domenica 22 gennaio 2012

“Rumeni in Fli”, il nuovo circolo del partito di Fini



Si chiama ‘rumeni in Fli’ ed è il nuovo circolo del partito di Fini, nato a Bologna da un paio di mesi, interamente composto da cittadini rumeni. Sono una ventina, tutti giovani, in gran parte studenti o neolaureati, che si presentano domenica con un convegno sul tema della cittadinanza al quale parteciperanno Enzo Raisi e Fabio Granata. “Abbiamo scelto Fli – ha detto il coordinatore Vasile Simon – perché ci riconosciamo nella cultura del centrodestra e perché abbiamo trovato persone sensibili ai temi che ci stanno a cuore. Abbiamo cominciato con un gruppo di rumeni di Bologna, ma vorremmo estendere questa esperienza anche in altre città”. Il primo obiettivo del circolo è quello di sostenere la proposta di legge, presentata da Granata, per il riconoscimento dello ‘ius soli’ per la cittadinanza. “I giovani rumeni che hanno aderito a Fli – ha detto Roberto Flaiani, coordinatore provinciale di Bologna – non devono essere considerati come truppe strumentalizzabili per motivi politici, ma devono essere la nuova classe dirigente della nostra nazione”.

sabato 21 gennaio 2012

Inchiesta "Why not" guai per De Magistris: rinviato a giudizio



Concorso in abuso d'ufficio. Di questo reato dovranno rispondere il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris e il superconsulente informatico Gioacchino Genchi. I due sono stati rinviati a giudizio dal gup del tribunale di Roma
di Nico Di Giuseppe
Concorso in abuso d'ufficio. E' questo il reato di cui dovranno rispondere il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris e il superconsulente informatico Gioacchino Genchi.

I due sono stati rinviati a giudizio dal gup del tribunale di Roma, Barbara Callari.
La prima udienza è stata fissata per il 17 aprile prossimo, davanti ai giudici della seconda sezione. La contestazione riguarda l’acquisizione e il trattamento nell’ambito dell’inchiesta denominata "Why not", di tabulati telefonici di alcuni parlamentari senza aver prima richiesto l’autorizzazione alle Camere di appartenenza.
I difensori avevano presentato una eccezione di incompetenza territoriale, sulla base di una nuova documentazione, tra cui un’attestazione della compagnia telefonica Vodafone che ha individuato a Palermo il primo atto conosciuto di accesso telefonico, oggetto di contestazione.
L’archivio oggetto del processo era stato sequestrato nel marzo del 2009. L’inchiesta era stata trasmessa per competenza alla Procura di Palermo. Il tribunale del riesame e la Cassazione poi hanno comunque stabilito che il provvedimento della magistratura inquirente capitolina non dovesse esser compiuto.
Secondo il filone del procedimento che chiama in causa Genchi e De Magistris, sono stati acquisiti tabulati di otto diversi membri del Parlamento, tra cui quelli di Clemente Mastella, Romano Prodi e Francesco Rutelli.
"Sono amareggiato per la decisione del Gup del Tribunale di Roma rispetto ad un procedimento in cui mi appare chiara l’incompetenza dell’autorità giudiziaria di Roma, così come è ancora più evidente l’infondatezza dei fatti", ha commentato il sindaco di Napoli, che poi ha aggiunto: "Non mi aspettavo questo rinvio a giudizio, perché l’accusa rivoltami è quella di aver acquisito tabulati di parlamentari senza necessaria autorizzazione del Parlamento stesso: mai un pm potrebbe essere così ingenuo. Ritenevo e ritengo un dover costituzionale indagare nei confronti di tutti e anche nei confronti dei parlamentari e dei potenti. Mi auguro che la magistratura giudicante, nella sua autonomia e indipendenza, riconosca la correttezza del mio operato e l’infondatezza degli addebiti formulati dalla Procura di Roma".
Infine, l'ex pm ha detto fiducioso: "L’unica nota positiva di questa giornata amara è che in un pubblico dibattimento tutti si potranno rendere conto della incredibile storia da cui ancora oggi sono costretto a difendermi".

venerdì 20 gennaio 2012

Vendola ed il Pd contro ricerca e sfruttamento del petrolio in Puglia!




