venerdì 30 settembre 2011

Alla fine per stanchezza arriverà Casini



di Marcello Veneziani

Dopo Berlusconi Prevedo Casi­ni. Mi azzardo a fare una previ­sione, anzi una profezia. Nella sfera di vetro ho visto il faccino di Pierferdy. Dopo il diluvio verrà la pioggerellina. Quando si tira troppo la corda alla fi­ne si spezza, non scappa il morto ma scappano spaventati i presenti. Si ac­cendono le luci in sala e arriva l'inter­vallo con i pop corn. Casini è la Tregua tra due film. Casini delude tutti ma in modo tenue ed equilibrato. Casini non entusiasma nessuno ma non di­spiace a nessuno. Casini rassicura, non suscita gli amori e gli odii di Berlu­sca e degli anti, ed è pure munito dei conforti religiosi. Alla fine verrà Casi­ni perché le guerre civili cercano poi la pace domestica.

Perché disfatte le case della libertà, si torna ai palazzina­ri e ai loro congiunti. Perché prima o poi tornano le mezze stagioni. Perché da noi, anche nella scienza, trionfano i neutrini. Perché dopo le erezioni vie­ne la mosceria. Perché quando ci vo­gliamo divagare dopo una giornata in­tensa, andiamo in centro. Perché quando vogliamo addormentarci prendiamo il bromuro democristia­no. Casini è l'ultimo prodotto dell'an­tica farmacia del Corso, è la camomil­­la parrocchiale. Magari non dice gran­ché, non eccelle, non ha mai governa­to, ma ci fa riposare. L'Italia è il paese dell'acqua né liscia né gasata ma lieve­mente frizzante; l'Italia cerca sempre una via di mezzo e tra Roma e Milano, alla fine ci si incontra a mezza strada, cioè a Bologna. Infine perché Casini è il peluche che ci lasciò mamma dc quando morì, per farci compagnia la notte al buio.

mercoledì 28 settembre 2011

Per risolvere presto la crisi greca ci vorrebbe una Margaret Thatcher



La Grecia, essendo nell’Eurozona non può svalutare la sua moneta. Ma se è vero che uscendo da essa, potrebbe risolvere gran parte di suoi problemi grazie a una svalutazione, è anche vero che questa avrebbe efficacia solo se si risolvesse nel taglio dei salari reali dell’economia e degli stipendi dei pubblici dipendenti. Quindi si tratta di adottare queste misure, senza la finzione della svalutazione. Certo, tutto sarebbe più facile se al posto del premier Papandreou ci fosse una signora Thatcher.


Il prestito biennale alla Grecia da parte degli stati membri dell’Unione europea di 30 miliardi di euro, al tasso del 5 per cento, sopra il livello del mercato di breve termine dell’euro, di un po’ più di 3 punti, cui si aggiungono verosimilmente 15 miliardi di euro del Fondo Monetario Internazionale probabilmente a un tasso un po’ inferiore, ha generato una riduzione immediata del costo per il finanziamento del debito pubblico della Grecia. Che per i titoli decennali aveva superato il 7,5 per cento e per quelli biennali era sopra il 6 per cento e ha ridotto sensibilmente il costo dell’assicurazione dal fallimento del debito greco.

Non è detto che la situazione si rassereni interamente, anzi è probabile il contrario. E molto dipenderà sia dalla capacità della Grecia di attuare un piano di stabilizzazione della sua finanza pubblica assieme a un riordino della sua politica economica e del mercato del lavoro, rivolti a dare flessibilità all’economia, sia dalla dinamica complessiva dell’area euro. Infatti se l’economia dell’Eurozona riprenderà vigore abbastanza presto, la questione del debito greco passerà in seconda linea e non si aprirà il dossier del debito portoghese.

Diversamente, le cose si potranno complicare di nuovo. Se la Germania o l’Unione europea adottassero un programma di investimenti pubblici capace di rianimare la domanda interna del mercato unico, il problema greco si risolverebbe molto meglio che mediante il mero ricorso della Grecia a un piano di austerità con flessibilità e manodopera a buon mercato, orientato al rilancio della sua economia mediante l’afflusso di capitali esteri e la crescita. In altre parole, la Grecia, essendo nell’Eurozona non può svalutare la sua moneta. Ma se è vero che uscendo da essa, la Grecia potrebbe risolvere gran parte di suoi problemi grazie a una svalutazione, è anche vero che questa avrebbe efficacia solo se si risolvesse nel taglio dei salari reali dell’economia e degli stipendi dei pubblici dipendenti. Quindi per la Grecia si tratta di adottare queste misure, senza la finzione della svalutazione. Certo, tutto sarebbe più facile se al posto del premier Papandreou ci fosse una signora Thatcher.

Qualcuno si chiede se le cose andrebbero diversamente, qualora esistesse una finanza pubblica della federazione europea. La risposta è che, ovviamente, se la Federazione sovvenzionasse la Grecia, il problema si risolverebbe. Ma per sovvenzionare la Grecia non c’è bisogno di dare vita al Leviatano fiscale di un nuovo livello di governo, lo potrebbero fare gli stati membri mediante un intervento coordinato.

Ciò che è di ostacolo a questa soluzione non è la mancanza di una finanza federale, ma il divieto al soccorso alle finanze pubbliche e parapubbliche di uno stato in difficoltà da parte della Commissione europea o degli stati membri dell’Unione, stabilito dal Trattato di Maastricht. In effetti l’articolo 104B, stabilisce che “la Commissione europea non risponde, né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali, dagli enti regionali e locali o da altri enti pubblici, da altrui organismi di diritto pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi stato membro, fatte salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto economico specifico”. E dopo aver posto questi veto alla Commissione europea aggiunge “Gli stati membri non sono responsabili né subentreranno agli impegni dell’amministrazione statale, degli enti regionali e locali o degli altri enti pubblici, di altri organismi di diritto pubblico o di imprese pubbliche, fatte salve le garanzie finanziarie specifiche”.

Il ricorso alla Corte di giustizia però non appare fondato, in quanto se è vero che il prestito alla Grecia viene fatto a condizioni inferiori a quelle che prevalevano sul mercato, al momento in cui è stato annunciato, è però vero che esso viene subordinato a condizioni che l’Unione europea pretende in base agli attuali poteri della Commissione europea sugli stati membri che si trovano nelle condizioni nell’articolo 104 C del Trattato, riguardante i “disavanzi pubblici eccessivi”, cioè quelli eccedenti il deficit del 3 per cento.

Le misure previste dall’articolo in questione arrivano sino alla richiesta di “un deposito infruttifero di importo adeguato presso la Comunità siano a quando il disavanzo eccessivo non sia stato corretto” e alla inflazione di “ammende di entità adeguata”. Il testo è chiaro. Si potrebbe fare un Fondo Monetario europeo basato sul principio dell’aiuto reciproco in caso di difficoltà, con le modalità che spiegherò meglio pià avanti, ma non si posso dare sovvenzioni agli stati in difficoltà per risolvere i problemi dei loro debiti e deficit eccessivi. Ciò che ora sta cominciando, è un esperimento di tipo nuovo, quello di un'unione monetaria fra stati membri di un mercato unico, che debbono operare senza questa rete di sicurezza e che, per giunta, hanno scarsi poteri di controllo sui comportamenti scorretti degli stati membri, con riguardo alle regolale di bilancio stabilite dal Trattato.

E alle prime battute appare evidente che l’esperimento funziona, peraltro con difficoltà a cui bisognerà porre rimedio escogitando nuove soluzioni, all’interno delle regole del Trattato. Secondo gli economisti, presuntamente liberali, ma cripto statalisti (che vanno per la maggiore), per gestire una Unione Monetaria in cui uno degli stati membri si trovi in difficoltà, con riguardo al suo debito pubblico, ci vorrebbe un governo federale. Ma, ripeto, ciò che manca non è il governo federale centrale, sono gli strumenti di collaborazione efficace fra stati membri. Sarebbe stato preferibile che esistesse già un Fondo Monetario Europeo che fosse in grado di effettuare questo tipo di interventi, dotato di proprie risorse finanziarie e di poteri propri, sulla base di procedure precostituite, analoghe a quelle del Fondo Monetario Internazionale.

