sabato 20 novembre 2010

Carfagna verso dimissioni e addio al Pdl

Berlusconi: hai ragione, aspetta che torni
La lunga telefonata del premier appena giunto a Lisbona
Bossi: fiducia o no, Berlusconi si dimetta



ROMA (19 novembre) - Il premier Silvio Berlusconi pensa a un nuovo partito, «il "predellino-bis"», lo definisce il quotidiano di famiglia, il Giornale, che rivela le intenzioni del presidente del Consiglio. Hanno paura del voto, dice intanto il leader della Lega, Umberto Bossi che consiglia al premier di dimettersi anche se incasserà la fiducia. Intanto il ministro Mara Carfagna sembra avviato verso le dimissioni da governo e Pdl.

Carfagna verso le dimissioni. Il ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna è sul punto di dimettersi dal governo e dal Pdl. La Carfagna starebbe valutando l'ipotesi di lasciare l'esecutivo e il partito, all'indomani della votazione di fiducia al governo prevista per il 14 dicembre, a causa di insanabili contrasti con i vertici campani del partito e per «l'incapacità» dei coordinatori nazionali del Pdl di affrontare i problemi interni al partito in Campania. A quanto si apprende, alla base della scelta anche «gli attacchi volgari e maligni» di esponenti del partito come Giancarlo Lehner, Alessandra Mussolini e Mario Pepe.

«Mara hai ragione. Su tutto. Io non voglio assolutamente che tu faccia passi indietro. Aspetta che io ritorni, cerca di capire che questo è un momento delicatissimo e complicato. Sistemiamo tutto». Silvio Berlusconi ce l'ha messa tutta, appena atterrato a Lisbona per il vertice Nato, per convincere Mara Carfagna a non fare passi precipitosi, a non dare corso all'intenzione di uscire dal governo e dal Pdl, subito dopo i voti sulla fiducia al governo del 14 dicembre. È stato a lungo al telefono il premier, con il ministro e con diverse altre persone, mentre un nubifragio si abbatteva sulla capitale portoghese e l'aereo della Repubblica Italiana, atterrato in perfetto orario rispetto allo slot, restava fermo sulla pista, lontano dalla scaletta con il tappeto rosso per la discesa.

Bagnasco: senza vita retta non c'è politica efficace. Non ci può essere una «politica efficace» senza un «vivere retto sia dei cittadini che dei loro rappresentanti». E se si smarrisce «la verità», «allo Stato non resta che affidarsi alle convinzioni che si rispecchiano nel consenso democratico». È uno dei passaggi centrali dell'intervento del presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, in occasione delle giornate di formazione promosse dall'intergruppo parlamentare della Camera e del Senato sul tema "Per vincere domani. Famiglia e lavoro al tempo della sussidiarieta".

Bossi: «Berlusconi faccia come Fanfani si dimetta anche se avrà la fiducia». Meglio andare alle elezioni, qualunque sia l'esito del voto previsto per metà dicembre, ribadisce Bossi, che spiega: «una volta Fanfani ebbe la fiducia e poi si dimise. Io la penso così, mancano i numeri, tutte le volte devi andare a chiedere i numeri». Perché il premier non si convince a seguire questa strada? «Berlusconi - risponde il senatur - è combattivo sempre, anche quando il combattimento prevede eventualmente la ritirata, non è una parola nel suo lessico, attacca sempre». «Se Berlusconi è saggio, va al voto e ritorna: prenderebbe un sacco di voti in più», dice ancora Bossi.

Bossi: hanno paura del voto. «Penso di sì, ma non è l'unico, c'è anche la sinistra». Così il leader della Lega, Umberto Bossi, replica ai cronisti che gli chiedono se a suo avviso Gianfranco Fini tema il voto.

Il Governo avrà la fiducia sia alla Camera che al Senato il 14 dicembre? «Penso di sì», dice poi Bossi. E in caso questo non avvenisse, secondo Bossi, la via maestra è sempre quella del «voto». «Da parte nostra no». Così il leader della Lega risponde poi ai cronisti che gli chiedono se, a suo avviso, sia in atto una compravendita dei parlamentari. E da parte del Pdl? «Spero di no. Berlusconi non è capace di comprare la gente».

