lunedì 24 maggio 2010

LE CASE DELLA " CRICCA" ECCO LA MAPPA



Abbiamo ricostruito il vorticoso giro di abitazioni che ruotano intorno all'imprenditore Anemone, al centro dell'inchiesta sugli appalti. Nome per nome gli inquilini della città dei privilegi. Dai generali Gdf ai vertici di Polizia e servizi segreti fino al presidente di Trenitalia. In affitto da Propaganda Fide vertici di Agenzie e Authority e giornalisti televisivi


Roma - Camere con vista. Quasi sempre a Roma, ovviamente in centro, possibilmente gratis: astenersi gente comune. Ci sono le case comprate con gli assegni dell’architetto di Diego Anemone, Angelo Zampolini; quelle in cui hanno messo piede e attrezzi le squadre di operai alle dipendenze di Anemone; quelle legate alla congregazione di Propaganda Fide di cui Angelo Balducci era consultore; gli alloggi «istituzionali» messi in sicurezza dall’imprenditore romano. Seguendo questi elenchi si può disegnare una mappa degli «appartamenti blu». Premettendo che non tutti gli indirizzi nascondono illeciti o misteri. Sulla «lista Anemone», per esempio, gli inquirenti sono ancora al lavoro. E molti di coloro che sono usciti allo scoperto, ammettendo di aver commissionato i lavori all’imprenditore da poco scarcerato, assicurano comunque di aver pagato tutto regolarmente, e di tasca propria. Di certo, tra le migliaia e migliaia di pagine di atti giudiziari dell’inchiesta sugli appalti di G8 e grandi eventi, emerge una mappa di residenze comunque privilegiate.


Mappa che non può non cominciare dalla casa che ha innescato le dimissioni del ministro Claudio Scajola, nella centralissima via del Fagutale, a Roma, pochi metri dal Colosseo. Palazzo moderno, comprato nel 2004 con l’aiuto di quei 900mila euro in assegni circolari emessi da Zampolini. Per restare al gruppo di case individuato dalla finanza per conto dei pm perugini inseguendo gli assegni di «Zampo», non troppo distante, in via Merulana e in una traversa di quest’ultima, via Poliziano, ecco i due appartamenti (rispettivamente 5 e 7,5 vani) del generale della finanza, distaccato all’Aisi, Francesco Pittorru. Altro quadrante, ma sempre nel centro di Roma, per arrivare alla casa di Alberto Donati, genero del manager delle Infrastrutture Ercole Incalza, in via Emanuele Gianturco, a due passi da piazza del Popolo, sempre comprato con il contributo degli assegni circolari di Zampolini. Che hanno «collaborato» pure all’acquisto di uno degli appartamenti riferibili alla famiglia Balducci. Quello di Filippo Balducci, figlio di Angelo, in via dei Cartari, una traversa di Corso Vittorio Emanuele II, nel cuore del centro storico capitolino. Ma quella delle proprietà immobiliari dei Balducci è una mappa a parte.

Appena fuori dalle mura Aureliane la casa di residenza di Angelo Balducci, 23 vani in via delle Mura Latine, intestati alla moglie Rosanna. Ad Angelo sono intestate due case lì accanto, in via Latina, e una terza in via dei Colli della Farnesina. Filippo, oltre alla casa di via dei Cartari ha altri tre appartamenti. Quattro immobili anche l’altro figlio Lorenzo, di cui uno in via della Pigna attenzionato dagli inquirenti. A entrambi i coniugi sono intestati due immobili e una villa a Montepulciano (che emerge dalle intercettazioni perché la moglie richiede interventi di manutenzione ad Anemone), e Balducci possiede anche una casa a San Giorgio di Pesaro e una a Sappada, nelle Dolomiti.


Torniamo a Roma, pieno centro, due passi da via della Scrofa, dove la lista di Anemone segna l’indirizzo di una società, la Fin Posillipo. Poco lontano, in vicolo della Campana, ecco la casa del professor Adalberto Thau, cugino della moglie di Balducci, anche lui «annotato» dall’imprenditore. Allo stesso portone c’è anche casa di Antonio Marano, vicedirettore generale della Rai.