Le difficoltà che si presenteranno nell'attuazione dello schema attuale, dimostreranno che è necessario pensare a tale Fondo. Ma tali difficoltà mostreranno che è ancor più necessario rivedere il funzionamento del patto di stabilità e crescita per prevenire situazioni come quella greca, dotando la Commissione di strumenti più incisivi di controllo e considerando non solo i parametri che emergono nella finanza pubblica, ma anche quelli che riguardano il rapporto fra la finanza pubblica, la macro economia e la bilancia dei pagamenti. Ciò per poter stabilire misure preventive più stringenti di quelle sin qui adottate, in relazione agli squilibri strutturali che emergono nella finanza pubblica dei singoli stati membri e che, in realtà, nascono dall’economia nel suo complesso, con particolare riguardo al mercato del lavoro, che genera una situazione di costi non competitivi e una disoccupazione anomala.

Prima della crisi internazionale scoppiata alla fine del 2007, in Grecia vi era un tasso di disoccupazione medio annuo del 10%, con un tasso di crescita del Pil superiore al 4% alimentati da un deficit di bilancia dei pagamenti correnti del 10% del Pil. Chiaramente, i salari erano troppo alti e c’era assieme mancanza di pieno impiego ed eccesso di domanda globale! Una situazione che a un economista keynesiano sembra inconcepibile e che dipende dal fatto che dato il cambio fisso, la variabile flessibile per il pieno impiego deve essere deve essere il salario, mentre per l’equilibrio della bilancia dei pagamenti occorre tagliare la domanda globale con una politica di bilancio tendente al quasi pareggio.

Alla sua crisi debitoria la Grecia è arrivata, invece, con un comportamento di politica fiscale e di bilancio spensierato, che fa capire come i controlli di Bruxelles sul suo comportamento siano stati inspiegabilmente omissivi. Già all’inizio del 2009 la situazione finanziaria della Grecia, ingolfata di debiti con l’estero, era molto precaria. Ma il governo uscente di centro destra di Nuova Democrazia, guidato da Costas Karamanlis, che ha lasciato il posto alla coalizione di sinistra guidata da Papandreu, durante la campagna elettorale del settembre 2009 non aveva rappresentato la drammaticità della situazione in cui la Grecia si trovava, a causa del rovesciamento del quadro finanziario internazionale che, d'improvviso, aveva determinato un'inversione dal flusso internazionale del credito da un regime di eccesso dell’offerta sulla domanda a uno di eccesso della domanda sull’offerta. E dal canto suo lo sfidante Georges Papandreu (figlio di Andreas e nipote di Georges, entrambi già presidenti del consiglio), alla guida di un governo del Pasok, il partito socialista greco, aveva promesso di risanare il Paese senza nessun ulteriore sacrificio da parte dei più deboli e della classe media. Il leader socialista aveva assicurato di voler rilanciare i consumi, l’economia e uno sviluppo verde, con un piano di spesa di 3 miliardi di euro pur riuscendo a proteggere salari e pensioni. Aveva anche promesso di finanziare il piano con una ridistribuzione fiscale e con una riduzione delle spese dello Stato.

Considerando che il Pil greco è di 230 miliardi di euro, i 3 miliardi di piano di rilancio di Papandreu erano lo 1,3 per cento del Pil . E tenendo presente che la Grecia aveva avuto negli anni precedenti un tasso di crescita medio del il del 4,5%, ma anche un tasso di inflazione del 4,2% nel 2008, con un deficit della bilancia dei pagamenti del 10% del Pil, e un deficit ufficiale di bilancio del 7.7% per il 2009, il programma di Papandreu era non solo demagogico, ma anche assurdamente irresponsabile.

E ciò anche a prescindere dal fatto che egli forse ignorava, che i conti pubblici greci erano truccati e che il vero deficit nel consuntivo annuale andava verso il 12,9 per cento. Fortunatamente, i numeri assoluti della crisi greca non sono gravi per l’Eurozona nel suo complesso, data la modesta dimensione della Grecia, per numero di abitanti e per Prodotto Interno Lordo: si tratta solo di 11 milioni di persone, a fronte dei 320 dell’Eurozona, ossia del 3,4 per cento. E nell’Eurozona c’è un complesso di stati membri, di circa 250 milioni di abitanti per i quali non si presenta un rischio per il debito pubblico, se continuano a tenere il comportamento prudente tenuto sino ad ora.

La Germania ha 83 milioni di abitanti, la Francia che con territori annessi ne ha 65, l’Italia che ne ha 60, Belgio, Olanda ed Austria ne hanno complessivamente 33. La percentuale della Grecia sul Pil dell’Eurozona è considerevolmente minore del 3,4% in quanto il Pil pro capite greco pre crisi di 28 mila dollari annui è molto minore di quello medio dell’Eurozona. Il Pil pro capite tedesco è di 40 mila, quello francese di 42, quello italiano di 35,5 , quello di Belgio, Olanda e Austria mediamente a 44. La media degli stati dell’Eurozona senza problemi di debito è sui 40 mila dollari e il Pil pro capite dell’Eurozona è di 38 mila dollari. Il Pil totale dell’Eurozona è di 12 .200 miliardi di dollari - la Grecia ha un Pil globale di 300 miliardi di dollari, cioè il 2,5% del Pil dell’Eurozona. Poiché il Pil greco in euro è di 230 miliardi e il suo debito pubblico è il 120 % del suo Pil, tale debito è attorno ai 275 miliardi di euro. La rete di sicurezza di 45 miliardi provvede al 16% di questo totale.

Con un debito decennale di 275 miliardi, ogni anno si debbono rinnovare mediamente 27 miliardi di titoli del debito pubblico. Ma poiché esso è cresciuto nel tempo, le scadenze annuali effettive sono forse di 23. Un deficit del 10% ne comporta altri 23. Ed ecco che la cifra di 45 miliardi fornita dal nuovo prestito potrà bastare alla Grecia come rete di sicurezza per quest’anno e per l’anno prossimo. E se essa saprà dosare con prudenza l’impiego di tale rete di sicurezza, potrà anche evitare di fruirne per intero. E’ un'ipotesi di non facile realizzo, ma non impossibile.

Ciò che sino ad ora ha giocato a sfavore della credibilità del debito pubblico greco è stata la spensieratezza con cui Atene è giunta a questa situazione. Le misure decise dal governo di Papanderu, quando la verità si è scoperta e la situazione debitoria della Grecia è cominciata ad apparire drammatica, dovrebbero riportare il defict del bilancio del 2010 al 9 per cento. Il governo, inoltre, si è impegnato ad avere un deficit del 3 per cento entro il 2013. Sulla carta, posto che il Pil rimanga invariato, ciò potrebbe non essere impossibile, dato che la pressione fiscale greca è solo il 37% del Pil mentre le spese rasentano il 50%. Ma, per evitare la caduta del Pil, ci vuole un programma eroico, relativo ai costi del lavoro, che solo mediante una forte pressione sul governo greco può essere possibile ottenere.

Considerando tutto ciò detto, appare chiaro perché l‘opinione pubblica tedesca fosse contraria all’intervento alla Grecia a carico del contribuente. La Germania in effetti dovrà accollarsi il 28% del sostegno finanziario alla Grecia, con un apporto di 8,4 miliardi di euro. E la tesi per cui la Grecia non li utilizzerà interamente appare poco credibile, dato quanto si è appena osservato.

Il cancellate tedesco Angela Merkel d’altra parte aveva assicurato che un eventuale prestito alla Grecia fosse fatto “a condizioni di mercato” e poiché esso è stato fissato a un livello del 5%, inferiore di forse 2 punti a quello di mercato, per i prestiti biennali greci, si è sentita tradita. E un gruppo di economisti e giuristi sta preparando un ricorso alla Alta Corte di Giustizia europea, sostenendo che si tratta di un aiuto contrario al Trattato di Maastricht , che fa parte integrante delle regole dell’Unione europea.