Inserito da Caelsius Mars

Chi è stato in Norvegia negli anni ’70 racconta di aver trovato gente semplice, povera, ma civile e di grande dignità, che in un paese privo di risorse, di pascoli e di agricoltura sbarcava il lunario per lo più spaccando legna e pescando aringhe che rivendeva in giro per l’Europa. Oltre a questo, i norvegesi svolgevano due attività ad uso e consumo quasi esclusivo dei “ricchi” italiani : le casalinghe si dedicavano alla produzione a mano di maglioni di spessa lana con variopinte decorazioni geometriche ispirate alla geometria dei fiocchi di neve, mentre gli uomini erano quasi tutti dediti a pescare ed essiccare baccalà della varietà S. Giovanni, il più raro e pregiato. Poi all’improvviso la Norvegia girò pagina, i suoi tre milioni di poveri abitanti in pochi anni, con un incremento demografico da quarto mondo, sono diventati 4,5 milioni e con redditi da nababbi, che se ne vanno in giro con le Corone che gli spuntano dalle tasche e con le quali si accendono pipe e sigari cubani. Che è successo? Semplice: alla fine degli anni ’70 hanno trovato il petrolio nel Mar del Nord, di una varietà tra le più pregiate perchè contiene meno dello 0,4 % di composti sulfurei ed è classificato come Sweet Light Crude. Lo chiamano Brent, ed il primo giacimento fu scoperto nel Mar del Nord al largo della costa scozzese di Aberdeen. I norvegesi, che sono dirimpettai della Scozia, si misero a cercare anche loro e così hanno scoperto (per il momento) 19 grandi giacimenti. Ma la vera fortuna della Norvegia non è stata tanto quella di aver trovato il petrolio, quanto quella di non aver dato i natali ad un Vendola in versione vichingo e di non avere un Pd. Eh sì, perchè altrimenti starebbe ancora nello stesso medioevo del suo sviluppo economico in cui si trovava 30 anni fa. Domani a Monopoli, 40 km a sud di Bari, la Puglia di Vendola e del PD scende in piazza per evitare che l’Adriatico “divenga un enorme foro appaltato alle società petrolifere”. Così, dopo aver deturpato i fiabeschi panorami della Daunia con ignobili foreste di inutili torri eoliche che costano tanto e non risolvono niente, aver tappezzato verdi distese delle campagne pugliesi di funerei pannelli fotovoltaici con intrallazzi e clientele sui quali indaga la magistratura, ora Vendola si riscopre ecologista a comando e si schiera contro l’eventuale estrazione di greggio, non per presunta difesa ambientale, ma per non arricchire le compagnie petrolifere. Manco Stalin pur nel suo furore ideologico sarebbe stato così autolesionista. Ma si sa, la sinistra bolla come “infame speculazione capitalistica” qualsiasi iniziativa dove non è lei a poter lucrare e speculare, come fa con l’acqua, la sanità ed i trasporti pubblici locali. La questione si origina dal fatto che nel decreto per le liberalizzazioni che sta per essere varato, un capitolo riguarda misure per il rilancio delle introspezioni per il rinvenimento di giacimenti di gas e petrolio al largo delle coste dell’Adriatico. Sentite al proposito cosa ha detto Antonio Decaro capogruppo regionale del PD: “Concedere per decreto alle lobby del petrolio la gestione del nostro sottosuolo e dei nostri mari come fossero serbatoi dai quali estrarre profitti equivarrebbe ad una perenne minaccia per l’ambiente. Nel decreto liberalizzazioni ci sono tre articoli a dir poco inquietanti. Praticamente – rileva Decaro – dopo il nucleare siamo davanti a un nuovo incubo per tutto il Paese, e all’ennesimo schiaffo per la nostra regione al largo delle cui coste si stanno già ricercando idrocarburi in spregio totale di ogni correttezza istituzionale (che c’entra la costituzione, ndr?). Caro Decaro, il vero schiaffo morale è la disoccupazione giovanile che tenete al 40%, con 20.000 giovani pugliesi che evacuano ogni anno la Puglia per disperazione. Ieri in serata, faccia a faccia su La7, tra il governatore Nichi Vendola e il ministro all’Ambiente, Corrado Clini. Vendola ha lamentato che la ripresa in grande stile della coltivazione di giacimenti petroliferi (magari fosse, ndr) contrasta in maniera evidente con le politiche disegnate con il protocollo di Kyoto. “Perché – ha chiesto – continuate a ostinarvi a venire a cercare petrolio nel mare Adriatico? Il nostro oro sono il paesaggio e il turismo”. Presidente Vendola, sorvolando sui paesaggi che è Lei a deturpare, possiamo chiederle di menzionare una sola iniziativa presa dalla sua giunta per il rilancio del turismo nella regione? Una regione priva di infrastrutture ricettive serie, dove lungo il litorale da S. Foca a Santa Maria di Leuca, passando per le splendide spiagge candide dei Laghi Alimini, non c’è un solo albergo degno di questo nome a parte il resort del Club Med, non ci sono ristoranti, nessuna attrazione per il tempo libero, locali notturni, niente di niente? Ha mai pensato che con i ritorni di gas e petrolio, se mai se ne trovassero, il litorale pugliese meridionale sull’Adriatico potrebbe essere trasformato in un giardino sull’acqua da far impallidire Miami in Florida. L’ha mai vista? Le sembra una città con l’habitat degradato? Intanto la bozza di decreto è lì, con i suoi tre articoli pro-trivellazioni. Pierfelice Zazzera, parlamentare dell’Italia dei Valori parla di “Vergogna inaccettabile. Un Governo che mette gli interessi delle multinazionali al primo posto è un Governo criminale”. Sullo stesso tono Legambiente. “E’ vergognoso – dichiara Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia – che, mentre la Costa Concordia spiaggiata rischia di immergersi e inondare l’Arcipelago Toscano di carburante, il Governo Monti voglia svendere il paese ai petrolieri”. Scuse mescolate a menzogne. L’Italia non svende niente perchè possiede due grandi società pubbliche che il mondo ci invidia, almeno sinchè Prodi non le farà vendere ai cinesi, cioè la Saipem e L’Eni. Questa, in particolare, è leader europea nel settore gas, e 5a nel mondo per il petrolio a ruota di Exxon, BP, Shell e Total. Per quanto riguarda i ritorni, in Libia Gheddafi dimostrò come fosse semplice tenerseli tutti dopo aver esautorato re Idris che invece cedeva la metà dei proventi alle Sette Sorelle. Per quanto riguarda i pericoli dell’ambiente, fatevi un bel giro dei fiordi norvegesi e poi ne riparliamo. Anzi, diremo di più : gli ex pescatori norvegesi ora fanno gli armatori e pescano con flotte modernissime quantità enormi di naselli, baccalà, aringhe, sardine e crostacei di qualità eccelsa e certificata, altro che inquinamento!

giovedì 19 gennaio 2012

La lettera di un vigile urbano a Pisapia e Vendola: “Conoscevo il mio collega ucciso dai Rom col Suv”

AL SINDACO PISAPIA ED A NIKI VENDOLA, riguardo il mio collega morto stasera a Milano. Lo conoscevo, abbiamo lavorato assieme, una persona vitale, simpatica, volenterosa, ottimista, sorridente. Ma non voglio fare un necrologio e nemmeno lanciare invettive, solo dire al sindaco questo: ciò che spinge a diffidare dei nomadi, non parlo di odiare, parlo di diffidare, è il fatto che la loro vita implica necessariamente l’illegalità. Ogni volta che si è entrati in un campo nomadi, si è trovata refurtiva, armi, droga; ogni volta che si parla di loro, il malaffare è dietro l’angolo ma non perché faccia parte della vita dei nomadi, ma proprio perché fa parte della vita di ogni persona sbandata e senza radici che, in questo caso, è istituzionalizzata da loro stessi e sostenuta, per misteriosi motivi, da più parti. Più parti che nascondono e negano l’evidenza, causando danno agli stessi nomadi perché, coprendoli, condannano loro e la loro progenie a vivere di male, e nel male.
I nomadi storici di quel piazzale, fra cui quelli coinvolti nel fatto di stasera, li conoscevo e li conosco: è da 20 anni che li conosco, e da decenni che infestano Milano, vivendo sempre in maniera discreta senza che abbiano mai svolto un’attività legale, vivendo di minaccia e prepotenza. Sono riuscito a contenerli, qualche volta, io ed altri volenterosi colleghi, ma ogni volta è stata un’iniziativa personale, a mio rischio, a rischio di essere additato come “razzista squadrista” da qualche benpensante non idiota ma criminale quanto loro e loro complice, perché non si può far finta di non sapere che nei campi rom c’è prostituzione minorile, c’è droga, ci sono depositi di armi. Sempre e dappertutto. E dappertutto hanno denaro a non finire, mandano figli anche minorenni alla guida con suv, appunto, a spacciare in locali notturni, facendo da corrieri.
Eppure, c’è sempre un Vendola della situazione disposto ad abbracciarli, ed un Pisapia disposto a dargli retta, insultando il buon senso e danneggiando, ripeto, tanto i suoi concittadini quanto gli stessi rom. Io reputo responsabili morali di questa morte tanto il sindaco, con la sua malintesa tolleranza, quanto Vendola, con la sua falsità e la sua propensione a sfruttare ogni onda ad effetto pur di fare scalpore e notizia, ma con gli zingari non si scherza, con gli zingari non è un gioco, con gli zingari è morte. Come volevasi, purtroppo, dimostrare.
Ora chiudo, passato il clamore iniziale, ora che è passata la mezzanotte, prendo la mia macchina e, benché claudicante, mi reco sul luogo dove il mio collega è morto, ucciso dall’ipocrisia.
Voglio andare li, e pensare un po’ a questo schifo di mondo che, sempre più, penso che sarà bello lasciare, quando sarò vecchio.
Fa troppo schifo

