venerdì 13 gennaio 2012

Guai a chi tocca le banche centrali!

Scritto da Paolo Danieli

Abbiamo già detto della stranezza che i cittadini italiani sono convinti che la Banca d'Italia sia di proprietà dello Stato mentre in realtà è privata. Precisamente è un ente di diritto pubblico con partecipanti al capitale privati per poco più del 94%.
Il fatto che gli italiani siano convinti di possedere loro la banca centrale non significa che siano degli sprovveduti. Semmai dimostra il contrario e cioè che secondo logica la Banca d'Italia dovrebbe essere dello Stato, se non altro per il suo compito principale di stampare le banconote prima che, con l'avvento dell'euro, esso fosse delegato alla Banca Centrale Europea, a sua volta di proprietà delle banche centrali degli stati dell'Unione Europea, anch'esse private: la Deutsche Bank è la maggior “azionista” col 18,94%; c'è poi la Bank of England col 14,15%, la Banque de France col 14,22%, la Banca d'Italia con il 12,50% e poi tutte le altre con quote minori.
Per la gente comune è comunque una stranezza il fatto che i loro soldi siano stampati a pagamento da dei privati e non in proprio dallo stato. Tanti sono convinti che sia la Zecca di Stato a stampare il denaro. In realtà è vero, ma solo in parte, in quanto essa conia le monete metalliche, ovvero il denaro che costa di più ad essere prodotto e vale di meno come valore nominale. E' infatti di tutta evidenza che coniare una moneta di lega metallica, inciderla davanti e di dietro e magari fare la zigrinatura sul bordo sia un'operazione molto più costosa che stampare della carta filigranata, alla quale, peraltro, viene dato un valore nominale di gran lunga superiore a quello degli spiccioli. Ma, guarda caso, l'operazione più costosa è riservata allo Stato, mentre quella altamente remunerativa al privato.
Ci sono ragioni storiche che hanno portato a questa anomalia. Ma ciò non toglie che essa sia e rimanga un'anomalia, oltre che una causa efficiente del debito pubblico.
Pochi ricorderanno che nel 2005 il governo Berlusconi, con la Legge n.262 “A tutela del risparmio”, art.19, punto 10 aveva stabilito che entro il gennaio 2009 le quote dei privati partecipanti al capitale della Banca d'Italia passassero a enti dello Stato. Era un segno abbastanza chiaro che Tremonti, come ministro firmatario della legge, e Berlusconi, come capo del governo, non avessero scritto a caso quella norma ma perché erano convinti della necessità di riportare sotto il controllo dello stato, e in ultima analisi del popolo sovrano, la Banca centrale.
Ovviamente non se n'è fatto nulla. Quella legge, che in fin dei conti andava a far coincidere con la realtà quello che la gente comune è convinta che sia e non è, e quindi esercitava in concreto la volontà popolare, è rimasta lettera morta. E la Banca d'Italia è rimasta ai privati.
Chissà se quando il Cavaliere diceva che anche se era il capo del governo non riusciva a fare quello che voleva si riferiva a questo o anche a questo.
Sta di fatto che da quel dì sono iniziate le sue sventure, culminate con le dimissioni nel 2011.
Qualcun altro, prima di lui, e ben più importante, aveva pensato di fare qualcosa del genere che, anche se con modalità più vistose e dirette, andava a toccare gli interessi di una banca centrale ben più importante: la Federal Reserve.
Il primo, Abramo Lincoln, nel 1864 inserì nel suo programma per la rielezione alla presidenza degli Usa il punto che lo Stato, e non la Federal Reserve, avrebbe provveduto a stampare i dollari. Il 14 aprile del 1865 fu assassinato.
Il secondo, J.F.Kennedy, il 4 giugno 1963 firmò l'ordine di stampare dollari di Stato per 4 miliardi e mezzo in tagli da 5 e 2 dollari, fece la stessa fine il 22 novembre 1963.
Paolo Danieli

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