-grafici della ristilizzazione di un logo “identitario” come quello di Roma». In poche parole, «è brutto e non narra il prestigioso brand millenario che dovrebbe evocare» Ghera e Mollicone: «Brutto e provinciale il simbolo del sindaco» Nel dettaglio, Ghera e Mollicone puntano l’indice contro «quei “coriandoli colorati” al posto della corona, della croce e di S.P.Q.R» denunciando la «scarsa conoscenza dei motivi per cui sono conosciute Roma e la sua storia nel mondo». Oltretutto – si legge ancora nella nota congiunta – «Roma è Roma in tutto il globo, dalla Cina al Nord America». I due esponenti di FdI-An non risprmano critiche sulla scritta («Rome. And you?») inserita all’interno del nuovo logo: «La scelta di tradurla in inglese – scrivono i due – è tipico di una mentalità di sottomissione culturale. Chissà quanto mesi hanno impiegato gli “scienziati” del Campidoglio per partorire un logo così folgorante. Da millenni S.P.Q.R. non si cancella, Roma è Roma in tutto il mondo e non è un’etichetta da cambiare a ogni stagione – concludono – ma una città complessa da amministrare, probabilmente il sindaco non ha ancora capito dove si trova e ribadisce la sua inadeguatezza al ruolo, come già tante volte dimostrato in questi due anni di amministrazione».

venerdì 13 febbraio 2015

ISLAMICI FANNO STRAGE DI CANI –

Orripilanti immagini arrivano da Karachi, città portuale del Pakistan, dove un centinaio di cani sono stati uccisi e poi gettati in un mucchio dei rifiuti: sono i cani randagi di Karachi. La città pakistana ha iniziato la strage di massa, dopo che le autorità si erano ‘allarmate’ – questa la versione ufficiale – per il loro numero crescente. Secondo alcune organizzazioni dei diritti degli animali, però, si tratta di una scusa per eliminare animali considerati dagli islamici come ‘impuri’. Non che faccia una grande differenza, sempre di barbarie si tratta.