Bossi poi risponde facendo le corna alla domanda dei giornalisti sulla possibilità di un governo tecnico, quindi aggiunge che se Giorgio Napolitano lo facesse «provocherebbe una reazione del Paese troppo forte» e sottolinea: «Il presidente della Repubblica è saggio. La speranza di Fini è quella del governo tecnico, ma non avverrà, non è possibile».

La Lega starà con Berlusconi fino a quando non saranno fatte le riforme, continua il leader della Lega.
Fino a quando la Lega seguirà Berlusconi, visto che il premier finora non ha ascoltato il suggerimento di andare al voto? «Fino a quando non abbiamo fatto le riforme», risponde Bossi. Quindi il voto anticipato potrebbe tenersi a marzo o addirittura a gennaio? «Vediamo quando saranno fatte le riforme», è la replica del ministro.

«E Berlusconi prepara il 'predellino-bis': Silvio fa un altro partito», è il titolo del pezzo del Giornale di oggi dedicato al nuovo predellino del premier, con riferimento al discorso fatto dal Cavaliere in piazza San Babila a Milano dal predellino della sua Audi in cui annunciò la nascita del Pdl. Il quotidiano poi afferma: in vista delle elezioni il premier avrebbe già «incaricato una società di marketing di disegnare un nuovo logo e un nuovo nome per il sempre più probabile ex Pdl». La decisione di «rottamare» il Popolo della libertà (nome che per il premier avrebbe «perso appeal» e inoltre non sarebbe «immediato e d'impatto»), sarebbe stata dettata dalla necessità di «dare una svolta anche d'immagine al partito e di recuperare lo spirito del '94 quando in pochi mesi scese in campo con Forza Italia e sbaragliò la gioiosa macchina da guerra delle sinistre guidate da Occhetto».

Quello che serve ora, per Berlusconi, è uno slogan nuovo di zecca che abbia una portata "rivoluzionaria" come fu con Forza Italia, «e non è del tutto escluso - scrive Francesco Cramer - che la formula Forza Italia venga in qualche modo riesumata». «Il cambio in corsa - si osserva - serve anche a escludere eventuali pretese dei finiani dopo l'uscita dal partito». Quindi «meglio tagliare la testa al toro e creare una nuova 'cosà». E per questa "missione impossibile" sarebbero «già in azione Claudio Scajola e Daniela Santanchè».

I finiani: nessuna "marcia indietro", semmai un appello a chi crede nel progetto di Futuro e libertà. «Io non faccio il Gran Premio, siamo al pit stop. Sono qui per parlare di altre cose», ha detto oggi il presidente della Camera Gianfranco Fini ha risposto a chi gli chiedeva dello "stop and go" del governo. Più chiaro invece il vicecapogruppo dei finiani alla Camera, Benedetto della Vedova, spiega così il senso delvideomessaggio di ieri di Gianfranco Fini, che aveva chiamato tutti al senso di responsabilità, premier in testa, e ad alcuni era parsa una sorta di "frenata". Della Vedova precisa che si è scelto di rinviare di un mese «l'appuntamento della chiarezza», e quindi «anche noi ora vediamo che succede».

Dal Pdl il capogruppo Fabrizio Cicchitto chiede ai finiani di dire che cosa vogliono fare, decidendo con chi stare. Secondo Cicchitto, il Pdl si è ricompattato, e sono anche falliti tentativi di intesa fatti da sinistra per attrarre la Lega, che resta un'alleata. In ogni caso, se il governo dovesse cadere secondo Cicchitto la via naturale sarebbero le elezioni anticipate.

martedì 16 novembre 2010

Lei mi ricorda Togliatti. Il comunista più odioso che abbia mai conosciuto.


