sabato 26 febbraio 2011

La Fallaci e il Colonnello L'intervista 2 dicembre 1979





Una sintesi dell’intervista al colonnello Gheddafi realizzata da Oriana Fallaci e uscita sul «Corriere della Sera» il 2 dicembre 1979.

Il testo è tratto dalla seconda parte della conversazione, in cui Gheddafi si soffermava sulla sua politica e rispondeva alle accuse di appoggio al terrorismo che gli venivano rivolte. La prima parte riguardava invece la crisi degli ostaggi americani fatti prigionieri dagli iraniani nell’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran, perché il colonnello libico si era offerto all’epoca per un’opera di mediazione. Sulla base degli appunti di quello stesso incontro con Gheddafi, la Fallaci pubblicò un’altra intervista sul «Corriere» il 20 aprile 1986, poco dopo il bombardamento di Tripoli da parte americana

Colonnello, ho l'impressione che il suo odio per l'America e per gli ebrei sia in realtà odio per l'Occidente. Proprio come nel caso di Khomeini. Si rende conto che di questo passo si torna indietro di mille anni, si ricomincia con Saladino e le Crociate?
«Sì e la colpa è vostra: degli americani, dell'Occidente. Anche allora fu vostra, dell'Occidente. Siete sempre voi che ci massacrate. Ieri come oggi».

Ma chi vi massacra, oggi, dove?
«Fu la Libia a invadere l'Italia o fu l'Italia a invadere la Libia? Ci aggredite ora come allora. In altro modo, con altri sistemi e cioè sostenendo Israele, opponendovi all'unità araba e alle nostre rivoluzioni, guardando in cagnesco l'Islam, dandoci dei fanatici. Abbiamo avuto fin troppa pazienza con voi, abbiamo sopportato fin troppo a lungo le vostre provocazioni. Se non fossimo stati saggi, saremmo entrati mille volte in guerra con voi. Non l'abbiamo fatto perché pensiamo che l'uso della forza sia l'ultimo mezzo per sopravvivere e perché noi siamo sempre dalla parte della civiltà. Del resto, nel Medioevo, siamo stati noi a civilizzarvi. Eravate poveri barbari, creature primitive e selvagge...».

...e piangevamo invocando la luce della sua civiltà.
«Sì, la luce della nostra civiltà. La scienza di cui ora gioite è quella che vi abbiamo insegnato noi, la medicina con cui vi curate è quella che vi abbiamo dato noi. E così l'astronomia che sapete, e la matematica, la letteratura, l'arte...».

Davvero?!?
«Sì, perfino la vostra religione viene dall'Oriente. Cristo non era romano».

Era ebreo. Questa è una gaffe. Colonnello, che ne pensa delle Brigate rosse?
«Penso... penso che questi fenomeni dell'Occidente siano il risultato della società capitalistica, movimenti che esprimono il rifiuto di una società da abbattere. Questo sia che si chiamino Brigate rosse sia che si chiamino hippies o Beatles o Figli di Dio. E sebbene sia contro i sequestri di persona come contro il dirottamento degli aerei, non voglio interferire con quello che fanno».

Vedo. Ma non risponde all'accusa di aiutare le Brigate rosse.
«Si tratta di propaganda sionista, una propaganda che risale al periodo in cui il mondo non ci capiva ed eravamo ancora una repubblica. Ora siamo una Jamahiriya, cioè un congresso del popolo e...».

Ma che c'entra la Jamahiriya! Riformulo la domanda: Colonnello, da dove arrivano le armi sovietiche che puntualmente vengono trovate in possesso dei brigatisti e dei loro associati? Non sarà che una parte delle armi da lei fornite ai palestinesi si spostano altrove?
(Cercando le parole) «Ciò... ciò... ciò che lei dice non mi farà esitare un attimo dall'aiutare i palestinesi».

Colonnello, non cambi le carte in tavola per cortesia. E segua il mio ragionamento: supponiamo che lei, in buona fede, consegni le armi ai palestinesi i quali le forniscono di rimando alle Br...
«Non siamo responsabili dell'uso che può essere fatto delle armi che diamo ai palestinesi. Noi le diamo ai palestinesi perché crediamo nella loro causa e riteniamo doveroso aiutarli. Quel che succede dopo non mi riguarda. Se devo essere condannato indirettamente, preferisco le accuse dirette. Ma non ci sono prove».