martedì 10 febbraio 2015

Foibe: anche decine e decine di sacerdoti furono torturati e uccisi

Cinquanta sacerdoti tra le vittime delle foibe Il racconto di Piero Tarticchio, parente di un sacerdote martire di quel periodo La storia delle foibe è legata al trattato di pace firmato a Parigi il 10 Febbraio 1947, che impose all’Italia la cessione alla Jugoslavia di Zara – in Dalmazia –, dell’Istria con Fiume e di gran parte della Venezia Giulia, con Trieste costituita territorio libero tornato poi all’Italia alla fine del 1954. Dal 1947 al 1954 le truppe jugoslave di Tito, in collaborazione con i comunisti italiani, commisero un’opera di vera e propria pulizia etnica mettendo in atto gesti di inaudita ferocia. Sono 350.000 gli Italiani che abbandonarono l’Istria, Fiume e la Dalmazia, e più di 20.000 le persone che, prima di essere gettate nelle foibe (cavità carsiche profonde fino a 200 metri), subirono ogni sorta di tortura. Intere famiglie italiane vennero massacrate, molti venivano legati con filo spinato a cadaveri e gettati nelle voragini vivi, decine e decine di sacerdoti furono torturati e uccisi. Nella sola foiba di Basovizza sono stati ritrovati quattrocento metri cubi di cadaveri. Per decenni questa barbarie è stata nascosta, tanto che l’agenzia di stampa “Astro 9 colonne”, nel fare un conteggio dei lanci di agenzia pubblicati dal dopoguerra ad oggi sul tema delle foibe, ha scoperto che fino al 1990 erano stati poco più di 30. Negli anni Novanta l’attenzione per il tema è aumentata: oltre 100 fino al 1995, l’anno successivo i lanci sono stati ben 155. Negli anni recenti ogni anno ce ne sono stati addirittura più di 200. Dopo anni di silenzio la vicenda è arrivata in Parlamento, e con la legge n. 92 del 30 marzo 2004 è stato istituito il \”Giorno del Ricordo\”, per conservare la memoria della tragedia delle foibe. Calcolare esattamente il numero delle vittime è difficile, ma sono stati almeno 50 i sacerdoti uccisi dalle truppe comuniste di Tito. Interpellato da ZENIT, Piero Tarticchio, che all’epoca dei fatti aveva sette anni, ha ricordato la tanta gente che partecipò al funerale del suo parente don Angelo Tarticchio, parroco di Villa di Rovino e attivo nell’opera caritativa di assistenza ai poveri, ucciso il 19 settembre del 1943 e sepolto il 4 novembre. Il sacerdote venne preso di notte dai partigiani jugoslavi, insultato e incarcerato nel castello dei Montecuccoli a Pisino d’Istria. Dopo averlo torturato, lo trascinarono presso Baksoti (Lindaro), dove assieme a 43 prigionieri legati con filo spinato venne ucciso con una raffica di mitragliatrice e gettato in una cava di bauxite. Tarticchio ha raccontato a ZENIT che il 31 ottobre, quando venne riesumato il cadavere, si vide che in segno di scherno gli assassini avevano messo una corona di filo spinato in testa a don Angelo. Don Tarticchio viene oggi ricordato come il primo martire delle foibe. Un’altra delle vittime fu don Francesco Bonifacio, un sacerdote istriano che per la sua bontà e generosità veniva chiamato in seminario “el santin”. Cappellano a Volla Gardossi, presso Buie, don Bonifacio era noto per la sua opera di carità e zelo evangelico. La persecuzione contro la fede delle truppe comuniste era tale che non poté sfuggire al martirio. La sera dell’11 settembre 1946 venne preso da alcune “guardie popolari”, che lo portarono nel bosco. Da allora di Don Bonifacio non si è saputo più nulla; neanche i resti del suo cadavere sono mai stati trovati. Il fratello, che lo cercò immediatamente, venne incarcerato con l’accusa di raccontare storie false. Per anni la vicenda è rimasta sconosciuta, finché un regista teatrale è riuscito a contattare una delle “guardie popolari” che avevano preso don Bonifacio. Questi raccontò che il sacerdote era stato caricato su un’auto, picchiato, spogliato, colpito con un sasso sul viso e finito con due coltellate prima di essere gettato in una foiba. Per don Francesco Bonifacio il 26 maggio 1997 è stata introdotta la causa di beatificazione, per essere stato ucciso “in odium fidei”. In “odium fidei” fu ucciso il 24 agosto del 1947 anche don Miroslav Buselic, parroco di Mompaderno e vicedirettore del seminario di Pisino. A causa della guerra in molte parrocchie della sua zona non era stato possibile amministrare la cresima, così don Miroslav accompagnò monsignor Jacob Ukmar per amministrare le cresime in 24 chiese diverse. I comunisti, però, avevano proibito l’amministrazione. Alla chiesa parrocchiale di Antignana i comunisti impedirono l’ingresso a monsignor Ukmae e don Miroslav. Nella chiesa parrocchiale di Pinguente una massa di facinorosi impedì la cresima per 250 ragazzi, lanciando uova marce e pomodori, tra insulti e bestemmie. Il 24 agosto nella chiesa di Lanischie, che i comunisti chiamavano “il Vaticano” per la fedeltà alla chiesa dei parrocchiani, monsignor Ukmar e don Milo riuscirono a cresimare 237 ragazzi. Alla fine della liturgia i due sacerdoti si chiusero in canonica insieme al parroco, ma i comunisti fecero irruzione, sgozzarono don Miroslav e picchiarono credendolo morto monsignor Ukmar, mentre don Stjepan Cek, il parroco, riuscì a nascondersi. Alcuni testimoni hanno raccontato che prima di essere sgozzato don Miloslav avrebbe detto “Perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Al funerale i comunisti non permisero ai treni pieni di gente di fermarsi, nemmeno nelle stazioni vicine. Al processo i giudici accusarono monsignor Ukmar e il parroco di aver provocato gli incidenti, così il monsignore, dopo aver trascorso un mese in ospedale per le percosse ricevute, venne condannato ad un mese di prigione. Il parroco fu invece condannato a sei anni di lavori forzati. Su don Milo, il tribunale del popolo sostenne che non era provato che “fosse stato veramente ucciso”. Poteva essersi “suicidato a scopo intimidatorio”. Le prove erano però così evidenti che l’assassino venne condannato a cinque mesi di prigione per “troppo zelo nella contestazione”. Nel 1956, in pieno regime comunista la diocesi avviò segretamente il processo di beatificazione di don Miloslav Buselic, ed è diffusa ancora oggi la fama di santità di don Miro tra i cattolici d’Istria.