Si può discutere dell'efficacia operativa delle misure con cui la Commissione europea può condizionare l’erogazione del prestito e sanzionare la Grecia, ma non si può negare che esse consentono di affermare che un prestito al 5% non è una sovvenzione, vietata dal trattato di Mastricht. Ciò anche perché si tratta di un prestito inferiore ai livelli richiesti dal mercato al governo greco, ma molto superiore ai livelli a cui i governi degli stati dell’Eurozona, non considerati attualmente a rischio, si finanziano sul mercato del debito pubblico. Sicché essi con il sostegno finanziario alla Grecia potranno realizzare una plusvalenza.

Occorre aggiungere che non solo la Grecia ha aspettato troppo a varare il suo piano di austerità che consiste nel congelamento degli stipendi dei dipendenti pubblici e in aumenti fiscali, e nel chiedere il sostegno dell’Unione europea. Hanno tardato troppo anche gli stati membri, con riguardo alla creazione di un Fondo Monetario Europeo, che, come si desume dalla lettura dell’articolo 104 B del Trattato di Maastricht è ammissibile, nel quadro delle “garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto specifico”. Infatti il Fondo Monetario Europeo si potrebbe finanziarie sul mercato, avvalendosi delle garanzie finanziarie specifiche precostituite degli stati membri e della Commissione europea, che potrebbero essere commisurate alle quote azionarie di ciascuno stato membro nel Fondo stesso, a loro volta parametrate su quelle di partecipazione alla Banca centrale europea.

C’è da augurarsi che da questo episodio nasca la volontà politica di dare vita a tale Fondo. Ma, paradossalmente, se l’intervento deciso in aprile avrà successo il proposito di dar vita al Fondo potrebbe essere accantonato.

Una cosa analoga sembra accadere con riguardo alla revisione delle regole riguardanti gli intermediari finanziaria non bancari: ora che il peggio è passato, al più si arriverà a una imposta sulle loro operazioni come surrogato della regolamentazione.

martedì 27 settembre 2011

Lettera ad una donna mai dimenticata



Inserito da Qelsi 14 SET. 2011
Cinque anni fa stavi salutando la tua Firenze guardandola per l’ultima volta. Le campane hanno suonato, hanno pianto, per salutare una donna che tanto ha dato a tutti noi. Una donna che amava la sua terra. Ti ricordi? Dicevi “E quest’Italia, un’Italia che c’è anche se viene zittita o irrisa o insultata, guai a chi me la tocca. Guai a chi me la ruba, guai a chi me la invade.”
Oriana, ce la stanno insultando, ce la stanno invadendo, ce la stanno rubando. Siamo impotenti davanti ad un sindaco di Milano che annuncia di voler costruire una grande moschea e che festeggia la sua elezione dal palco rivolgendosi ai “fratelli musulmani”, chiamandoli a sé e dando loro il benvenuto.
Non possiamo far nulla mentre guardiamo il sindaco di Napoli che festeggia in piazza coi musulmani la fine del Ramadam rivolgendo loro parole di stima come “Voi fate belle cose!”.
Oriana, manca la tua voce. Manca la voce dell’unica persona che aveva il coraggio di dire le cose come stavano, con rabbia ed orgoglio. Forse avremmo tutti bisogno di arrabbiarci, di tirare fuori quell’orgoglio che c’è dentro ogni italiano, perchè questa è la nostra Patria, la nostra terra. E ce la stanno portando via da sotto al naso. In quest’Italia il nazionalismo è una qualità di pochi, i valori si stanno perdendo e nessuna guida porta i giovani verso la giusta strada. Lo spettro dell’Eurabia che tu avevi paventato è più reale di quanto noi tutti credessimo.
E tu te ne sei andata troppo presto, vinta dall’Alieno. Dovevi fare ancora tanto, dovevi difendere la nostra Italia, dovevi difendere le nostre radici cristiane. E dovevi completare “Lettera ad un bambino mai nato”. Quante cose Oriana. Ma oggi siamo qua per ricordare quello che ci hai dato e non quello che ancora avresti potuto darci: di quello purtroppo ci resta solo il rimpianto. Rileggendo proprio La Rabbia e l’Orgoglio riscopro quanto tutto sia più attuale, ogni giorno che passa.

Io non dimenticherò mai i comizi con cui l’anno scorso i clandestini riempirono le piazze d’Italia per ottenere i permessi di soggiorno. Quei volti distorti, cattivi. Quei pugni alzati, minacciosi. Quelle voci irose che mi riportavano alla Teheran di Khomeini. Non li dimenticherò mai perché mi sentivo offesa dalla loro prepotenza in casa mia, e perché mi sentivo beffata dai ministri che ci dicevano: «Vorremmo rimpatriarli ma non sappiamo dove si nascondono». Stronzi! In quelle piazze ve n’erano migliaia, e non si nascondevano affatto sveglia, gente, sveglia! Intimiditi come siete dalla paura d’andar contro corrente cioè d’apparire razzisti non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione. Voluta e dichiarata da una frangia di quella religione, forse, comunque una guerra di religione. Una guerra che essi chiamano Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All’annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci. Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po’ più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri. Proprio perché è definita da molti secoli e molto precisa, la nostra identità culturale non può sopportare un’ondata migratoria composta da persone che in un modo o nell’altro vogliono cambiare il nostro sistema di vita. I nostri valori. Sto dicendoti che da noi non c’è posto per i muezzin, per i minareti, per i falsi astemi, per il loro fottuto Medioevo, per il loro fottuto chador. E se ci fosse, non glielo darei. Perché equivarrebbe a buttar via Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, il Rinascimento, il Risorgimento, la libertà che ci siamo bene o male conquistati, la nostra Patria. Significherebbe regalargli l’Italia. E io l’Italia non gliela regalo mica.

Sono arrabbiata con l’Alieno, ti ha portato via quando forse avevamo più bisogno di te.

Una volta nato non ti dovrai scoraggiare, dicevi: neanche a soffrire, neanche a morire. Se uno muore vuol dire che è nato, che è uscito dal niente, e niente è peggiore del niente: il brutto è dover dire di non esserci stato.

[Lettera ad un bambino mai nato]

lunedì 26 settembre 2011

...alla fine la Grecia fallisce


G20: maxi piano da tremila miliardi per la ricapitalizzazione delle banche
I grandi della Terra pronti a salvare gli istituti di credito prima di lasciare andare in default la Grecia. Salvando così l'euro. L'amministratore delegato di Unicredit, Ghizzoni: "L'Italia deve prendere decisione rapide"

MILANO - Un maxi piano da tremila miliardi per salvare l'euro ricapitalizzando le banche e dando più risorse al fondo salva-stati in modo da consentire un default della Grecia sui suoi debiti, mentre cresce l'attesa per la riapertura dei mercati in una settimana che si annuncia cruciale sia per Atene sia per la zona euro.

Secondo il Sunday Times, i paesi del G20 hanno discusso un nuovo schema, che potrebbe essere presentato a giorni, mirato a salvare l'euro e la cui introduzione è stata sollecitata anche da Stati Uniti, Cina e Fmi. Il primo passo del maxi piano d'emergenza rivelato dal settimanale britannico dovrebbe essere una sostanziale iniezione di capitali in almeno 16 banche europee. Secondo gli analisti il conferimento potrebbe riguardare capitale "di contingenza", vale a dire riserve che potrebbero essere utilizzate solo in caso di bisogno.

A quel punto, essendo stato approntato un sostegno alle banche, la Grecia potrebbe andare in default, vale a dire in stato d'insolvenza sui propri debiti: sarebbe stato risolto così uno dei principali ostacoli che impediva ai politici europei di avallare un default di Atene a causa della loro preoccupazione per l'impatto sulle banche continentali - a partire da quelle francesi - che detengono miliardi di euro di titoli di stato ellenici.

Secondo fonti a Washington, citate dallo stesso Sunday Times, sarebbe inoltre probabile che il fondo
salva-stati Efsf riceva risorse aggiuntive e venga anche dotato della possibilità di attingere a finanziamenti sul mercato allo scopo di aumentare la sua capacità d'intervento con un costo complessivo dell'intero piano che si aggirerebbe sui 3mila miliardi di euro.