Forse ci sono indizi. Eccone uno. Pochi giorni prima dell'assassinio di Moro lei offrì il suo intervento per salvargli la vita. Se non ha, non aveva contatti con le Brigate rosse, come poteva dirsi in grado di salvargli la vita?
«Dissi alle autorità italiane che se avevano bisogno di una cooperazione da parte nostra, noi eravamo pronti. Se fossimo stati in contatto con le Brigate rosse gli avremmo salvato senz'altro la vita perché Moro era nostro amico, era sostenitore della causa araba».

E va bene, passiamo a un altro argomento. Colonnello, ma come fa a essere così comprensivo coi terroristi, giudicarli fenomeno di una società da abbattere e poi mantenere ottimi rapporti con gli esponenti più rappresentativi di quella società da abbattere? A parte gli affari che fa con gli americani, pensi a quelli che fa con Gianni Agnelli.
«Gianni chi?».

Gianni Agnelli. Il presidente della Fiat.
«La Fiat? La mia azienda, my company!»

Sì, la sua azienda, la sua company. La Fiat. Agnelli.
«Non lo conosco».

Non conosce Agnelli, il suo socio?!?
«No, non è affar mio conoscerlo. È una faccenda che riguarda i miei funzionari, gli impiegati della mia banca. La Lybian Foreign Bank».

Davvero lei non sa chi è Agnelli, il suo socio?
«No, non lo so».

Mai visto la sua fotografia? Mai udito il suo nome?
«Mai. Non mi interessa, non mi riguarda. Ho altre cose da fare, io, che conoscere i nomi dei miei soci o della gente che appartiene al mondo delle banche».

Ma, a parte finanziare il terrorismo mondiale, che ne fa di tutti quei soldi che guadagna col petrolio?
«Ho già detto...».

Sì, ha già detto che l'accusa non è suffragata da prove. Quindi chiedo scusa e mi correggo: che ne fa di tutti quei soldi, a parte i miliardi che impiega alla Fiat e i terreni che compra e i regali a Malta?
«Noi non compriamo terreni, facciamo investimenti in certi Paesi attraverso la nostra banca estera. Investimenti commerciali. Quanto a Malta è un Paese amico perché è un Paese liberato e neutrale e quei soldi non li diamo al governo di Malta: li diamo al popolo di Malta affinché allarghi il campo della libertà e della neutralità. Del resto non siamo mica soltanto noi libici ad aiutare Malta. Tanti altri aiutano Malta».

E va bene, parliamo della rivoluzione. Ma cosa intende per rivoluzione? Come non mi stancherò mai di ricordare, anche Papadopulos parlava di rivoluzione. Anche Pinochet. Anche Mussolini.
«La rivoluzione è quando le masse fanno la rivoluzione. La rivoluzione popolare. Ma anche se la rivoluzione la fanno gli altri a nome delle masse esprimendo ciò che vogliono le masse, può essere rivoluzione. Popolare perché ha l'appoggio delle masse e interpreta la volontà delle masse».

Ma quello che avvenne in Libia nel settembre del 1969 non fu mica una rivoluzione: fu un colpo di Stato. Sì o no?
«Sì, però dopo divenne rivoluzione. Io ho fatto il colpo di Stato e i lavoratori hanno fatto la rivoluzione: occupando le fabbriche, diventando soci anziché salariati, eliminando l'amministrazione monarchica e formando i comitati popolari, insomma liberandosi da soli. E lo stesso hanno fatto gli studenti, sicché oggi in Libia conta il popolo e basta».

Davvero? Allora perché ovunque posi gli occhi vedo soltanto il suo ritratto, la sua fotografia?
«Io che c'entro? È il popolo che vuole così. Io che posso fare per impedirglielo?».

Beh, proibisce tante cose, non fa che proibire, figuriamoci se non può proibire questo culto della sua persona. Per esempio, questo inneggiarla ogni momento alla televisione.
«Io che posso farci?».

Nulla. È che da bambina vedevo la stessa roba per Mussolini.
«Ha detto la medesima cosa a Khomeini».

È vero. Ricorro sempre a quel paragone quando intervisto qualcuno che mi ricorda Mussolini.
«Gli ha detto che le masse sostenevano anche Mussolini e Hitler».