mercoledì 4 febbraio 2015

Mattarella eletto INCOSTITUZIONALMENTE Capo dello Stato

Sergio Mattarella ha superato il quorum, è il nuovo presidente della Repubblica. Il quorum e’ 505 voti. “L’esito è ormai scontato – ha detto il presidente del Senato, Pietro Grasso – e siamo felici di questo esito”. Ecco la «persona di assoluta lealtà, correttezza, coerenza democratica e alta sensibilità costituzionale» Non sono molti gli scheletri nell’armadio di Sergio Mattarella, il nuovo Capo dello Stato beatificato da un endorsment sinistrorso dalle santificazioni del mainstream de noiantri unite alle benevoli dichiarazioni di Giorgio Napolitano ex Re d’Italia: «persona di assoluta lealtà, correttezza, coerenza democratica e alta sensibilità costituzionale» Ai casti, puri, limpidi e cristallini ma affetti da amnesia patologia conclamata corre l’obbligo di ricordare il ritratto a tinte fosche sul loro Presidente. Cominciamo dallo sbianchettamento delle bozze relative al dossier Mitrokhin; le “relazioni pericolose” intrecciate dall’Antonino martire, il fratello meno noto di Sergio, che balzò agli «onori delle cronache alla fine degli anni Novanta nell’ambito di un’inchiesta della procura di Venezia per riciclaggio di denaro e associazione mafiosa. Procedimento poi archiviato nel 1996 per mancanza di prove». Per gli inquirenti al lavoro su quella difficile indagine, Antonino avrebbe convogliato a Cortina un’ingente massa di soldi sporchi, riconvertendo in multiproprietà alcuni grandi alberghi». Un coinvolgimento indiretto, certo: e allora, sempre in tema di scandali a «macchiare l’immagine del Presidente invece c’è la confessione di aver accettato, alla vigilia delle Politiche del 1992, un contributo elettorale di tre milioni di lire – sotto forma di buoni benzina– dall’imprenditore agrigentino Filippo Salamone, noto in Sicilia per essere vicino a Cosa Nostra». Poi, nel 1999 le nefandezze della commissione Mitrokhin, l’archivio contenente le attività illecite del Kgb in Italia, Sergio Mattarella allora era vicepresidente del Consiglio dei Ministri con delega ai servizi segreti. Nel Paese irrompe la notizia dell’esistenza di documenti dirompenti. «E per far luce su quando i vertici di quel governo seppero del dossier – ricostruisce Il Tempo – sul perché non fu informata per tempo la magistratura italiana, sul chi e come «corresse» le bozze del libro su quell’archivio e sul perché, guarda caso, si fece in modo che l’archivista Mitrokhin non venne ascoltato dal Sismi, venne istituita, qualche anno dopo, una commissione d’inchiesta parlamentare presieduta dal senatore Paolo Guzzanti. E fra le molte persone sentite ci fu anche Mattarella». Il quale, tra contraddizioni, smentite e sbalzi temporali, in diverse audizioni sostenute di fronte alla commissione, replicò in maniera poco convincente con argomenti che tamponarono sul momento, ma non chiusero la falla dei tanti interrogativi a lungo rimasti senza risposta. La sentenza definitiva sul giallo dello sbianchettamento, poi, l’avrebbe pronunciata anni dopo, nel 2004, un altro illustre presidente della Repubblica, il picconatore Francesco Cossiga che, sul dossier Mitrokhin disse: «Chi è stato? I servizi segreti. Su ordine di chi? Il più adatto, ovvio, era Sergio Mattarella»… Come se non bastasse, a questo bisogna aggiungere qualche altra quisquiglia. Sempre da ministro della difesa, ebbe il coraggio di negare la presenza di uranio impoverito nei proiettili USAti dalla Nato in Kosovo e nei Balcani. Da non sottovalutare che è lui che ha fregato agli italiani il Referendum per cancellare la vergognosa Legge Fornero. Ed infine, è con il suo contributo che il 13 gennaio 2014 la Corte Costituzionale emise la Sentenza n. 1/2014 con cui il 4 dicembre 2013 bocciò le norme elettorali previste dal cosiddetto Porcellum. Porcellum con il quale è stato eletto incostituzionalmente il Parlamento che oggi altrettanto incostituzionalmente lo ha eletto Capo dello Stato. Armando Manocchia  @mail