Detto che il parlamentare dell’Idv Stefano Pedica aveva scelto l’elegante quartiere Prati, dall’altro lato del Tevere, quando nel 2007 si trasferì in via Paolo Emilio, dove Anemone lavorò per ristrutturare e annotò nel celebre elenco (Pedica ha poi cambiato casa da un annetto), possiamo spostarci verso San Pietro e arrivare in via della Conciliazione. Qui ha casa il commissario Agcom Giancarlo Innocenzi, sempre qui abita il presidente dell’Enac Vito Riggio, entrambi in affitto da Propaganda Fide. Il centro storico la fa da padrone. Ecco, in via del Governo Vecchio, in un’altra casa di Propaganda, il subcommissario per l’Abruzzo della Protezione Civile Luciano Marchetti, e anche il nuovo prefetto dell’Aquila, Giovanna Maria Rita Iurato, salta fuori nell’elenco di Anemone «per lavori di falegnameria».

Sempre in zona, via de’ Coronari, abitano il direttore del Tg1 Augusto Minzolini e il presidente di Trenitalia, Marco Zanichelli. Nel cuore della Roma storica c’è poi il palazzetto dell’ex ministro Pietro Lunardi, in via dei Prefetti, acquistato sei anni fa proprio dalla congregazione religiosa. Lunardi ha poi detto di aver incaricato Anemone per dei lavori in una sua proprietà di Parma. Il capo della polizia Antonio Manganelli era stato avvicinato da Balducci che gli aveva proposto un appartamento proprio in via dei Prefetti, ma Manganelli declinò e, come Gianni De Gennaro, prese casa a Parioli, in via Civinini. Dove tra l’altro, in entrambe le case, ha lavorato l’impresa di Anemone, ma senza mai finire i lavori.

Quegli appartamenti sono di proprietà dell’Enasarco, ente che ha Roma ha un considerevole patrimonio immobiliare, e vanta altri inquilini vip, come l’ex collaboratore di Balducci Massimo Sessa, che abita in una casa accanto a Villa Torlonia. Sempre a Parioli c’è una delle case di Guido Bertolaso, in via Bellotti Bon, e anche qui gli operai di Anemone hanno messo piede. Ma bisogna tornare in pieno centro storico per arrivare al secondo indirizzo per il quale il capo della Protezione civile è finito nell’elenco del costruttore: via Giulia, all’angolo con via del Polverone. Costeggia piazza Navona, invece, Corso Rinascimento.

Qui aveva casa il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, e qui i servizi mandarono Anemone per lavori di messa in sicurezza. Quando Mancino vendette l’alloggio in centro per trasferirsi al Trieste-Salario, in via Arno, richiamò l’imprenditore, ma stavolta a sue spese. Non lontano c’è via Ofanto, dove Anemone aveva annotato il generale della finanza, e vicedirettore dell’Aisi, Paolo Poletti.

I link tra Anemone e le case portano pure a Claudio Rinaldi, l’ex commissario straordinario per i mondiali di nuoto del 2009. L’imprenditore avrebbe lavorato negli immobili di Rinaldi in via Appia, via Aosta e via Nazionale. Era invece in via XX Settembre la sede della Medea, società di Mauro Della Giovampaola. Publio Fiori, ex sottosegretario, ora con Rutelli, nella sua casa di via Ruffini, a Prati, ha avuto gli operai di Anemone in casa, ma ha ricordato di aver «sempre pagato gli importi stabiliti mediante assegni e dietro presentazione di fattura».

Mentre il giorno della pubblicazione della lista cadde dalle nuvole Andrea Monorchio, ex ragioniere generale dello Stato, annotato accanto all’indirizzo via Sistina. Monorchio abita in effetti in affitto in una piccola traversa, via degli Artisti, ma ha detto di non aver mai conosciuto Anemone, e che «i lavori di ristrutturazione li ha fatti il proprietario». Non lontano, in via Gregoriana, c’è la casa su tre livelli di Bruno Vespa, affittuario di Propaganda Fide. E scendendo da Trinità de’ Monti, ecco via della Vite. Qui abita la giornalista del Tg5 Cesara Buonamici, che con Vespa condivide il «padrone di casa».

mercoledì 19 maggio 2010

Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere


Casta, un'altra vergogna Pensione gratis a tutti gli amministratori locali
Incredibile proposta di tre deputati Pd: "Ne avrebbero diritto consiglieri, assessori, presidenti di comuni, province, comunità montane". Costo per i contribuenti: 40 milion di euro all'anno



Nel novembre 2009, ma la notizia si è appresa soltanto ora, hanno presentato in commissione bilancio di Montecitorio una leggina per garantire la futura pensione agli amministratori pubblici, oggi priva di contributi previdenziali. Costo del progetto: 40 milioni di euro l’anno, secondo una stima della ragioneria dello Stato.