La notizia sul nuovo piano giunge dopo le pressioni pubbliche da parte del segretario al Tesoro Timothy Geithner che sabato ha messo in guardia 1 dalla "minaccia di default a cascata, corse agli sportelli e rischi catastrofici che devono essere levati dal tavolo, perché in caso contrario tutti gli altri sforzi saranno minati, sia all'interno dell'Europa che a livello globale".

Ma le attese sono anche concentrate sulla Banca Centrale europea, che potrebbe annunciare ulteriori misure per facilitare l'accesso delle banche alla liquidità, a partire da un taglio d'emergenza dei tassi.

Di certo, non c'è tempo da perdere, nemmeno per l'Italia, come hanno avvertito da Washington nelle ultime ore anche le due principali banche italiane, Unicredit e Intesa Sanpaolo che figurano anche nel ristretto gruppo dei principali istituti di Eurolandia. "L'Italia - ha spiegato l'ad di Unicredit Federico Ghizzoni - in questo momento è percepita come un'area di massima attenzione. E' ovviamente un paese molto importante, non solo in Europa ma anche al di fuori. La crisi finanziaria ci ha colpito, lo sappiamo tutti, più di altri paesi, ed è importante soprattutto agli occhi di altri operatori americani, ma anche europei, che l'Italia nell'ambito del problema europeo a sua volta prenda delle decisioni rapide sul debito e sul rilancio del paese. Ho trovato molta attenzione e per certi versi molta preoccupazione verso l'Europa e in parte anche verso l'Italia".

Come può recuperare l'Italia? "La decisione - ha detto il ceo di Intesa Sanpaolo Corrado Passera - è nelle mani del Parlamento e del presidente della Repubblica. Certamente questo è un momento in cui un governo capace di fare un piano che riesce a mettere insieme le parti sociali, che riesce a far condividere a un paese sacrifici di breve termine per benefici di lungo periodo ovviamente sarebbe più adatto. Però quale sia, se questo governo o un altro o come fatto non sta noi a dirlo. Certo sarebbe necessaria una gestione complessiva più efficace di quella che è stata negli ultimi tempi".

venerdì 23 settembre 2011

Ora Berlusconi sfiducia Tremonti


"Prima si dimette e meglio è"

Gelida telefonata tra il premier e il suo ministro. Il Cavaliere: "Vuole sputtanarmi, va dicendo in giro che ho peggiorato la manovra e che ho minato la credibilità del Paese"

di FRANCESCO BEI

ROMA - Nel giorno in cui il Pdl e la Lega salvano dalla galera il suo ex braccio destro, è Silvio Berlusconi in persona a sfiduciare Giulio Tremonti. Non un atto formale, non ancora almeno, ma un giudizio durissimo contro il ministro dell'Economia, accusato senza mezzi termini di aver tradito la causa comune. "È andato in giro in Europa a dire che ero stato io a peggiorare la manovra", si è sfogato il premier con i suoi ministri, "e, se non ci fosse questa bufera sui mercati, avrei già fatto l'unica cosa da fare: chiedergli di andarsene".

La rabbia esplode alle nove del mattino, prima che a Montecitorio inizi la seduta dedicata a salvare il soldato Milanese. I ministri si trovano sul tavolo della sala verde di palazzo Chigi tante cartelline già pronte con dentro la nota di Aggiornamento del Def, il documento che certifica le nuove stime al ribasso sulla crescita. Ma Tremonti non c'è. "È dovuto volare a Washington - annuncia Gianni Letta - per la riunione del Fondo monetario e del G20". La protesta dei ministri monta, non ci stanno a votare a scatola chiusa "il compitino che ci ha preparato quello". Sono irritati anche perché il piano per lo sviluppo, ancora una volta, sta prendendo corpo nelle stanze di via XX Settembre, all'insaputa di tutti. Reclamano "collegialità". Alzano la voce Galan e Brunetta, Romani e Carfagna. Ma stavolta il più arrabbiato di tutti è proprio lui, Berlusconi: "Avete ragione, stavolta non ha scuse. Noi siamo qui
a lavorare e lui nemmeno si degna di venire. A questo punto come fa a restare al suo posto? Se ne dovrebbe andare via dal governo anche per un'altra ragione: ho saputo che va a dire in giro, erga omnes, che lui c'ha messo tre anni a conquistare una credibilità per questo governo e io in tre settimane ho sputtanato tutto".

Il Cavaliere è un fiume in piena. I ministri, anche i più critici con Tremonti, restano attoniti di fronte a quelle parole. capiscono che davvero sta per accadere qualcosa, che Tremonti ha le ore contate. Quando poi, all'ora di pranzo, Montecitorio delibera per la salvezza di Milanese senza il voto del ministro dell'Economia, Berlusconi (in una riunione improvvisata nella sala del governo accanto all'aula) rincara la dose. "Dal punto di vista umano, semplicemente u-ma-no, non essere venuto qui a votare per il suo amico, lasciando ad altri il compito di metterci la faccia, è una cosa indegna. Immorale". Ai presenti il Cavaliere racconta un episodio accaduto quella mattina. "Quando Letta mi ha riferito che Tremonti non sarebbe venuto in aula a votare, l'ho fatto subito chiamare a casa. Mi ha detto che aveva prenotato un volo della "United" per le undici. Allora gli ho risposto: ma scusa Giulio, perché prendi un aereo di linea? Ti faccio preparare l'aereo di Stato, così vieni a votare e poi parti a mezzogiorno. Sapete cosa mi ha risposto? Mi ha mandato a quel paese!".

In serata si diffondono da Washington voci di dimissioni di Tremonti, ma l'entourage del ministro dell'Economia smentisce seccamente. E tuttavia il processo politico dentro al Pdl prosegue a Roma, a palazzo Grazioli, dove il premier convoca Alfano e lo stato maggiore del partito. Ci si congratula per il voto su Milanese, anche se pesa quella pattuglia di franchi tiratori. Ma è di nuovo il "problema" Tremonti a dominare. Alla fine, con lo spread schizzato oltre quota 400 e la borsa a picco, tutti convengono che cacciare su due piedi il ministro è un'impresa molto rischiosa. Intanto verrà commissariato, spostando a palazzo Chigi, sotto la direzione del premier e di Gianni Letta, la "cabina di regia" che dovrà mettere a punto le misure per rilanciare la crescita. Si accenna anche alle pensioni e torna in primo piano la questione dell'abolizione di quella d'anzianità, nonostante la contrarietà della Lega. Ma è l'enorme stock di debito pubblico la montagna da aggredire. Così, per la prima volta, fa capolino una parola finora mai pronunciata, "patrimoniale". Quasi un'eresia tra le mura di palazzo Grazioli. Ma forse necessaria, anche perché con gli attuali livelli di mercato, spiega uno dei partecipanti al vertice, "privatizzare le aziende di Stato oggi vorrebbe dire darle via in saldo". Berlusconi è comunque determinato ad agire, anche Napolitano lo ha messo con le spalle al muro nel colloquio di due giorni fa sul Colle. "Abbiamo tre mesi, da qui a dicembre, per smuovere tutto, per dare una scossa all'economia". Si parla anche della legge elettorale, visto che il referendum incombe e se tornasse il Mattarellum per il Pdl sarebbe la fine. Così viene dato mandato a Denis Verdini si buttare giù una proposta sul modello spagnolo, un proporzionale con indicazione del premier e circoscrizioni piccole. Un sistema che dovrebbe andare bene anche all'Udc, almeno così sperano a via del Plebiscito. Verdini dovrà poi mescolare questa proposta con quella già elaborata dal ministro Calderoli, per farne uscire qualcosa di coerente.