Non a caso quelli della sinistra la trattano con tanto rispetto, anzi con tanta deferenza, su di lei non rovesciano mai il velenoso livore che rovesciano sul Cavaliere,contro di lei non pronunciano mai una parola sgarbata, a lei non rivolgono mai la benchè minima accusa. Come Togliatti è capace di tutto. Come Togliatti è un gelido calcolatore e non fai mai nulla, non dice mai nulla, che non abbia ben soppesato per sua convenienza. Dirige un partito che si definisce di destra e gioca a tennis con la sinistra. Fa il vice di Berlusconi e non vuole altro che detronizzarlo, mandarlo in pensione.



(Oriana Fallaci su Gianfranco Fini)

giovedì 11 novembre 2010

DOMUS AUREA,ROMA. QUEL CROLLO DELLE MURA AURELIANE (VELTRONI SINDACO, RUTELLI MINISTRO)



Roma - Il crollo della Domus dei Gladiatori a Pompei è l’ultima ferita subita dal patrimonio archeologico italiano. A Roma è ancora vivo il ricordo del cedimento alla Domus Aurea del marzo scorso, che riguardò una galleria che portava alla Terme Traianee. Ma, andando indietro nel tempo, il problema dei crolli ha riguardato anche le mura Aureliane, colpite ripetutamente in più punti. I casi più gravi sono stati quelli del 2001 e del 2007. Ad aprile del 2001, durante il commissariamento in Campidoglio di Enzo Mosino, si è verificato il crollo di una ventina di metri dell’antichissima cinta muraria, in via di Porta Ardeatina.

Un cedimento provocato dalle infiltrazioni di acqua piovana, nonostante nel 1999 il Comune, guidato allora da Francesco Rutelli, avesse speso circa 30 miliardi delle vecchie lire (fondi per il Giubileo) per restaurare lo stesso tratto. Un nuovo crollo si è verificato il primo novembre del 2007, quando si è sbriciolato un tratto di mura alto 10 metri e largo 15 lungo viale Pretoriano, nei pressi della Caritas, nel quartiere San Lorenzo. E ancora una volta una concausa fu individuata nelle forti piogge e nelle relative infiltrazioni d’acqua nell’antichissima struttura, mai rinforzata a dovere. Eppure, in quell’occasione il sindaco della Capitale Walter Veltroni, che nel primo governo Prodi dal ’96 al ’98 è stato responsabile dei Beni culturali, non ha chiesto le dimissioni del ministro Francesco Rutelli, che gli aveva lasciato il testimone alla guida della città. Cosa che non ha però esitato a fare per il ministro Sandro Bondi.



Il Velino

Veneziani: l’Italia ai piedi di Casini, il jolly anti-crisi




«All’armi son sfascisti», ironizza Marcello Veneziani all’indomani dell’ultimatum di Fini al Cavaliere: «La fanteria del Partito democratico, le truppe terrestri di Di Pietro, i siluratori subacquei di Fini, la flottiglia aerea dei pm, più i carri armati dei poteri forti». Tutti uniti da «un solo desiderio», e cioè «sfasciare Berlusconi e il suo governo», senza «un vero progetto comune» ma, a ben vedere, con un jolly buono per tutti: Pierferdinando Casini. Lo suggerisce il Fini «inacidito» di Perugia, a cui «fa eco un Bersani travestito da magazziniere delle Coop, con le maniche rimboccate come esige il copione della fiction di partito».
La “mattanza”, scrive Veneziani sul “Giornale” di Vittorio Feltri, è fissata prima di Natale, l’11 dicembre. «Ormai non ci sono più spazi di dialogo, eccetto uno», ovvero il «santino miracoloso» di Casini, che mette d’accordo «governativi e sfascisti», Berlusconi, Fini e Bersani, poteri forti e stampa. Berlusconi e Fini, ormai agli antipodi, arrivano alla stessa conclusione: per uscire dalla crisi ci vuole Casini. «Ma che avrà di così miracoloso questo Pierferdinando?». La sua collocazione strategica di ex-Dc «lo rende assai appetibile e prezioso per tutti». Da un lato, «basterebbe a Berlusconi per governare»; dall’altro, «darebbe qualche margine d’azione a Fini, a Bersani, a Montezemolo, a Rutelli».