Di: Giuseppe Landin

lunedì 16 gennaio 2012

Giudici italiani contro l’integrazione

Sta destando scalpore una storia che giunge da Albenga, città ligure in provincia di Savona. Si tratta di adozioni, ma il caso in questione rischia di creare un pericoloso precedente: due bambini, di cinque e tre anni, sono stati assegnati dal Tribunale dei Minori ad una famiglia Musulmana. Questo nonostante siano stati tolti ad un padre sì di religione islamica, ma intenzionato a crescerli ed educarli come cristiani.
Il padre naturale è un artigiano edile, si chiama Khalid, i bimbi li ha avuti da una madre italiana. Ed ora dice:

Dio è uno solo, ma io voglio che i miei figli crescano nella religione del Paese dove sono nati. E voglio che mangino il prosciutto a merenda e l’arrosto di maiale a pranzo, e la bambina non vada in giro con il velo ma faccia i bagni al mare, e il maschietto quando avrà l’età beva ogni tanto una birra con gli amici

Il Tribunale dei minori di Genova per ora è stato di diverso avviso, avendo deciso di assegnare i due bambini ad una famiglia adottiva islamica, con mamma che si è convertita all’Islam da poco.
Lati oscuri anche sulla decisione di togliere la custodia dei figli ai genitori naturali: sulla delibera firmata dal Tribunale dei minori sono citati gli articoli 333 (condotta del genitore pregiudizievole ai figli) e 336 (che indica il procedimento) del codice civile, e si specifica pure che «pur sinceramente affezionato e animato da buone intenzioni, il padre non è in grado neppure di far regolarmente visita ai figli».
Questioni delicate, come tutte quelle che riguardano l’affidamento dei figli, ma Khalid non ci sta e promette battaglia:

Voglio sapere perché si è deciso di affidare due bambini cristiani a una famiglia musulmana. E perché i giudici arrivino ad accusarmi di maltrattamenti o disinteresse pur di riuscire a strapparmeli.

La madre, ex tossicodipendente, è ospite in una comunità di recupero assieme ai due bambini che ora saranno adottati dalla nuova famiglia:

Mia moglie ha fatto qualche sciocchezza di troppo, in passato, e sono stato io stesso ad andare prima dai carabinieri e poi dalle assistenti sociali. L’aspetto, un giorno tornerà a vivere con me. Nel frattempo i miei figli possono rientrare a casa: ho un appartamento, un lavoro onesto e un fratello, sposato con una bambina, che può aiutarmi a seguirli. Sfido chiunque a sostenere che tratto male o trascuro i miei bambini. Mi portino una denuncia, una testimonianza. Soprattutto mi spieghino perché tutta questa determinazione: dal Marocco si sta trasferendo in Italia anche mia madre, che è la loro nonna.

Infine, l’accorato appello di Khalid:

Anche il parroco di San Michele mi ha detto che è un’aberrazione affidare due cristiani a una coppia di genitori musulmani: perché questo non conta niente per i giudici? E perché, se io non lo desidero, i miei ragazzi devono crescere nelle tradizioni e nella cultura del Marocco, e non giocarsi le chances che non ho avuto io

Perché strappare due bambini ad un padre di religione Musulmana che avrebbe voluto educarli all’integrazione e farli diventare cristiani, affidandoli ad una famiglia di religione islamica?