Infine le intercettazioni. Il Cavaliere si lamenta di essere in "uno Stato di polizia", protesta perché "queste cose vengono diffuse anche all'estero e alla fine non fanno solo un danno personale a me ma a tutto il paese. Un altro al posto mio sarebbe morto". Alla fine si decide di procedere in fretta con la legge-bavaglio alla Camera, anche sfrondandola se servirà ad andare più veloci.

mercoledì 21 settembre 2011

La verità sulla situazione economica dell’Italia



Non volendo piangere, è inevitabile mettersi a ridere per le continue giravolte del governo Berlusconi in materia di manovra finanziaria. Prima volevano tassare i ricchi e tagliare i fondi ai Comuni, poi i ricchi si sono incazzati e i sindaci sono scesi in piazza e allora hanno deciso di eliminare invece il riconoscimento degli studi ai fini pensionistici, ma in due giorni si è creata una tale ondata di lamentele che si sono rimangiati pure quello. E’ chiaro che non sanno dove sbattere la testa per trovare 40 miliardi di euro, non volendo mettere mano seriamente all’unico capitolo dove ci sarebbe ancora qualcosa da tagliare - i costi della politica e delle sue clientele, sia in termini di regalie che in termini di posti di lavoro.
A ben vedere, però, è proprio il caso di mettersi a piangere; è giusto criticare il governo, ma onestamente quali alternative ci sono sul piatto? La contromanovra del PD è evanescente, ed è stata già distrutta persino sul giornale di famiglia, Repubblica, dal buon Tito Boeri; se va bene il PD recupererebbe 4 miliardi, non 40, e perdipiù a forza di nuove tasse.
Il primo passo è ovviamente quello di cacciare tutti questi cialtroni e tagliare il costo della politica; dimezzare i parlamentari, eliminare le province… fanno alcuni miliardi di euro, non di più. Rinegoziare le privatizzazioni, i sussidi e le concessioni pubbliche date a condizioni di favore, cacciare i dirigenti incompetenti e mettercene di capaci, e poi tassare i capitali evasi rimasti all’estero e lanciare una campagna contro l’evasione fiscale, fermare le grandi opere inutili, far pagare le tasse alla Chiesa, e tutte le altre cose elencate nel (più che condivisibile) post di Grillo… ok, dai, così 40 miliardi li troviamo… magari ne troviamo anche 100.
Peccato che il nostro debito pubblico sia di circa 2000 miliardi di euro; peccato che solo l’aumento degli interessi che dovremo pagare sui nostri titoli di Stato, nelle ultime aste, si sia già mangiato in pochi giorni i 40 miliardi che stiamo ammazzandoci per recuperare. Mi spiace dovervi dare una cattiva notizia, ma qui siamo messi straordinariamente male.
Io sono preoccupato non solo per la situazione, ma perché si sta diffondendo per la rete e per le strade una furiosa euforia irreale, un piano d’azione che dice “attiviamoci, occupiamo le piazze a oltranza, cacciamo tutti i politici con i forconi, poi andiamo al potere, togliamo i soldi ai ricchi che li hanno rubati, cambiamo le regole dell’economia e potremo tutti tornare allo stile di vita di vent’anni fa”. Scusatemi per la lunghezza, ma voglio proprio fare una analisi approfondita di questo piano d’azione.
Innanzi tutto, in Italia non si sono mai viste rivoluzioni di piazza che abbiano avuto successo. Al contrario, nelle situazioni di disordine c’è sempre stata una reazione dell’italiano medio che ha portato al potere regimi autoritari e corrotti; agli scioperi dei primi anni Venti è seguito il fascismo, agli anni ‘70 Craxi e agli anni ‘90 Berlusconi. Tutto fa pensare che quel che sta succedendo ora sia solo un altro cambio della guardia, programmato colà dove si puote e legato non solo alla nostra spesa pubblica fuori controllo, ma al tentativo di Berlusconi di smarcarsi dal guinzaglio euroatlantico e di coltivare amicizie pericolose tra Mosca e Tripoli. Ve lo dico, così state accuorti.
Comunque, supponiamo invece che l’indomito popolo italiano prenda le piazze e riesca a mandare al potere un nuovo gruppo dirigente (nuovo davvero, non il figlioccio e sodale dei maggiori esponenti italiani del club Bilderberg). Ok, adesso abbiamo 2000 miliardi di euro da pagare e che non ci fanno più credito se non ne restituiamo almeno una bella fetta, che facciamo? Niente paura, il piano dice “togliamo i soldi ai ricchi che li hanno rubati”.

La prima opzione è fare un bel collettone - ma chi ha soldi da tirar fuori? Tassiamo i patrimoni immobiliari? In teoria gli italiani possiedono 6000 miliardi di euro in case: facciamo che ognuno di noi paga allo Stato una cifra pari al 20% del valore delle proprie case? Ok, tu che possiedi un appartamentino in città (che comunque vale, a seconda della città, dai 100 ai 300 mila euro), ereditato dai tuoi o magari comprato con un mutuo che ti stai strozzando per pagare, domani mattina mi devi versare sull’unghia 20-60 mila euro, ok? Tanto li hai lì, no? No?
Ok, la facciamo pagare solo ai ricchi, però - in un paese in cui quasi tutti possiedono almeno una casa se non due - a questo punto l’aliquota sui ricchi deve salire al… 90%? Facciamo che requisire le ville ai ricchi? E anche se lo facessimo, poi dobbiamo trasformarle in soldi… chi le compra, e quanto riusciremmo veramente a realizzare, in un mercato immobiliare già saturo e improvvisamente inondato di case?
Va bene, realisticamente dalle case non si può tirar fuori che qualche decina di miliardi una tantum; allora tassiamo i conti in banca… ops, il totale dei depositi bancari in Italia è solo di 750 miliardi di euro, nemmeno azzerandoli tutti ripagheremmo il debito; e poi, per via del meccanismo della riserva frazionaria, le banche mica hanno lì 750 miliardi pronti da dare allo Stato.
Gli italiani dispongono se mai di un significativo patrimonio mobiliare in titoli, ma è investito soprattutto in… ops, titoli di Stato? Magari titoli di Stato di paesi messi poco meglio di noi o magari anche peggio? E anche qui, per poter chiedere agli italiani una fetta di questi soldi bisogna che prima gli italiani li vendano, e quanto riuscirebbero a incassare in una situazione del genere, costretti a svenderli di corsa ad investitori stranieri?
Incidentalmente, in tutto questo c’è comunque un assunto che disturba, cioè che non ci debbano essere remore nel tassare pesantemente i grandi patrimoni perché tanto “li hanno sicuramente rubati”. E’ ovvio che in una situazione di crisi la tassazione debba essere progressiva, colpendo di più chi non ha problemi ad arrivare a fine mese, ma l’Italia è piena di persone che si sono arricchite onestamente col proprio lavoro, spesso dando anche lavoro agli altri. Uno di questi peraltro è Beppe Grillo, dunque se pensate che tutti i ricchi siano ladri forse avete sbagliato movimento.
A questo punto è chiaro che non è realisticamente possibile per noi ripagare il nostro debito. Veniamo dunque alle maniere forti, ovvero “cambiamo le regole dell’economia”: una combinazione di 1) non ripagare i debiti e 2) ripudiare in tutto o in parte le regole dell’economia occidentale.
Un buon modo per non ripagare i debiti è farli pagare agli altri, ad esempio facendoci sovvenzionare da tedeschi e francesi (o dal Fondo Monetario Internazionale) o trasformando il nostro debito in Eurobond garantiti da loro, contando sul ricatto di “se no falliamo e vi va ancora peggio”, o rinegoziando il credito verso di loro, stile Argentina. Può darsi che funzioni, ma scordatevi che Merkel e soci lo facciano col sorriso sulle labbra e senza chiedere niente in cambio. Chiederanno appunto tutte quelle misure per cui critichiamo Berlusconi: licenziamento di dipendenti pubblici, taglio alle pensioni passate e future, chiusura di servizi pubblici. D’altra parte, se a voi chiedessero di tirar fuori 500 euro per permettere a greci o portoghesi di continuare a vivere a debito, cosa rispondereste?
Un altro modo per non ripagare i debiti è fallire e basta, dire ai creditori “sai che c’è? non ti pago” - magari pure in modo selettivo, cioè prima ripago i cittadini italiani che avevano in mano i miei BOT, e poi se avanza qualcosa per banche e governi stranieri vediamo. In questo si inserisce il filone “nazionalizziamo le banche e non paghiamo i debiti esteri come ha fatto l’Islanda”, che francamente continuo a non capire.
L’Islanda non ha certo nazionalizzato le banche perché vuole passare ad una economia socialista in stile Venezuela, ma perché l’alternativa era che fallissero portandosi con se i risparmi di tutta la nazione. Non c’è niente di sovversivo in questo: l’ha fatto pure, anche se parzialmente, Obama con Bank of America (la più grande banca americana). Anche la maggior parte delle banche italiane sono in rosso: nazionalizzare queste banche vorrebbe dire accollarsi altri debiti, non certo arricchirsi.
L’altro punto, però, è che l’Islanda non ha pagato i debiti esteri DELLE BANCHE, non i propri. E a buon diritto: ha detto ai creditori stranieri “voi avete investito in una azienda privata che è andata gambe all’aria e come è normale avete perso il vostro investimento, ci spiace ma il rischio d’impresa era vostro”. L’Islanda oltretutto non è né dentro l’Euro né dentro l’Unione Europea, quindi non è nemmeno soggetta alle garanzie del mercato unico intra-europeo; infine, l’Islanda è duecento volte più piccola dell’Italia e dunque le cifre in gioco erano relativamente irrisorie (4 miliardi di euro in tutto). Per questo motivo alla fine l’Islanda ne è uscita relativamente bene… ma il debito pubblico dello Stato italiano è cosa molto diversa.
Io penso che in una situazione del genere ci troveremmo gli aerei della NATO in casa, ma se anche così non fosse, il minimo è un embargo commerciale, che per un paese che vorrebbe vivere di turismo ed esportazioni è il bacio della morte; e poi, ovviamente, saremmo buttati fuori dall’Unione Europea e dall’Euro. Questo, per alcuni, fa parte del piano: ci liberiamo dell’Euro, così riconquistiamo la nostra “sovranità monetaria” e possiamo fare come abbiamo sempre fatto fino a vent’anni fa, cioè stampare moneta per continuare a pagare stipendi e pensioni, e svalutare la nostra valuta per migliorare la nostra competitività. Sai che boom nelle esportazioni, finalmente avremmo la ripresa!
Permettetemi di avere qualche dubbio anche su questo: una ipotetica “pizza de fango de Roma”, come sarebbe la nostra nuova valuta, varrebbe poco e continuerebbe a valere ancora meno man mano che il governo la svaluta o ne stampa per far fronte ai propri impegni, con il serio rischio di una iperinflazione stile Zimbabwe o Germania di Weimar. Tutti quelli che vivono dei risparmi o delle pensioni del nonno sarebbero velocemente in mezzo a una strada.