domenica 1 febbraio 2015

Europee. Marina Berlusconi obbliga il papà ad epurare tutti gli “uscenti”. Il Cav cerca “riparo” in Forza Sud. I “cognomi pesanti” in lista in 9 regioni. Fuori i “terroni” Mastella, Rivellini e Patriciello

ROMA – Grandi manovre in vista delle elezioni Europee in casa “azzurra”. “Forza sud” per mettere in scacco l’epurazione annunciata soprattutto nelle regioni del meridione. Una lista che comprende tanti territori: Lazio, Molise, Abruzzo, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia, Campania e Sardegna. Nove regioni capaci di fare la differenza in termini di consensi e “cognomi pesanti”. Uno schiaffo in faccia all’amministratore delegato Silvio Berlusconi di Forza Italia. Un amministratore che tutti si sono “rotti” di sopportare. Il Cav non vuole perdere quei voti? La trattativa è aperta. Su che base? Nella lista di Forza Italia rischiano gli uscenti tra cui Clemente Mastella, Enzo Rivellini, Sergio Silvestris, Raffaele Baldassarre, Aldo Patriciello. E verranno candidati, su ordine di Marina Berlusconi, tutti volti nuovi: gente espressione della società civile e “quadri” delle aziende di famiglia.

E intanto Tosi si organizza sul serio…

di L'Intraprendente La pala è ancora calda, la terra è ancora lì, come aspettasse di coprire una fine. Il centrodestra ha incassato il colpo definitivo, quello alla nuca. A Roma è andata in scena una disfatta inedita quanto mortificante: Angelino Alfano ancor più prono a Matteo Renzi (praticamente un miracolo, ché non ci si aspettava potesse migliorarsi in tal senso) e Berlusconi definitivamente fuori dai giochi. Lega Nord e Fratelli d’Italia ufficialmente marginali mentre solo una parte dei forzisti (riconducibili a Raffaele Fitto) ha giocato una propria partita, quella che punta e ha sempre puntato sull’annichilimento del patto del Nazareno. Lo scenario è inclemente ma una buona notizia c’è. Perché se è vero, e lo è, che la politica è comunque piegata, come il resto delle cose, ai cicli storici, il dramma destrorso odierno è banalmente fisiologico. Si riparte, dalle ceneri, anzi, magari dando forma a cose nuove. Perché mentre andava in scena la resa incondizionata di una buona parte della destra nostrana alle quirinarie renziane, a Verona si mettevano le basi per un possibile post: un faro a fare da simbolo, circoli sparsi in tutta Italia (un lavoro certosino e lungimirante) e un motto. Si riparte da “ricostruiamo il Paese”, si riparte con la voglia di rappresentare l’area moderata e liberale, nel Veronese si riparte dallo slancio di Flavio Tosi. In transatlantico raccoglievano i pezzi di una sconfitta che chiarisce fuori di dubbio la fine dell’era berlusconiana; nella sua città Flavio presentava organigramma e regolamenti interni. Leggasi anche premesse d’un partito. Tosi cosa vuol fare non lo nega da parecchio, risvegliare l’elettorato dormiente e rimettere al centro l’area liberale, industriale e riformatrice del Paese. Per farlo ha un piano politico, che ammette matrimoni probabili ancora da sondare. Il contrasto è lì da vedere: il patto del Nazareno che si dimostra quel che sembrava, poco più del rapporto tra un padrone e un servo che ha scordato le ragioni del proprio esistere politico, mentre qualcosa altrove si muove. Perché che sia Tosi con i suoi Fari o un nome che ancora bisogna scovare, sapendo che il centrodestra non può essere morto, non finché parte dell’elettorato non ne sentirà la mancanza, l’evidenza è che se rinascita deve esserci questa non appartiene a quell’era finita. Né a chi l’ha fatta.