LA DENUNCIA DEL CONSIGLIERE REGIONALE ALBERTO VECCHI CONTRO GLI ASSEGNI SOCIALI AGLI IMMIGRATI OVER 65


Inserito da Riccardo Ghezzi

Dodici milioni e ottocentomila euro spesi nel 2010 dalla sola regione Emilia Romagna per assegni sociali agli stranieri over 65. Un dato clamoroso, denunciato dal consigliere regionale del Pdl Alberto Vecchi, presumibilmente in linea con quello di altre regioni come Veneto e Lombardia. In tutta Italia, si stima che gli assegni sociali agli stranieri over 65 siano costati in media circa 50 milioni di euro all’anno alle disastrate casse dello Stato, dal 2001 ad oggi. Spesso, però, si tratta di vere e proprie pensioni regalate a persone che non hanno mai lavorato in Italia, o peggio vivono ancora nei loro Paesi d’origine a spese dei contribuenti italiani.
E’ lo stesso Alberto Vecchi a spiegare a noi di Qelsi il meccanismo perverso, nato da una legge del “governo tecnico” (corsi e ricorsi storici) Amato e fortunatamente arginato, ma ancora non abbastanza, dall’ultimo governo Berlusconi.
Alberto Vecchi, recentemente Lei si è scagliato contro gli assegni sociali agli stranieri. Ci spieghi meglio la Sua posizione.
La legge che va ad istituire l’assegno sociale è del 1985, e va a intervenire sugli anziani over 65 che per una serie di problemi e motivi arrivano all’età di 65 anni senza un reddito. Qui interviene lo Stato, dando a queste persone un reddito minimo di sopravvivenza di circa 400 euro mensili (più 150 di importo aggiuntivo n.d.r), l’assegno sociale appunto. Poi è arrivato Amato, a capo di un governo tecnico, e mi viene da sorridere pensando alla formula “governo tecnico”, che ricorda tanto i giorni nostri.
Cosa è successo con Amato?
Con la finanziaria del 2001, ossia la legge 388 del 2000 entrata in vigore il 1 gennaio 2001, è stata allargata la possibilità di devolvere l’assegno sociale anche agli stranieri over 65. E, non ho alcun problema a riferirlo perché l’ho detto anche più volte pubblicamente, sono subentrati i nostri sindacati e patronati ad incentivare quella che a conti fatti si è rivelata essere una truffa. In poche parole, consigliavano agli stranieri presenti in territorio italiano, per la maggior parte giovani o comunque under 65, di chiedere i ricongiungimenti famigliari con i loro genitori o parenti anziani, dichiarandoli a loro carico, in modo che questi potessero arrivare in Italia e chiedere l’assegno sociale.
Tutto questo senza controlli?
In pratica sì. In Francia, ad esempio, bisogna dimostrare di essere nullatenenenti. In Italia basta un’autocertificazione. In questo modo si davano assegni sociali a persone appena arrivate, senza alcun controllo per verificare se effettivamente vivessero in Italia. C’è stato ad esempio un boom di albanesi che aprivano un conto in banca co-firmato con i loro figli o parenti più giovani e poi tornavano in Albania. Tutto su consiglio di sindacati e patronati.
Una vera e propria truffa che rischiava di svuotare le casse dell’Inps…
Basti pensare che nella sola Emilia Romagna, in base a dati rilevati il 1 gennaio 2011, i residenti stranieri over 65 sono 10.924, quelli che usufruiscono di assegni sociali 1.944, ossia circa il 18% del totale. Immaginiamo cosa succederebbe se il 18% degli italiani residenti in provincia percepisse un assegno sociale! Per fortuna che il governo Berlusconi in carica dal 2008 è intervenuto immediatamente.
Cosa è cambiato con il governo Berlusconi?
E’ stata modificata la legge Amato, inserendo il requisito di almeno 10 anni di residenza in Italia per poter percepire l’assegno sociale. Questo grazie al comma 10 dell’articolo 20 del decreto legislativo 122 del 2008, poi trasformato in legge 133 dal 2008, in vigore dal 1 gennaio 2009. Ha funzionato, perché ha determinato un trend in discesa: in Emilia Romagna, dal 2008 al 2010, la percentuale degli stranieri che percepiscono un assegno sociale è scesa dal 37% al 22%. Questo solo introducendo la condizione dei dieci anni di residenza, in vigore come detto dal 1 gennaio 2009. Ma a mio parere ancora non basta.
Quali sono le Sue proposte?
Chiedo un ulteriore sforzo, anche se so che è durissima essere accontentati da questo governo e soprattutto dal ministro Riccardi, avendo quest’ultimo già fatto capire a tutti quale sia il suo orientamento. E’ più probabile che questo governo e questo ministro cancellino le nuove disposizioni da noi introdotte, in ogni caso le mie richieste consistono nell’introdurre l’obbligo di prelevare di persona l’assegno sociale e nell’aumentare gli anni di residenza in Italia per poterlo percepire da 10 a 20.
Quali vantaggi porterebbero questi due nuovi provvedimenti?
Innanzitutto, se si introduce l’obbligo di ritirare ogni mese l’assegno sociale di persona, si ha la quasi certezza che chi lo ritira risieda in Italia, e non che torni in Albania o Romania o in altri Paesi dove gli operai guadagnano 180-200 euro al mese. Sarebbe una truffa non soltanto nei confronti delle casse dello Stato italiano, ma anche nei confronti di operai e lavoratori dei Paesi di origine. Aumentando gli anni di residenza da 10 a 20, invece, si parte dal presupposto che se questa persona è residente da 20 anni in Italia, ha lavorato e prodotto qualcosa in Italia almeno per qualche anno. Chi ha lavorato e arriva a 65 anni senza un reddito perché nel frattempo ha avuto dei problemi, merita di ricevere l’assegno sociale: vale per gli italiani e per gli stranieri. Ma se una persona non ha mai lavorato in Italia o peggio non vive in Italia, non c’è alcun motivo che si goda l’assegno sociale italiano nel suo Paese d’origine, dove oltretutto gli stipendi sono meno della metà. Dal 2001 al 2009 abbiamo visto stranieri che dopo due mesi di permanenza in Italia hanno potuto chiedere l’assegno in base ad un’autocertificazione. Non vedo perché chi non è mai stato in Italia debba finire qui la sua vita solo per l’assegno sociale.
In termini di costi, è possibile fare una stima?
Nella sola Emilia Romagna gli assegni sociali agli stranieri sono costati 12.800.000 euro. Stiamo raccogliendo firme per chiedere che venga posto un freno a questo meccanismo, possibilmente introducendo i nuovi provvedimenti da noi proposti e che ho illustrato, e nella sola provincia di Bologna siamo già arrivati ad oltre 3.000 firme in pochi giorni.

sabato 14 gennaio 2012

Scontro nel Carroccio: Bossi cancella Maroni



Il Senatùr vieta i comizi con la presenza dell’ex ministro. Che ribatte: "Mi viene da vomitare, andremo alla conta"
di Adalberto Signore -
Roma - Alla fine è guerra, guerra vera. Umberto Bossi ha rotto gli indugi e ieri sera ha messo alla porta della Lega Roberto Maroni con una lettera inviata alle segreterie provinciali del Carroccio e firmata di suo pugno: «È fatto divieto- si leggeva di organizzare incontri pubblici alla sua presenza ».In pratica è arrivata la resa dei conti dopo il caso Cosentino che ha spaccato il partito e la reazione dell’ex ministro non è tardata ad arrivare, via Facebook: «Non so perché, nessuno me lo ha spiegato, sono stupefatto, mi viene da vomitare: qualcuno vuole cacciarmi dalla Lega ma io non mollo» si leggeva sul suo profilo.
«Andremo alla conta» ha detto subito ai suoi, che proprio via social network hanno scatenato la rappresaglia: centinaia di profili di militanti sono stati modificati con la foto di Maroni, tra i quali quelli di parlamentari e dirigenti (anche Matteo Salvini), che hanno risposto all’immediato «passaparola» in rete. In molti hanno inserito l’immagine usata proprio da «Bobo»: una foto che lo ritrae in piedi mentre appoggia le mani sulle spalle di Umberto Bossi seduto a tavola, scattata prima della malattia del Senatùr. Moltissimi anche i «post» di solidarietà: «Non mollare», «Non fermeranno il cambiamento», «Adesso andiamo a congresso, forza Bobo».
Tutto questo dopo una giornata di tensione: che la reciproca in sofferenza tra gli schieramenti avesse ormai superato i limiti di guardia si era capito nel botta e risposta tra Roberto Maroni e Marco Reguzzoni. Nonostante le indicazioni iniziali di Umberto Bossi fossero piuttosto chiare nel senso di «chiudere almeno pubblicamente la vicenda» (per trovare traccia del caso Cosentino su la Padania di ieri bisognava arrivare fino a pagina 9) i due non erano riusciti proprio ad evitare lo scontro.
Tanto che già nell’accesissima riunione del gruppo parlamentare di giovedì l’exministro dell’Interno non aveva esitato ad usare la parola «dossier». Dopo che Bossi lo aveva accusato di aver malgestito il denaro della Lega quando nella scorsa legislatura era capogruppo alla Camera, Maroni aveva infatti replicato dicendo di sapere che girano «dossier» in questo senso (fatti da Reguzzoni) e di aver già preparato la documentazione per dimostrare la sua trasparenza. Insomma, il cosiddetto «cerchio magico» ha decisamente pigiato il piede sull’acceleratore per arrivare finalmente alla resa dei conti con Maroni. Una guerra da cui negli ultimi tempi si sarebbe chiamato fuori Roberto Calderoli, riavvicinandosi ai fedelissimi del Senatùr.
D’altra parte l’ex ministro dell’Interno paga lo scotto di uno scontro che è senza esclusione di colpi e che al più tardi tra un anno - passerà per le forche caudine delle elezioni politiche. Traducendo: restando questa legge elettorale, di qui a 12 mesi sarà Bossi a decidere le candidature. E il repulisti dei cosiddetti maroniani è già stato più volte minacciato. Anche perché, almeno per il momento, non v’è traccia di eventuali congressi che possano cambiare gli equilibri interni ai vertici di via Bellerio. E Maroni- nonostante i militanti siano sostanzialmente con lui - paga anche lo scotto di un rapporto non buonissimo con i veneti.
Il suo asse con il sindaco di Verona Flavio Tosi, infatti, non piace troppo né ai trevigiani (guidati dal segretario veneto Gianpaolo Gobbo) né ai vicentini (tra cui il capogruppo al Senato Federico Bricolo), mentre il presidente del Veneto Luca Zaia ha sempre preferito tenersi fuori visto che - ripeteva settimane fa - il «mio tempo lo dedico a governare». E quasi tutti i leghisti veneti in qualche modo considerano Maroni responsabile di aver «allargato» la faida della Lombardia al Veneto.
Insomma, dopo una prima avvisaglia («Sono amareggiato e un po’ deluso ma non smetto di lavorare per la Lega che ho contribuito a costruire in oltre 25 anni di attività politica», aveva scritto su Facebook Maroni; «Caro Roberto, chi è causa del suo mal pianga se stesso. Se Cosentino andava messo in galera perché non ce lo hai detto quando eravate tu ministro e lui sottosegretario?», ha replicato Reguzzoni), ecco che in serata la situazione è precipitata.E nella Lega adesso è guerra vera.