È vero.
«Si tratta di un'accusa essenziale. E richiede una risposta essenziale. Questa: lei non capisce la differenza che c'è tra me e loro, tra Khomeini e loro. Hitler e Mussolini sfruttavano l'appoggio delle masse per governare il popolo, noi rivoluzionari invece beneficiamo dell'appoggio delle masse per aiutare il popolo a diventar capace di governarsi da solo.
«Io in particolare non faccio che appellarmi alle masse perché si governino da sole. Dico al mio popolo: "Se mi amate, ascoltatemi. E governatevi da soli". Per questo mi amano: perché, al contrario di Hitler che diceva farò-tutto-per-voi, io dico fate-le-cose-da voi».

Colonnello, visto che non si considera un dittatore, nemmeno un presidente, nemmeno un ministro, mi spieghi: ma lei che incarico ha? Che cos'è?
«Sono il leader della rivoluzione. Ah, come si vede che non ha letto il mio Libro Verde!».

Sì che l'ho letto, invece! Non ci vuole mica tanto. Un quarto d'ora al massimo: è così piccino. Il mio portacipria è più grande del suo libretto verde.
«Lei parla come Sadat. Lui dice che sta sul palmo di una mano».

Ci sta. Dica: e quanto ci ha messo a scriverlo?
«Molti anni. Prima di trovare la soluzione definitiva ho dovuto meditare molto sulla storia dell'umanità, sui conflitti del passato e del presente».

Davvero? E com'è giunto alla conclusione che la democrazia è un sistema dittatoriale, il Parlamento è un'impostura, le elezioni un imbroglio? Vi sono cose che non mi tornano in quel libriccino.
«Perché non lo ha studiato bene, non ha cercato di capire cos'è la Jamahiriya. Lei deve sistemarsi qui in Libia e studiare come funziona un Paese dove non c'è governo né Parlamento né rappresentanza né scioperi e tutto è Jamahiriya».

Che vuol dire?
«Comando del popolo, congresso del popolo. Lei è proprio ignorante».

E l'opposizione dov'è?
«Che opposizione? Che c'entra l'opposizione? Quando tutti fanno parte del congresso del popolo, che bisogno c'è dell'opposizione? Opposizione a cosa? L'opposizione si fa al governo! Se il governo scompare e il popolo si governa da solo, a chi deve opporsi: a quello che non c'è?».

Oriana Fallaci

martedì 15 febbraio 2011

CAMPAGNA TESSERAMENTO 2011



“DESTRA IN MOVIMENTO – POLITICA E CULTURA”

Il giorno 13 novembre 2009 presso la sede sociale in Verona – VICOLO CIECO PARIGINO 13 (già sede dell’associazione “L’Officina” si è costituita con il voto unanime del direttivo l’Associazione“DESTRA IN MOVIMENTO – CULTURA E POLITICA”.
Nata dall’iniziativa del suo Presidente Angelo “detto Lino” ADAMO. L’associazione ha nei suoi scopi primari, come recita un passo importante del suo Statuto :“ La Discussione delle tematiche politiche e culturali che riguardano il cittadino finalizzate ad un impulso della partecipazione dei cittadini alla vita politica attiva, favorendo l’aggregazione e il confronto per l’ampliamento degli spazi democratici. Approfondire le tematiche della cultura politica, il tutto attraverso l’affermazione dei principi di democrazia, libertà, eguaglianza, rispetto delle leggi, identità nazionale e cristianità dello Stato. Rinnovare la Destra italiana attraverso convegni, dibattiti, aperti a tutti i cittadini nonché attraverso il confronto con associazioni, movimenti, centri studi, partiti politici, nonché tutti quei soggetti sia di rilievo locale che nazionale ed internazionale, interessati ad approfondire questi aspetti culturali. L’associazione riconosce altresì l’esigenza di mettere al centro la persona, i suoi diritti, la difesa delle libertà individuali e collettive nel rispetto delle leggi e delle normative in vigore.
Altresì Tutte le attività non conformi agli scopi meramente culturali sono espressamente vietate.
Le attività dell'associazione e le sue finalità sono ispirate a principi di pari opportunità tra uomini e donne e rispettose dei diritti inviolabili della persona.”
I membri del Direttivo, nonché soci fondatori dell’Associazione, sono:
• Lino Adamo – Presidente
• Davide Rossignoli Vicepresidente e addetto stampa
• Daniele Tacchini; - Vicepresident
• Ivan Gioffrè - Politiche Giovanili
• Michele Cannavò - Politiche Giovanili
• Elena Ferlini - Politiche Giovanili
• Gianpaolo Rossignoli; - Consigliere
• Margherita Fiore…… - Tesoriere
• Giuseppe cottone - Tesoriere
La campagna di tesseramento 2011 per “ Destra in movimento – Cultura e Politica” è già iniziata.
Chi fosse interessato al progetto, chi volesse iscriversi e dare il suo contributo umano all’Associazione può contattare il referente di zona :
al num. o all’indirizzo mail: Lino_adamo@yahoo.it

giovedì 3 febbraio 2011

La sinistra radicale osteggia la citazione del santo di Assisi e di San Benedetto da Norcia nella "costituzione" regionale.