Senza citarlo, anche il guru del Censis De Rita lo ha invocto dalle colonne del “Corriere della Sera” a guidare una coalizione di colombe, e persino il falco Maurizio Belpietro – aggiunge Veneziani – lo suggerisce a Berlusconi come suo successore. Lui, il ragazzo della provvidenza devoto alla Madonna di San Luca, che «fece le scuole elementari da Forlani, poi le medie da Berlusca che lo nominò capoclasse alla Camera, ma andò nel frattempo a lezioni private dai Caltagirone», dopo essersi scelto «per i lavori ingrati» Lorenzo Cesa e «come cappellano don Rocco Buttiglione». Senza aver fatto «nulla di significativo», ora è diventato il centro dell’universo politico italiano, il sole del sistema planetario dei partiti. «Per nessuno Casini è il Nemico o il Male, ma per tutti o per tanti è il Ripiego».

«Come Fini, anche lui è un politico di professione», continua Veneziani, «però è più accorto e meno astioso di Fini, fa i matrimoni giusti e non ha mai rinnegato le sue origini. E non ha mai tradito Berlusconi ma lo ha lasciato quando erano all’opposizione». Insomma, Casini «non si è mai sfilato dalla maggioranza» e, quando diventò presidente della Camera, «non mise in ginocchio il governo». Così l’Italia «è finita ai piedi di Casini», chiosa malinconicamente Veneziani, perplesso dallo strano destino dell’«Unico Democristiano Corteggiato, in sigla Udc»

I finiani: non si è risolto nulla. Bersani: «governo di transizione anche con Fli e Lega»




Sul reincarico è caos nella maggioranza
Berlusconi «Non mi dimetto, la sfiducia va votata in Parlamento» (7 novembre 2010)


Berlusconi resiste: «Fini mi sfiduci»
Sul reincarico è caos nella maggioranza

Il Pdl: «Avanti così o voto, no a un nuovo premier» Bossi: «Resto fedele a Silvio, mai con l'Udc»


L'arrivo di Bossi a Montecitorio per l'incontro con Fini (Lapresse)
MILANO - Il premier Silvio Berlusconi non ha alcuna intenzione di dare le dimissioni. Se Gianfranco Fini vorrà, potrà sfiduciarlo in Aula, alla luce del sole e davanti agli italiani. È questa la linea decisa a caldo dal presidente del Consiglio, in queste ore a Seul per il G20. Una presa di posizione emersa dopo diversi contatti telefonici tra il capo del governo e i dirigenti del suo partito, seguiti al faccia a faccia tra il presidente della Camera e Umberto Bossi. Berlusconi, insomma, sembra essere rimasto «al momento» sulle posizioni di qualche giorno fa: non ci sono alternative all'attuale esecutivo e quindi niente crisi pilotata e niente governo bis. A Berlusconi fanno eco i vertici del Pdl che, in una nota, fanno sapere di ritenere «inaccettabile» che la legislatura prosegua con un differente premier e un differente governo. «Andare avanti, senza escludere l’allargamento» della maggioranza, è, alla fine, la soluzione proposta dal Popolo delle Libertà e riferita da Ignazio La Russa.