venerdì 13 gennaio 2012

Guai a chi tocca le banche centrali!

Scritto da Paolo Danieli

Abbiamo già detto della stranezza che i cittadini italiani sono convinti che la Banca d'Italia sia di proprietà dello Stato mentre in realtà è privata. Precisamente è un ente di diritto pubblico con partecipanti al capitale privati per poco più del 94%.
Il fatto che gli italiani siano convinti di possedere loro la banca centrale non significa che siano degli sprovveduti. Semmai dimostra il contrario e cioè che secondo logica la Banca d'Italia dovrebbe essere dello Stato, se non altro per il suo compito principale di stampare le banconote prima che, con l'avvento dell'euro, esso fosse delegato alla Banca Centrale Europea, a sua volta di proprietà delle banche centrali degli stati dell'Unione Europea, anch'esse private: la Deutsche Bank è la maggior “azionista” col 18,94%; c'è poi la Bank of England col 14,15%, la Banque de France col 14,22%, la Banca d'Italia con il 12,50% e poi tutte le altre con quote minori.
Per la gente comune è comunque una stranezza il fatto che i loro soldi siano stampati a pagamento da dei privati e non in proprio dallo stato. Tanti sono convinti che sia la Zecca di Stato a stampare il denaro. In realtà è vero, ma solo in parte, in quanto essa conia le monete metalliche, ovvero il denaro che costa di più ad essere prodotto e vale di meno come valore nominale. E' infatti di tutta evidenza che coniare una moneta di lega metallica, inciderla davanti e di dietro e magari fare la zigrinatura sul bordo sia un'operazione molto più costosa che stampare della carta filigranata, alla quale, peraltro, viene dato un valore nominale di gran lunga superiore a quello degli spiccioli. Ma, guarda caso, l'operazione più costosa è riservata allo Stato, mentre quella altamente remunerativa al privato.
Ci sono ragioni storiche che hanno portato a questa anomalia. Ma ciò non toglie che essa sia e rimanga un'anomalia, oltre che una causa efficiente del debito pubblico.
Pochi ricorderanno che nel 2005 il governo Berlusconi, con la Legge n.262 “A tutela del risparmio”, art.19, punto 10 aveva stabilito che entro il gennaio 2009 le quote dei privati partecipanti al capitale della Banca d'Italia passassero a enti dello Stato. Era un segno abbastanza chiaro che Tremonti, come ministro firmatario della legge, e Berlusconi, come capo del governo, non avessero scritto a caso quella norma ma perché erano convinti della necessità di riportare sotto il controllo dello stato, e in ultima analisi del popolo sovrano, la Banca centrale.
Ovviamente non se n'è fatto nulla. Quella legge, che in fin dei conti andava a far coincidere con la realtà quello che la gente comune è convinta che sia e non è, e quindi esercitava in concreto la volontà popolare, è rimasta lettera morta. E la Banca d'Italia è rimasta ai privati.
Chissà se quando il Cavaliere diceva che anche se era il capo del governo non riusciva a fare quello che voleva si riferiva a questo o anche a questo.
Sta di fatto che da quel dì sono iniziate le sue sventure, culminate con le dimissioni nel 2011.
Qualcun altro, prima di lui, e ben più importante, aveva pensato di fare qualcosa del genere che, anche se con modalità più vistose e dirette, andava a toccare gli interessi di una banca centrale ben più importante: la Federal Reserve.
Il primo, Abramo Lincoln, nel 1864 inserì nel suo programma per la rielezione alla presidenza degli Usa il punto che lo Stato, e non la Federal Reserve, avrebbe provveduto a stampare i dollari. Il 14 aprile del 1865 fu assassinato.
Il secondo, J.F.Kennedy, il 4 giugno 1963 firmò l'ordine di stampare dollari di Stato per 4 miliardi e mezzo in tagli da 5 e 2 dollari, fece la stessa fine il 22 novembre 1963.
Paolo Danieli

giovedì 12 gennaio 2012

A Treviso la Lega compra autobus cinesi

L'azienda municipalizzata del Comune acquista 13 mezzi made in China. Atalmi: «Carroccio predica bene e razzola male
TREVISO – La bufera sui conti in Tanzania non si è ancora assopita, ed ecco che il Carroccio viene travolto di nuovo, stavolta dal vento dell'est. «L'Actt ha comprato 13 autobus cinesi – rivela il consigliere della Sinistra Trevigiana Nicola Atalmi -. Alla faccia delle tante chiacchiere contro la concorrenza sleale cinese e dei proclami in difesa del lavoro italiano (e padano), la Lega corre a comprare gli autobus cinesi perché costano (e probabilmente valgono) molto meno. E ovviamente niente lavoro per le aziende nostrane».
L’azienda di trasporto pubblico Actt Servizi è municipalizzata del Comune di Treviso, guidato da quasi un ventennio dalla Lega Nord di Gentilini e Gobbo, e leghista è il presidente. Trovandosi nella necessità di rinnovare il proprio parco di autobus, l'azienda ha indetto una gara europea e acquistato 13 autobus cinesi, dell'azienda KingLong. «Dopo lo scandalo della cassa leghista investita nell’Africa nera, la Lega conferma la sua propensione a parlare bene e razzolare male – continua Atalmi -. Ovviamente non si tratta di mezzi moderni e attenti all’ambiente: niente metano né trazione elettrica, ma dei semplici vecchi diesel e per i pezzi di ricambio e la manutenzione dovremo affidarci ai cinesi. In un periodo di crisi come questo è un comportamento vergognoso che dimostra ancora una volta tutte le bugie leghiste».
Silvia Madiotto

martedì 10 gennaio 2012

Il tesoriere ora inguaia Bossi Lega Nord è una polveriera



E' rissa nel partito dopo lo scandalo dei soldi del Carroccio in Tanzania. Salvini: buttano in Africa i soldi che chiedono per le sezioni