Inoltre, l’Italia è tanto un bel Paese ma è praticamente privo di risorse naturali. Il gas che ci serve per scaldarci, il petrolio che ci serve per produrre la nostra elettricità, per spostarci e per non trovare gli scaffali dei supermercati vuoti, devono essere comprati all’estero - in dollari o in euro. Più la pizza de fango si svaluta, più i prezzi di tutto aumenteranno, a maggior ragione se ci siamo fatti troppi nemici in giro per il pianeta. Perché vedete, Chavez può fare il cacchio che gli pare perché ha il petrolio pure nella tazza del cesso… noi no.
A questo punto, comunque, potremmo riuscire a sopravvivere, come sopravvisse l’Italia del periodo autarchico fascista. Per esempio, potremmo completare l’opera e nazionalizzare le aziende straniere; saremo poveri ma saremo liberi e giusti, bloccando le delocalizzazioni e gestendo quel po’ che c’è nell’interesse di tutti e senza più essere costretti a tagliare i servizi sociali o ad allungare l’età pensionabile solo per ripagare i banchieri della City… no?
Ecco, tutto quello che avete letto finora in realtà dimenticatelo, sono problemi minori. Perché anche se potessimo ricominciare domani mattina da capo, senza debiti e senza sfruttatori, resterebbe una piccola questione da risolvere - quella che ci ha portato fin qui. Basta andare sul sito Istat, sezione “Lavoro”, per scoprire che in Italia ci sono circa 60 milioni di residenti, in parte stranieri, ma solo 23 milioni di occupati, di cui 18 milioni di lavoratori privati, in buona parte ormai precari e sfruttati. Questi 18 milioni producono la ricchezza che mantiene non solo gli odiati padroni, ma anche tutti gli altri, e cioé: 5 milioni di dipendenti pubblici, che svolgono lavori spesso fondamentali (talvolta no) ma istituzionalmente in perdita; 7 milioni tra bambini, ragazzi e studenti universitari; 2 milioni di disoccupati “ufficiali”; 12 milioni di inattivi per altro motivo, ovvero disoccupati “non ufficiali” e casalinghe; e 17 milioni di pensionati, di cui 5 con meno di 65 anni di età. Il nostro tasso di occupazione è insomma il più basso dell’UE a parte Malta e Ungheria, e si aggiunge a uno Stato sprecone e spendaccione come nessuno.
Per questo, quando io sento che la luminosa via della rivoluzione di piazza prossima ventura permetterà non solo di mantenere tutte le attuali prerogative, ma anche di aggiungerne di nuove - ad esempio il tanto evocato “reddito di cittadinanza”, perché è giusto che chi non lavora abbia comunque dei soldi dalla collettività per mantenersi - ecco, mi vengono i brividi. Chi ve lo dice, o è ingenuo e non ha fatto i conti (se ha dei conti è pregato di tirarli fuori, magari mi convince), o vi sta prendendo per il culo, magari perché agitare la folla fa sempre bene alla propria immagine pubblica.
Una economia che parte su queste basi, evasione o no, corruzione o no, non può che generare istituzionalmente debito, e non reggersi in piedi (se non in particolari periodi . E dunque non se ne esce, prima o poi il problema di tagliare le pensioni, il pubblico impiego e in generale la spesa pubblica va affrontato, senza diritti acquisiti per nessuno, così come quello di far sì che gli italiani lavorino tutti e di più; per questo ho molto apprezzato che Grillo, anche se molti hanno fatto finta di non sentire, l’abbia detto chiaramente.
Questo vuol dire che l’economia internazionale va bene così, e che dobbiamo cavarci il sangue e buttarci tra le braccia del Fondo Monetario Internazionale? Assolutamente no, anzi più riusciamo a tener lontana quella gente meglio è. Vuol dire però che dobbiamo essere realistici, e che nessuno potrà chiamarsi fuori dai sacrifici che andranno fatti; potremo pretendere equità e solidarietà - e per averle è necessario cacciare l’attuale classe politica - ma non potremo dire “noi la crisi non la paghiamo”… anche perché abbiamo goduto tutti di trent’anni di società drogata dal debito, e se abbiamo permesso, col voto e con l’acquiescenza, che alcune parti della società ne godessero molto più di altre, è anche colpa nostra.
Cosa succederà veramente non lo sa nessuno; magari una crisi globale ci grazierà, assorbendo anche la nostra; magari l’Italia si spaccherà, il Nord nell’Euro e il resto nel fango; magari, dopotutto, la via dell’autarchia sarà l’unica possibile; sono convinto che ci sarà da soffrire ma che sarà anche una chance storica per costruire un’Italia stabilmente migliore. Per il momento, io vorrei soltanto pregarvi di non ridere troppo di Berlusconi, perché comunque neanche Superman saprebbe come ripagare il debito pubblico italiano; e perché presto, a sbattere la testa al posto di Berlusconi, ci saremo tutti noi.

domenica 18 settembre 2011

Mutuo casa: gli under 30 lo chiedono, ma solo il 5 per cento lo ottiene






Sono i giovani i più colpiti dalla crisi. Un’ulteriore conferma arriva dall’analisi diffusa oggi da Mutui.it , comparatore online di mutui, che ha esaminato le richieste di finanziamento per acquistare la casa degli ultimi mesi. Un preventivo su quattro è richiesto da under 30, ma al momento di ottenere il finanziamento nemmeno il 5 per cento delle loro richieste verrà accolto.