L'ESECUTIVO BIS, FLI E LA LEGA - L'ipotesi di un reincarico al premier, emersa al termine dell'incontro tra il presidente della Camera e il leader della Lega, agita comunque le acque della maggioranza. «Lo spazio c'è ancora per non andare a una crisi al buio» ha detto Bossi lasciando la Camera, dove si è riunito con i principali esponenti del Carroccio al termine del vertice con Fini. «Molto meglio una crisi pilotata - ha aggiunto il Senatùr - che una crisi al buio». La Lega, pur ribadendo la fedeltà al presidente del Consiglio, è in sostanza aperta all'ipotesi di un reincarico a Berlusconi, a patto che lui sia d'accordo e che la porta all'Udc resti chiusa («può andare al mare...» è la considerazione di Bossi). Su un reincarico al Cavaliere il numero uno del Carroccio è apparso possibilista («le altre volte è avvenuto cosi, è andato dal presidente della Repubblica per avere il reincarico»), lasciando inoltre trapelare un sostanziale appoggio di Fini a questa soluzione. In realtà, le posizioni espresse dal presidente della Camera e dai suoi non sono esattamente in linea con quanto riferito da Bossi. «Le cose sono molto più complicate di come le presenta Bossi» ha detto lo stesso Fini commentando le dichiarazioni della Lega. Il leader Fli ha lasciato intendere di voler mantenere salde le convinzioni già espresse a Bastia Umbra: condicio sine qua non per una fase nuova sono le dimissioni del premier. A chiarire il concetto ci ha pensato il capogruppo dei futuristi alla Camera Italo Bocchino: «Fini ha chiesto le dimissioni di Berlusconi, altrimenti noi usciremo dal governo. Queste due cose sono certe, per tutto il resto aspettiamo che Berlusconi decida se dimettersi o meno» ha spiegato.

IL RILANCIO DI BERSANI - Il tentativo di Bossi di ricucire i rapporti tra i finiani e il resto della maggioranza non sembra dunque essere andato a buon fine. Tanto che il leader del Pd Pier Luigi Bersani ha azzardato l'ipotesi di un governo di transizione anche con Fli e Lega. Per il segretario dei democratici serve «un governo di transizione perché - spiega - vogliamo una ripartenza, non una nuova palude, perciò il tratto evidente dovrà essere la discontinuità».



I FINIANI: «NIENTE PASSI AVANTI» - Che non ci siano stati passi avanti concreti lo hanno confermato anche i commenti di alcuni esponenti finiani. Il vicecapogruppo Giorgio Conte ha dichiarato che «non si è risolto nulla». Fabio Granata, dai microfoni di Cnrmedia, è invece convinto che «si apre una fase piena di incognite per la politica italiana». I finiani hanno deciso di aspettare il rientro di Berlusconi da Seul prima di formalizzare la loro uscita dal governo, annunciata proprio dalla convention in Umbria. Nessun commento invece dal fronte leghista.

«INUTILE TRACCHEGGIARE» - Qualunque cosa si siano detti Bossi e Fini, per il Pd la crisi è comunque conclamata. «Qualsiasi incontro sposta di poco la situazione che è quella che è, chi la nega, chi traccheggia, fa un danno al Paese» ha detto Bersani. A chi gli ha riferito che, all'uscita dell'incontro, Roberto Maroni ha spiegato di non aver nulla da dire, il leader dei democratici ha risposto: «Se non ha nulla da dire lui... io resto convinto che non possiamo stare all'increspature. Seguo con relativo interesse questi abboccamenti, la crisi è conclamata, noi faremo anche le iniziative parlamentari necessarie, ma adesso basta».

giovedì 4 novembre 2010

Berlusconi è pronto a fondare un nuovo partito



di Adalberto Signore

La tentazione del presidente del Consiglio: recuperare lo spirito di Forza Italia del ’94 e cambiare nome e simbolo. Un "ufficio politico" affiancherebbe i tre coordinatori del partito. Il rischio dell'ostruzionismo da parte di Futuro e libertà. Il Cav: non darò pretesti polemici a Fini