La Lega litiga sui soldi. È successo alla segreteria politica di ieri, dove Roberto Maroni ha annunciato a Umberto Bossi di non voler fare il capogruppo a Montecitorio. La mossa dell’ex ministro dell’Interno serve per zittire le malignità sul suo conto, e che continuano a essere riportate al Senatur, secondo cui vorrebbe sostituire Marco Reguzzoni per gestire i quattrini del gruppo e investirli addirittura in un nuovo partito. Voci infondante e che Maroni smentisce seccamente. «Non me ne frega nulla dei soldi» ha sbottato di fronte agli altri colonnelli e al leader, radunati in via Bellerio.
Per capire la tensione nel Carroccio bisogna tornare a domenica, quando un’accurata inchiesta de Il Secolo XIX ha dimostrato che quasi otto milioni di euro hanno lasciato i conti genovesi dei lumbard per essere investiti in Tanzania, Cipro e Norvegia. Regista dell’operazione è stato il tesoriere del movimento, Francesco Belsito, che s’è messo in moto tra il 23 e il 30 dicembre scorso. La fetta più grossa (4,5 milioni) è stata destinata in un fondo nel paese africano, mentre circa un milione a testa è finito in un fondo a Cipro e in corone norvegesi. A questi quattrini vanno aggiunti 700mila euro trasferiti ad altri conti del partito, 450mila euro emessi in assegni circolari e 50mila euro ritirati in contanti direttamente da Belsito. La notizia, confermata dal tesoriere e scritta da Giovanni Mari, ha fatto sobbalzare sulla sedia i leghisti. Anche perché alcuni dirigenti di primo piano, compresi Maroni e Roberto Calderoli, non ne sapevano nulla. Idem Roberto Castelli, che pure è uno degli amministratori del partito insieme a Belsito e al parlamentare Piergiorgio Stiffoni. Ieri pomeriggio l’ex Guardasigilli ha fatto presente la cosa a Bossi e allo stesso Belsito. In mattinata era stato Matteo Salvini ad alzare la voce: «Ci sono diverse sezioni che chiedono 100 euro ai militanti per pagare l’affitto a fine mese. La Padania, il nostro quotidiano, versa in difficoltà economiche che tutti conoscono. E poi leggiamo della Tanzania... Spero, per rispetto dei militanti, che ci sarà una spiegazione per ogni quattrino speso». Frasi che hanno fatto inferocire Belsito e - più in generale - i colonnelli del cerchio magico, ovvero i dirigenti vicini alla famiglia del Senatur. E di cui fa parte proprio il tesoriere. Fatto sta che nel pomeriggio, in via Bellerio, era convocata la segreteria politica. All’ordine del giorno, al primo punto, c’era la manifestazione del 22 gennaio a Milano e la scelta sull’arresto di Nicola Cosentino (i padani hanno poi deciso voteranno sì). Ma ovviamente i riflettori si sono accesi sui soldi. Belsito ha giurato che è tutto in regola, e che il fondo che ha sede in Tanzania prevede investimenti fuori dal paese africano.

Giustificazioni che non hanno convinto parecchi dei presenti. Tanto che Maroni ha chiesto espressamente di approvare il bilancio preventivo per il 2012 entro la fine di gennaio, così come disposto dai regolamenti interni. Obiettivo: scandagliare a fondo tutti i movimenti di denaro. A dare il via libera dovrà essere il consiglio federale, massimo organo decisionale della Lega. E che dovrà essere convocato da Bossi in persona. Il quale, a dire la verità, non è sembrato particolarmente scosso dagli investimenti del suo tesoriere. È a quel punto che Maroni ha preso parola, guardando Umberto negli occhi: «C’è chi mette in giro la voce che vorrei fondare un nuovo partito, e che vorrei fare il capogruppo per usarne i soldi. Io mi vanto di non avere nessuno scheletro nell’armadio. A questo punto ritiro la mia candidatura a capogruppo e mi tengo le mani libere». Bobo ha anche dettato parole di fuoco all’indirizzo del presidente dei senatori Federico Bricolo, spiegando che le malignità sul suo conto vengono fatte girare proprio da Palazzo Madama .
Singolare che, mentre i vertici leghisti discutevano dei milioni investiti all’estero, pochi metri più in là - nella redazione de la Padania - il cdr chiedeva lumi per capire il futuro del giornale. Prossimamente diminuirà la foliazione (diventando a 16 pagine anziché 20) e avrà anche un’edizione su internet. Il tutto per ridurre i costi, visti i problemi di bilancio. Peraltro, i nemici interni dell’ex responsabile del Viminale hanno insinuato che l’inchiesta de Il Secolo XIX sarebbe stata inspirata proprio da lui. Mentre il quotidiano on-line L’indipendenza, diretto dall’ex timoniere de la Padania Gianluca Marchi, dà un’interpretazione diversa. E scrive: «Visto che dietro l’operazione Tanzania si intravvedono le tracce di Aldo Brancher (uomo pdl da sempre di collegamento fra Berlusconi e Bossi) e di tal Stefano Bonnet, imprenditore veneto legato all’ex ministro dei 18 giorni, non è che alle loro spalle vi possa essere lo zampino del Cavaliere?». Il tutto - sostiene Marchi - per ricordare al Carroccio che la libertà di manovra ha un limite e che il legame con Berlusconi è indissolubile. Veleni e sospetti a cui s’aggiunge un altro dettaglio, scritto dalle agenzie, secondo cui Bossi avrebbe reagito così alle parole di Maroni: «Tanto il capogruppo non te l’avrei mai fatto fare...».

di Matteo Pandini

domenica 8 gennaio 2012

La Polonia dice no all'euro: segnale d'allarme per l'Ue



Varsavia vuole ritardare l'ingresso nella moneta unica per evitare il contagio dell'Eurozona

“Entrare nell’euro? Per il momento no, grazie”. Per non essere contagiata dai problemi dell’Eurozona, la Polonia sta pensando di rimandare a data da destinarsi l’ingresso nella moneta unica. Lo si è appreso da alcune fonti governative polacche. Per la tenuta dell’euro non è da considerare un allarme in sè. La notizia del dietrofront di Varsavia, anche se soltanto temporaneo, è un segnale che invece dovrebbe far preoccupare i governi dei Paesi europei in cui è adottato l’euro, perché è indirettamente un atto di accusa verso la politica monetaria e fiscale dell’Uem(Unione economica e monetaria).