“Il 24% delle domande di mutuo prima casa arrivate al sito è compilato da persone sotto i 30 anni” spiega Alberto Genovese, Ad di Mutui.it. “Questo testimonia da un lato, l’interesse dei giovani per l’acquisto della casa e, dall’altro, della loro familiarità con gli strumenti che internet offre per risparmiare e investire al meglio”. La richiesta media è di 150 mila euro, pari al 77 per cento del valore dell’immobile che si vorrebbe acquistare; nel 52 per cento dei casi viene preferito il tasso fisso, solo nel 25 per cento quello variabile. Gli under 30, che hanno mediamente 27 anni al momento della compilazione del preventivo, vorrebbero che il loro mutuo durasse circa 26 anni. Non emergono grosse differenze a livello regionale. Se l’età del richiedente e la durata media del mutuo sono pressoché le stesse in tutta Italia, a cambiare sono gli importi che si vorrebbero ricevere; le regioni da cui provengono le domande più ingenti sono Trentino Alto Adige (176.000 euro), Emilia Romagna (173.000 euro), Lazio e Veneto (168.000 euro). Tutte regioni in cui i costi degli immobili sono piuttosto elevati.

La mancanza di contratti di lavoro stabili, la difficoltà di trovare un garante o un cointestatario del mutuo e l’indisponibilità di un profilo creditizio affidabile sono le cause principali del freno alla concessione del finanziamento.

Ecco la classifica delle Regioni italiane in base agli importi richiesti dagli under 30 al momento della domanda di mutuo:

Trentino Alto Adige 176.000
Emilia Romagna 173.000
Lazio 168.000
Veneto 168.000
Valle d’Aosta 163.000
Toscana 161.000
Liguria 152.000
Lombardia 150.000
Campania 143.000
Marche 142.000
Piemonte 136.000
Friuli V. Giulia 132.000
Sicilia 129.000
Abruzzo 128.000
Molise 128.000
Puglia 128.000
Umbria 128.000
Basilicata 127.000
Sardegna 124.000
Calabria 122.000

giovedì 15 settembre 2011

La consigliera comunale del Pd che chiede il rimborso per manifestare contro Berlusconi



da "questa è la sinistra italiana"

Si chiama Simona Lembi ed è presidente del Consiglio comunale di Bologna. Eletta in quota Pd, si è subito inserita senza difficoltà nei meccanismi di Palazzo d’Accursio. Forse esagerando un po’, perché in questi giorni alcuni giornali locali e nazionali hanno parlato di lei: la Procura ha aperto un fascicolo su alcuni rimborsi anomali, ed in quelle carte c’è anche il nome di Simona Lembi. La consigliera del Pd avrebbe chiesto e ottenuto un rimborso dal Comune per essersi recata alla manifestazione “Se non ora quando” di Siena, il corteo di “donne indignate dal caso Ruby”. Chiara la connotazione politica anti-berlusconiana dell’evento. La manifestazione si è tenuta il 9 e 10 luglio scorsi, e la giovane esponente del Pd ha chiesto un rimborso particolarmente elevato: 450 euro.
La determina dirigenziale che stabilisce di imputare tale spesa al bilancio comunale 2011 è datata 6 luglio, ossia tre giorni prima della “trasferta”. Tale determina è firmata dalla direttrice dello staff del Consiglio comunale, Maria Pia Trevisani, ma non specifica alcuna causale: come parziale spiegazione è riportata solo una generica e non meglio precisata missione a Siena. Peccato che partecipare ad una manifestazione come “Se non ora quando” difficilmente possa ritenersi “missione istituzionale”.
Il Comune di Bologna evidentemente non ha avuto nulla da obiettare, anche perché il 5 luglio c’è stata l’autorizzazione da parte del presidente del Consiglio comunale. Chi é? Simona Lembi, in persona. Che si è auto-concessa, con ogni evidenza, tale autorizzazione.
Al momento non sussiste ancora un’ipotesi di reato, ed il caso potrebbe pure finire con un’archiviazione o con una semplice segnalazione alla Corte dei Conti. Questo dal punto di vista giudiziario.
Ma i bolognesi saranno contenti di sapere che c’è una consigliera comunale che spende soldi pubblici per recarsi a cortei e manifestazioni come “Se non ora quando”?
Bella “missione istituzionale”!

lunedì 12 settembre 2011

.. e i politici dovrebbero solo vergognarsi !!!!

Per la prima volta viene tolto il segreto su quanto costa ai contribuenti
l'assistenza sanitaria integrativa dei deputati. Si tratta di costi per
cure che non vengono erogate dal sistema sanitario nazionale (le cui
prestazioni sono gratis o al più pari al ticket), ma da una assistenza
privata finanziata da Montecitorio. A rendere pubblici questi dati sono
stati i radicali che da tempo svolgono una campagna di trasparenza
denominata Parlamento WikiLeaks.
Va detto ancora che la Camera assicura un rimborso sanitario privato non solo ai 630 onorevoli. Ma anche a 1109 loro familiari compresi (per
volontà dell'ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini) i
conviventi more uxorio.
Ebbene, nel 2010, deputati e parenti vari hanno speso complessivamente 10 milioni e 117mila euro. Tre milioni e 92mila euro per spese odontoiatriche.
Oltre tre milioni per ricoveri e interventi (eseguiti dunque non in
ospedali o strutture convenzionati dove non si paga, ma in cliniche
private). Quasi un milione di euro (976mila euro, per la precisione), per
fisioterapia. Per visite varie, 698mila euro. Quattrocentottantotto mila
euro per occhiali e 257mila per far fronte, con la psicoterapia, ai
problemi psicologici e psichiatrici di deputati e dei loro familari.
Per curare i problemi delle vene varicose (voce "sclerosante"), 28mila e
138 euro. Visite omeopatiche 3mila e 636 euro. I deputati si sono anche
fatti curare in strutture del servizio sanitario nazionale, e dunque hanno
chiesto il rimborso all'assistenza integrativa del Parlamento per 153mila
euro di ticket.
Ma non tutti i numeri sull'assistenza sanitaria privata dei deputati,
tuttavia, sono stati desegretati. "Abbiamo chiesto - dice la Bernardini -
quanti e quali importi sono stati spesi nell'ultimo triennio per alcune
prestazioni previste dal 'fondo di solidarietà sanitarià come ad esempio
balneoterapia, shiatsuterapia, massaggio sportivo ed elettroscultura
(ginnastica passiva). Volevamo sapere anche l'importo degli interventi per chirurgia plastica, ma questi conti i Questori della Camera non ce li
hanno voluti dare". Perché queste informazioni restano riservate, non
accessibili?
Cosa c'è da nascondere?
Ecco il motivo di quel segreto secondo i Questori della Camera: "Il
sistema informatizzato di gestione contabile dei dati adottato dalla
Camera non consente di estrarre le informazioni richieste. Tenuto conto
del principio generale dell'accesso agli atti in base al quale la domanda
non può comportare la necessità di un'attività di elaborazione dei dati da
parte del soggetto destinatario della richiesta, non è possibile fornire
le informazioni secondo le modalità richieste".
Il partito di Pannella, a questo proposito, è contrario. "Non ritengo -
spiega la deputata Rita Bernardini - che la Camera debba provvedere a dare una assicurazione integrativa. Ogni deputato potrebbe benissimo farsela per conto proprio avendo gia l'assistenza che hanno tutti i cittadini
italiani..
Se gli onorevoli vogliono qualcosa di più dei cittadini italiani, cioè un
privilegio, possono pagarselo, visto che già dispongono di un rimborso di
25 mila euro mensili, a farsi un'assicurazione privata. Non si capisce
perché questa 'mutua integrativà la debba pagare la Camera facendola
gestire direttamente dai Questori". "Secondo noi - aggiunge - basterebbe
semplicemente non prevederla e quindi far risparmiare alla collettività
dieci milioni di euro all'anno".

Mentre a noi tagliano sull'assistenza sanitaria e sociale è deprimente scoprire che alla casta rimborsano anche massaggi e chirurgie plastiche private - è il commento del presidente dell'ADICO, Carlo Garofolini - e sempre nel massimo silenzio di tutti.
...E NON FINISCE QUI...

Sull'Espresso di qualche settimana fa c'era un articoletto che spiega che recentemente il Parlamento ha votato all'UNANIMITA' e senza astenuti un aumento di stipendio per i parlamentari pari a circa € 1.135,00 al mese. Inoltre la mozione e stata camuffata in modo tale da non risultare nei verbali ufficiali.