La mossa dei Comunisti: San Francesco bandito dallo statuto dell'Umbria
di Gian Maria De Francesco

Il Pdl promette battaglia

Roma - La deriva laicista e anticlericale non ha osteggiato solamente il riferimento alle radici giudaico-cristiane nella Costituzione Ue. Anche in Italia, e più precisamente in Umbria, il pregiudizio verso la religione cattolica gioca brutti scherzi.
E pensare che una volta tanto un'iniziativa bipartisan avrebbe potuto avere successo. Il vescovo di Terni e presidente della Conferenza episcopale umbra, monsignor Vincenzo Paglia (che è anche presidente della Commissione Cei per l'ecumenismo) aveva sollecitato all'inizio dell'anno, in vista della prossima visita di papa Benedetto XVI ad Assisi, l'inserimento nello Statuto dell'Umbria di un riferimento ai due importantissimi santi locali, il patrono d'Italia Francesco d'Assisi e Benedetto da Norcia.
Il governatore, la democratica Catiuscia Marini, aveva raccolto l'appello considerato che l'ente da lei presieduto sta lavorando a una revisione della carta istituzionale. Ovvio l'appoggio dell'opposizione rappresentata dal Pdl e dall'Udc. Ma lo scorso 25 gennaio il gruppo comunista e quello socialista hanno imposto alla commissione consiliare per la revisione dello Statuto uno stop ai lavori di 90 giorni. Formalmente è stata chiesta una «pausa di riflessione». In pratica, Rifondazione e Psi hanno minacciato gravi conseguenze per la maggioranza se i nomi dei due santi verranno inseriti nello Statuto. Una minaccia bella e buona nel nome della retorica stantia sulla laicità delle istituzioni.
A prescindere dal ruolo fondamentale dei due santi umbri nella storia della Chiesa, infatti, Francesco e Benedetto rappresentano due architravi della contemporaneità. Entrambi sono stati propulsori di una forte spinta innovativa riportando la Chiesa, «distratta» dalla ferma opposizione alle ingerenze dell'Impero, al suo compito originario di guida spirituale. Tant'è vero che anche Federico II di Svevia, il più moderno dei sovrani medioevali fu influenzato profondamente dalla figura di Francesco e l'apertura dell'imperatore alla cultura ebraica e a quella islamica furono certamente incoraggiate dall'esempio di tolleranza portagli dall'Assisiate.
Le stesse considerazioni valgono per Benedetto da Norcia, artefice di quel rinnovamento spirituale attraverso il monachesimo. A queste si aggiungono quelle di aver di fatto preservato nei secoli la cultura classica attraverso il lavoro degli amanuensi nei monasteri.
La cecità politica, purtroppo, impedisce di considerare serenamente anche l'evidenza. «Sono amareggiato», ha commentato con tristezza monsignor Paglia qualche giorno fa.
Ma non tutto è perduto perché il gruppo del Pdl alla Regione Umbria si è attivato per superare l'impasse. Con due mosse strategiche. La prima è l'invio a tutti i rappresentanti nei gruppi consiliari comunali e provinciali umbri di un ordine del giorno sulla questione. Il secondo è una mobilitazione con gazebo in tutte le piazze umbre per chiedere ai cittadini di esprimersi sull'opportunità di inserire il riferimento ai due santi nello Statuto. L'obiettivo è chiaro: mettere in imbarazzo il Pd che per cementare la sua traballante maggioranza ha accettato un compromesso al ribasso sui valori.

mercoledì 2 febbraio 2011

Riscrivere il Risorgimento

Sabato 12 febbraio a L'Officina, in vicolo Parigino 8, alle ore 11, presenteremo il libro della professoressa Pellicciari.
Il libro ci invita a ripensare e riscrivere il risorgimento.
E' una operazione importante. Lo dice anche Berlusconi, guardate il suo messaggio video:

http://www.youtube.com/watch?v=olYEP4Herms