Osservando le caratteristiche della Polonia, si può capire meglio perché la frenata polacca andrebbe letta come un serio campanello d’allarme per Ue e Bce. A livello congiunturale, innanzitutto, l’economia della Polonia viaggia a ritmi ben più elevati rispetto a quelli degli altri Paesi dell’Ue. Nel 2008, l’anno del fallimento di Lehman Brothers, il Pil era cresciuto del 5,1% e nel 2009, mentre il resto dell’Unione cadeva in recessione registrando una crescita negativa del Pil (-4,1% di media nei Paesi dell’Eurozona), Varsavia era riuscita a tenere botta e a crescere dell’1,7% nonostante una serie di attacchi speculativi alla sua valuta, lo zloty. In base alle stime della Commissione europea, di recente riviste al ribasso, la crescita del Pil polacco, anche se a ritmi meno sostenuti che in passato, registrerà performance più positive che nel resto dell’area euro: +4% nel 2011, flessione nel 2012 (+2,5%) e risalita nel 2013 (+2,8%).

Dal punto di vista strutturale, invece, la Polonia si segnala per una brillante gestione della politica monetaria e fiscale e per unruolo forte della banca centrale, che nel tempo ha costruito una notevole indipendenza dagli esecutivi in carica. Nel 2007, per esempio, il tasso di autonomiadella Banca centrale polacca in base ai criteri internazionali Gmt era del 92%, pari a quello della Bce, e ben superiore a quello della Bank of England, 65%, e della Fed, 78%, nello stesso anno.

La Banca centrale polacca si dimostra anche indipendente dalle banche perché priva di compiti di vigilanza: la supervisione finanziaria è infatti affidata a un’autorità indipendente unica, la Polish Financial Supervision Authority. Questo tipo di assetto basato sull’indipendenza e sullaspecializzazione ha consentito ai banchieri centrali polacchi di concentrarsi unicamente sullastabilità monetaria, tenendo sotto controllo l’inflazione (nel 2000 il tasso d’inflazione era a due cifre, nel 2007 era all’1,4%; il dato mensile di ottobre 2010, dopo un periodo di nuove tensioni, era del 2,6% a fronte di un 2% medio nell’Eurozona) e calmierando lo zloty, come avvenuto di recente, al fine di non far impennare il debito pubblico (nel 2011 il rapporto tra debito e Pil era al 54%) e mantenere la competività della moneta nelle esportazioni.

La Banca centrale ha agevolato, pertanto, anche la gestione della politica economica, permettendo al governo di mantenere i conti in ordine durante la crisi (il deficit sul Pil, per esempio, era del 3%). E la buona salute del bilancio dello Stato, a sua volta, ha dato la possibilità di fare una politica fiscale espansiva (accompagnata, negli anni scorsi, anche da una politica monetaria espansiva) che ha stimolato la domanda e fatto deprezzare la moneta locale, senza generare, come detto, un livello di inflazione insostenibile.

Disciplina fiscale, disciplina monetaria e vigilanza finanziaria affidata a un unico organo indipendente. E’ per questi tre motivi che la Polonia, pur desiderando da anni di entrare nell’area euro, in questo periodo rinuncia a fare il suo ingresso nel club della moneta unica. Se entrasse ora nell’Unione economica e monetaria troverebbe solo una di queste tre caratteristiche: la disciplina monetaria. Per il resto, la disciplina fiscale è ancora un traguardo lontano nonostante gli ultimi accordi presi dai leader dei Paesi Ue ad eccezione dell’Inghilterra: gli Stati europei sono pronti solo in parte a cedere sovranità in questo ambito e quelli più solidi economicamente – Germania in primis – non sono disposti ad accollarsi i debiti di altri attraverso strumenti come gli Eurobond. L’ultimo pilastro che rende l’economia polacca più fiorente rispetto a quelle europee, la vigilanza finanziaria consolidata, è altrettanto assente nell’Ue perché il meccanismo di supervisione si limita a un sistema di cooperazione con poteri decentrati che prevede tre organismi federali(rispettivamente per banche, mercati mobiliari e assicurazione) e lascia alle autorità nazionali i compiti di sorveglianza e gestione delle crisi.

Le autorità polacche, inoltre, si lamentano anche di alcune lacune dei trattati Ue: il Trattato di Lisbona non prevede nessun meccanismo che permette una fuoriuscita rapida dall’euro. Come a dire, nell’euro possiamo anche entrarci ma a patto che non sia una scelta irreversibile. Così, pur con l’intenzione di contribuire con un prestito al Fondo monetario internazionale per sostenere il fondo di salvataggio per l’Eurozona, la Polonia si mostra molto cauta prima di aderire all’euro. In queste condizioni, fare un passo così importante potrebbe essere, come minimo,controproducente. I governi dei paesi Euro facciano attenzione.

venerdì 6 gennaio 2012

Il decreto UE impone all'Italia l'abolizione dei nostri Carabinieri



Se prima gli italiani erano succubi unicamente del volere degli Usa, con la nascita dell'Unione Europea si sono vincolati anche alla stoltezza dei suoi decreti.



di Emanuele Stalla

L'Europa pare una bestia profana, e pare nemica del Paese. Sembra annientare la cultura di ogni Nazione riducendola in brandelli. Oltraggia la bellezza della differenziazione culturale, appiattisce il tutto ad un unico valore comune: quello del soldo. Il piattume della finanza e dell'economia ha preso il sopravvento su chi ci comandava, e ora ci comanda.

Il primo Paese ad essere uniformato agli standard sarà il nostro, sfregiato dalla sventatezza del nascituro decreto eurocratico - "I Paesi che non aboliranno la loro Polizia militare andranno incontro a gravi sanzioni europee" - questo il succo. Si è scelto di colpire ciò che pareva inattaccabile, si è scelto di abolire i Carabinieri. Stavolta non è una bufala, ma avvilente verità.


I Carabinieri Reali nacquero nel 1814, addirittura prima dell'Italia, quando l'Europa non era manco un feto. Si diffuse poi tra il popolo il ribrezzo per la prima tanto acclamata monarchia, e i re furono cacciati - o almeno questa è la versione ufficiale, al netto dei presunti brogli referendari. - Eppure i moschettieri a cavallo e col pennacchio resistettero. Si riadattarono in buon ordine alla "sobria" repubblica. Con nobile umiltà, e un pò di nostalgia per il papà monarca, giurarono egualmente fedeltà. Giurarono fedeli al neo Capo dello Stato.