Roma - «Del Pdl c’è rimasto solo il nome, sarebbe bene cambiare anche quello...». La battuta Berlusconi se l’è lasciata sfuggire qualche settimana fa, nei giorni di maggior tensione con Fini e quando le elezioni anticipate sembravano ad un passo. Non solo perché, questa la sua convinzione, «Po-po-lo-del-la-li-ber-tà ha un impatto mediatico piuttosto deludente e neanche lontanamente paragonabile alla più immediata Forza Italia» ma anche per rilanciare l’azione del partito e «recuperare lo spirito del ’94». D’altra parte, è proprio in quest’ottica che il Cavaliere continua a spingere l’acceleratore sui Team della libertà e sui Tea party, progetti di cui si stanno occupando Verdini e Santanché. Insomma, fosse per Berlusconi - lo ha ripetuto più volte nelle conversazioni degli ultimi giorni tra Arcore e Roma - la soluzione ideale sarebbe quella di tornare a quel Forza Italia che segnò la sua discesa. Una strada evidentemente non percorribile, perché anche il premier sa bene che gli ex An lo vivrebbero (giustamente) come un affronto.
La questione, però, è all’ordine del giorno. Al punto che c’è chi sostiene che Euromedia Research della Ghisleri si stia già occupando della pratica. Un nuovo nome, infatti, allo stato ancora non c’è. E le ipotesi che di tanto in tanto gli hanno buttato lì confidenti e collaboratori non sembrano aver convinto il Cavaliere. Di certo, non Forza Silvio che lo stesso Berlusconi ha definito «troppo autocelebrativo». Mentre pare che sia stato più cauto nel giudizio su Avanti Italia. Si vedrà, anche perché un cosa è la tentazione di cambiare nome una cosa è farlo davvero. Le intenzioni però ci sono tutte, tanto che il premier ha spiegato in diverse occasioni che il restyling dovrà passare pure per un nuovo simbolo. E chissà che sulla decisione non pesino anche alcuni delicati aspetti legali, visto che quello del Pdl è stato depositato davanti al notaio con le firme di Berlusconi e Fini. Insomma, nel caso di elezioni anticipate è possibile che il Fli tenti le vie legali per impedire al Pdl di presentarsi. E anche se alla fine il Cavaliere dovesse avere la ragione dalla sua - come sostengono i suoi legali - un’intervento dei Tar nella fase di presentazione delle liste sarebbe comunque un problema non di poco conto. Un rinnovamento non solo estetico se sul tavolo c’è anche l’ipotesi (concreta) di una sorta di partito «ombra»: la creazione di un ufficio politico con quattro-cinque componenti che si affianchi ai tre coordinatori Verdini, La Russa e Bondi e che si concentri sulla fase movimentista e su un’eventuale campagna elettorale. E già circola qualche nome, da Lupi alla Carfagna passando per la Santanché.
D’altra parte, che la strada battuta dal Cavaliere vada in questa direzione lo testimoniano anche le riunioni di ieri a Palazzo Grazioli. Dove con coordinatori, capigruppo e ministri si discute lungamente di come dovrà essere impostata la Direzione nazionale del Pdl in programma oggi. Con Berlusconi che non lascia dubbi: non voglio polemiche né un dibattito sullo stato del partito, ora abbiamo questioni più urgenti. Al centro della Direzione, dunque, ci sarà l’azione di governo. Anche se l’intervento del premier - che dovrebbe aprire la riunione - non sarà solo sui cinque punti programmatici. L’intenzione, infatti, è quella di allargarlo al decreto Tremonti sullo sviluppo e al Programma nazionale di riforma per Europa 2020 (su lavoro, formazione e sviluppo) che l’Italia deve presentare a Bruxelles entro il 12 novembre (se ne stanno occupando Tremonti, Ronchi e Frattini). Un discorso che potrebbe diventare una sorta di documento programmatico da usare come base di confronto quando si riuniranno le assemblee elettive dei nuovi coordinatori regionali e provinciali. Questione che però oggi non sarà affrontata e che è stata rinviata ad una Direzione che dovrebbe tenersi fra 15 giorni.
Quello del Cavaliere, assicura dunque Bonaiuti, non sarà un discorso di rottura. Ma un appello alla coesione. «Se qualcuno vuole strappare», spiega ai suoi il premier, «se ne deve assumere le responsabilità». Il cerino torna quindi a Fini. Anche se Berlusconi crede poco alla minaccia dell’appoggio esterno che, anche si concretizzasse, difficilmente porterebbe subito alla crisi visto che la via delle elezioni anticipate è decisamente più percorribile da gennaio. Un’ipotesi che il Cavaliere non scarta, altrimenti non si spiegherebbe la tentazione di rifondare il Pdl dalle fondamenta.