STIPENDIO Euro 19.150,00 AL MESE
STIPENDIO BASE circa Euro 9.980,00 al mese
PORTABORSE circa Euro 4.030,00 al mese (generalmente parente o familiare)
RIMBORSO SPESE AFFITTO circa Euro 2.900,00 al mese

INDENNITA' DI CARICA (da Euro 335,00 circa a Euro 6.455,00)

TUTTI ESENTASSE
+

TELEFONO CELLULARE gratis
TESSERA DEL CINEMA gratis
TESSERA TEATRO gratis
TESSERA AUTOBUS - METROPOLITANA gratis
FRANCOBOLLI gratis
VIAGGI AEREO NAZIONALI gratis
CIRCOLAZIONE AUTOSTRADE gratis
PISCINE E PALESTRE gratis
FS gratis
AEREO DI STATO gratis
AMBASCIATE gratis
CLINICHE gratis
ASSICURAZIONE INFORTUNI gratis
ASSICURAZIONE MORTE gratis
AUTO BLU CON AUTISTA gratis
RISTORANTE gratis (nel 1999 hanno mangiato e bevuto gratis per Euro 1.472.000,00).
Intascano uno stipendio e hanno diritto alla pensione dopo 35 mesi in parlamento mentre obbligano i cittadini a 35 anni di contributi (41 anni per il pubbico impiego)
Circa Euro 103.000,00 li incassano con il rimborso spese elettorali (in violazione alla legge sul finanziamento ai partiti), più i privilegi per quelli che sono stati Presidenti della Repubblica, del Senato o della Camera. (Es: la sig.ra Pivetti ha a disposizione e gratis un ufficio, una segretaria, l'auto blu ed una scorta sempre al suo servizio)

La classe politica ha causato al paese un danno di 1 MILIARDO e 255 MILIONI di EURO.
La sola camera dei deputati costa al cittadino Euro 2.215,00 al MINUTO !!

giovedì 8 settembre 2011

La casta del sindacato Ecco chi sono i furbetti con la doppia pensione




di Mario Giordano
I due ex segretari Cisl Franco Marini e Sergio D'Antoni incassano 14mila euro al mese come parlamentari. Ma si sono procurati altri due ricchi assegni mensili

Cerco studente che sia andato a le­zione da Sergio D'Antoni. Giuro: lo voglio trovare. Qualcuno me lo segna­­li, mi faccia scrivere o telefonare: vo­glio avere la prova che l'ex sindacali­sta della Cisl ha avuto una grande car­riera da professore, come la sua pen­sione lascia intendere. Eh sì: perché da quando ho scoperto che D'Antoni riceve dall'Inpdap un assegno mensi­le di 5233 euro netti (netti!) al mese (103.148 euro lordi l'anno) come ex docente universitario non mi do pace: voglio parlare con qualcuno che sia andato a lezio­ne da lui. Qualcuno che si sia ab­beverato alle fonti di così costoso sapere. Se entro una settimana non lo trovo, sarò costretto a un gesto malsano: mi rivolgerò a «Chi l'ha visto?» e lancerò un ap­pello in Tv.
Guardando ieri la prima pagi­na del Giornale sui sindacalisti che diventano ricchi organizzan­do gli scioperi ho fatto un salto sulla sedia: alcune persone cita­te, infatti, non solo ricevono il già abbondante stipendio parlamen­tare ma ad esso uniscono una pensione maturata grazie alla mi­tica legge Mosca, quella che ha consentito a 40mila persone fra sindacalisti e dirigenti di partito di vedersi riconoscere con un col­po di bacchetta magica contribu­ti di fatto mai versati. Privilegio su privilegio: lo vedete che a orga­n­izzare scioperi conviene davve­ro? I lavoratori no, loro ci perdo­no soldi e, in casi come questi, an­che la faccia. I loro capi, invece, ci guadagnano. In carriera. In bene­fit assortiti. E, di conseguenza, in conto in banca.
Prendete Franco Marini, l'ex presidente del Senato, una vita da democristiano, sempre lì a pe­dalare fra un vino d'Abruzzo e una dichiarazione in Tv. Ebbene a voi, leggendo il Giornale di ieri, sarà sembrato esagerato il com­penso mensile che si è assicurato difendendo gli operai: 14.557 eu­ro, che corrisponde per l'appun­to all'indennità da senatore. Ma per la verità non è quello il solo de­naro che riceve dalle casse pub­bliche: infatti egli percepisce an­che una pensione Inps di circa 2500 euro al mese, che gli piove in tasca dal 1991, cioè da quando aveva 57 anni. Merito della legge Mosca, che evidentemente se ne è sempre impipata dell'allunga­mento dell'età lavorativa chiesto ai cittadini comuni...
Fra l'altro, visto che si parla di di­fensori del popolo, ci sia permes­so di ricordare che della legge Mo­sca beneficia anche il compagno Cossutta: la incassa dal 1980, cioè da quando aveva 54 anni (avete presente il 1980? Tanto per dire: in Urss c'era ancora Breznev, a Sanremo Bobby Solo cantava «Ge­losia » e il capitano del Milan era Aldo Maldera...). Dal 2008, poi il compagno Cossutta ha unito alla pensione Inps maturata grazie al­la legge Mosca anche il vitalizio parlamentare (9604 euro al me­se). E per non farsi mancare nulla al momento dell'uscita dal Parla­mento s'è assicurato anche la li­quidazione- monstre di 345mila euro, tutti in una volta. Un vero re­cord. Dimenticavo: la liquidazio­ne d­ei parlamentari viene chiama­ta tecnicamente «assegno di rein­serimento » o «assegno di solida­rietà». E, a differenza delle liquida­zioni dei normali lavoratori, è esentasse. Si capisce, con la solida­rietà bisogna essere generosi...
345mila euro di liquidazione. La pensioncina Inps grazie alla legge mosca e 9604 euro come vita­­lizio parlamentare: lo vedete? Pro­clamarsi paladini degli operai conviene. Salire sulle barricate de­gli scioperi è un affare. Infatti non c'è niente che renda in Italia come l'attività sindacale: fra Caaf, patro­nati, corsi di aggiornamento pro­fessionale, trattenute e balzelli va­ri Cgil, Cisl e Uil gestiscono ogni anno un patrimonio gigantesco, che fra l'altro viene amministrato con le stesse regole della cassa del coro alpino di Montecucco o della bocciofila di Pizzighettone. Non esistono bilanci consolidati, non esistono organi di controllo. E per di più c'è la possibilità, gestendo quel tesoro, di diventare in un amen parlamentari, europarla­mentari o mal che vada presidenti della Regione Lazio... Non male, no?
A conti fatti organizzare sciope­ri è come fare bingo. Alle spalle dei lavoratori. In effetti: alla ricchezza dei sindacati (l'ultimo vero organi­smo della Prima Repubblica) si unisce la ricchezza dei sindacali­sti. Che, come si è detto, riescono ad accumulare prebende, inden­nità, stipendi, pensioni e benefici di varia entità. Come quelli che ab­biamo citato qui, a cominciare na­turalmente dall'uomo che amava la Jacuzzi e i vestiti di Brioni, il sin­dacalista Sergio D'Antoni. Lui, in­fatti, come si è detto oltre all'inden­nità da parlamentare (14.269 eu­ro lordi al mese) incassa la pensio­ne Indpad da ex professore (5.233 euro netti al mese): ma sapete da quando la incassa quest'ultima? Da quando aveva 55 anni. E sape­te perché quella pensione è così al­ta? Perché, grazie al meraviglioso meccanismo dei contributi figura­tivi, a 55 anni risultava pensionabi­le con 40 anni di anzianità. Tutto regolare, tutto a norma di legge. Si capisce. Ma a me resta il dubbio: l'ex sindacalista Cisl, non solo è stato un grande docente, come di­mostra la sua pensione d'oro....
È stato anche un docente molto pre­coce. A 15 anni già saliva in catte­dra e insegnava. E allora è possibi­le c­he io non riesca a trovare nean­che uno che è andato a lezione da lui?