L'Arma è un pezzo di storia, una fabbrica di angeli e di eroi. E' l'ultimo orgoglio che la disgustosa vuotezza dell'Europa ci strappa per sempre.
L'Italia è uno sfacelo, Pompei è distrutta, e la Benemerita stuprata.

Grazie all'UE abbiamo l'euro, e grazie all'euro siamo in guerra con il dollaro. Dall'UE che niente ne capisce, subiremo ora l'irreparabile sopruso. I gendarmi vengono aboliti, e tutto ciò avverrà nel più completo silenzio e senza la minima protesta, perché i militari obbediscono e basta. Non conoscono scioperi, ne sindacati, solo gerarchie. Si auto-annientano in nobile silenzio, più che mai coraggiosi. Sono forti, e capaci anche di questo. Il residuo dell'organico rapinato delle stellette, verrà accorpato alla polizia civile. Che bellezza Europa. Grazie... e vergogna.

Carabiniere! Fino a questi tempi, dove certi squilibrati ai vertici regnano sull'Europa, sugli Usa, e sul mondo, tu sei stato nei secoli fedele. Ma oggi non siamo più degni della tua missione, neanche per un secondo.

martedì 3 gennaio 2012

Casta, schiaffo ai tecnici: salvati gli stipendi d'oro

Bechis: dopo sei mesi la Commissione che doveva alleggerire la busta paga dei parlamentari si arrende, troppo delicato


Gli stipendi della Casta sono salvi. La commissione guidata dal presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, che entro il 31 dicembre 2011 avrebbe dovuto stabilire se e come tagliare i trattamenti economici di deputati, senatori, politici degli enti locali, giudici, dirigenti e boiardi di Stato, ha gettato la spugna. Tutto messo nero su bianco in un documento pubblicato ieri: «Tenendo conto della estrema delicatezza del compito, nonché delle attese dell’opinione pubblica sui suoi risultati, la Commissione non è in condizione di effettuare il calcolo di nessuno delle medie di riferimento con l’accuratezza richiesta». Tradotto in pratica: mentre tutti gli italiani stanno versando sangue per la Patria bersagliati da nuove tasse, i Dracula che glielo stanno portando via hanno salvato vene e portafogli.

La commissione Giovannini doveva confrontare gli stipendi dei politici italiani con quelli dei sei principali paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio e Austria), e segnalare - tenendo conto della grandezza del Pil di ciascuno - se e di quanto indennità e benefit dovevano essere sforbiciati. Il compito era stato dato a luglio da Giulio Tremonti, e alla fine di quel mese la commissione si è insediata. Oltre a Giovannini ne fanno parte un rappresentante di Eurostat, Roberto Barcellan; un esperto di diritto costituzionale come l’avvocato Alfonso Celotto ordinario a Roma Tre; un esperto di diritto amministrativo come l’avvocato Alberto Zito, ordinario dell’Università di Teramo; uno statistico come il professore Ugo Trivellato, emerito di Statistica economica all’Università di Padova e un economista come il professor Giovanni Valotti, ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche alla Bocconi.
I magnifici sei avevano un compito principale banale: confrontare le indennità dei parlamentari italiani, i benefit a loro disposizione, il trattamento di fine rapporto e quello previdenziale con quello degli altri sei parlamenti europei. Libero lo ha fatto impiegando fra ricerca e composizione delle tabelle sei ore: i dati sono pubblicati on line in tutti i paesi. I professori in sei mesi hanno fatto un buco nell’acqua. E adesso chiedono altri tre mesi di tempo per vedere di mettere a posto i dati che confusamente sono appiccicati qua e là nelle 38 pagine di documento rilasciato ieri con la data del 31 dicembre. Invece di consultare Internet i commissari hanno scelto vie complicatissime. Hanno coinvolto gli esperti della presidenza del Consiglio dei ministri, e poi scaricato sulla rete di ambasciate italiane dei sei paesi l’onere della raccolta informazioni. A quattro mesi dall’inizio dei lavori hanno provato subito a gettare la spugna, comunicando al nuovo premier Mario Monti che non sarebbero riusciti a compiere il lavoro entro la data prevista del 31 dicembre. Monti non ha voluto sentire scuse, e, anzi, ha ribadito quella data nel decreto salva-Italia, facendo arrabbiare deputati e senatori e prendendosi pure una tirata di orecchie dal presidente della Camera, Gianfranco Fini.
Il premier ha abbozzato, ma la norma è restata in decreto, chiedendo di avere quel confronto entro il 31 dicembre almeno per deputati e senatori (la cosa più semplice) con la possibilità di limare i dati per tutte le categorie entro il 31 marzo 2012. I professoroni, riluttanti, si sono messi a ideare complicate formule matematiche e piccole equazioni per ponderare emolumenti, pil e potere di acquisto dei parlamentari di ciascun paese. Alla fine un minimo di tabella è venuto fuori, intimando alla stampa di non pubblicarla se non integrata delle paginate di avvertenze del documento. Cosa impossibile. Ma si può andare al sodo: l’indennità lorda dei deputati italiani (11.283,3 euro al mese) è la più alta dei sette paesi Ue. Le altre vanno da un minimo di 2.813,9 euro in Spagna a un massimo di 8.503,9 euro nei Paesi Bassi. La diaria di 3.503,1 euro di cui godono gli italiani è concessa solo in Germania (dove ammonta a 3.984,4 euro, ma lì il Pil è molto più alto). Le spese per i collaboratori solo in Italia finiscono nelle tasche del parlamentare (3.690 euro al mese), negli altri paesi provvedono i parlamenti entro certi tetti di spesa. Anche sui benefit sono gli italiani ad avere quelli più alti e generosi. La vera differenza che salta all’occhio è nella cifra che finisce direttamente in tasca (stipendio lordo più benefit esentasse) ai parlamentari.
Gli italiani ricevono 20.108 euro lordi mensili; i francesi 13.930,23 euro; i tedeschi 12.652,4 euro; i belgi 9.266 euro; gli olandesi 8.735,2 euro; gli austriaci 8.649,1 euro e gli spagnoli 4.637,2 euro. Bastano questi dati per sapere cosa fare: fine dei rimborsi a forfait, taglio alle indennità base, tetti di spesa dietro presentazione di ricevuta compatibili con quelli medi degli altri paesi. Quanto ai vitalizi, l’Italia è il paese di Bengodi: nessun altro li ha paragonabili né per struttura né per importo economico. In tre paesi non esistono. In Spagna è solo una pensione integrativa che scatta dopo 11 anni di mandato. In Germania copre giustamente i periodi di mancato versamento avendo interrotto la vita professionale (non esistono contributi figurativi come in Italia). In Francia esiste, ma è uin quarto di quello italiano. Ma con il gran pasticcio della commissione-verità che ha gettato la spugna, semplicemente non si farà nulla: la Casta ancora una volta ha salvato la pelle.
di Franco Bechis