Per fortuna non c’è la copertura finanziaria e quindi tutto dovrebbe finire nel nulla. Ma è meglio non fidarsi. Anche perchè, il battaglione degli aspiranti pensionati sarebbe gigantesco. Avrebbero diritto alla pensione gratis «sindaci, anche metropolitani, presidenti delle province, consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, componenti dellegiunte comunali, metropolitane e provinciali, presidenti dei consigli comunali, metropolitani e provinciali".

Così, mentre Tremonti annuncia lacrime e sangue, in Parlamento c'è chi guarda lontano. Senza vergogna.

lunedì 17 maggio 2010

Pdl da rifondare: di chi si fida il presidente Berlusconi







di Giovanni Fasanella

«Berlusconi tradito. Rifondiamo il Pdl». Il manifesto, senza firma, è apparso in molti quartieri di Roma la mattina di sabato 8 maggio. Nel testo non c’era alcun riferimento alla natura del tradimento. Ma non è difficile supporre che si riferisse allo strappo consumato dal presidente della Camera Gianfranco Fini il 22 aprile, quando nella direzione nazionale del partito ha annunciato la nascita di una corrente di minoranza. Un fatto traumatico per una formazione politica «anarchico-monarchica», secondo la definizione di Paolo Cirino Pomicino, l’ex democristiano che aveva seguito dall’inizio l’avventura di Forza Italia per poi distaccarsene in tempi recenti: un partito, cioè, dove «tutto ruota intorno alla figura del leader carismatico e assoluto, e privo di qualsiasi regola interna».
Di qui, dunque, la necessità di «rifondarlo». Concetto che Francesco Gironda, ex portavoce della Gladio, traduce così: «Per affrontare le difficili, future sfide di governo, Silvio Berlusconi ha la necessità di blindare il Pdl intorno alla sua leadership». Gironda, di estrazione repubblicana, è stato uno degli uomini chiave nella fase più delicata della storia del centrodestra, quella della costruzione di una nuova forza politica sulle macerie dei vecchi partiti anticomunisti della Prima repubblica. La sua casa editrice, la Bietti, fu il motore della rinascita della cultura liberaldemocratica in Forza Italia attraverso il contrasto sistematico della visione della storia del dopoguerra diffusa dagli ex comunisti, e in cui era prevalente la tendenza a criminalizzare l’anticomunismo democratico.

Oggi, pur avendo aderito al Pdl, Gironda è in una posizione sempre più defilata e critica nei confronti di Silvio Berlusconi: «Il rapporto del personale politico, anche di vertice, con il leader di partito» sostiene «rischia di assomigliare a quello che era in auge all’epoca delle Signorie, quando la sintesi decisionale era demandata alla sola autorità del Signore e il rapporto con lui consentiva senza alcun dubbio il suggerimento, ma non il confronto».

L’immagine parallela che Cirino Pomicino disegna è quella di un «leader indiscusso e potente, però solo», che sta incontrastato al centro della scena, «ma senza sapere mai fino in fondo di chi fidarsi davvero e di chi no».

È proprio così? Gli esperti di geografie politiche interne dei partiti e di posizionamento degli uomini di nomenklatura dopo il «tradimento» di Fini hanno parecchia materia su cui esercitare la loro arte. E provano a disegnare le nuove mappe del Pdl. Al centro, com’è ovvio, c’è il leader indiscusso, «un ruolo che nessuno gli ha regalato, ma che Berlusconi si è conquistato sul campo a suon di vittorie» puntualizza Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del partito. E poi intorno a lui tutti gli altri: alcuni più vicini, altri più lontani, a seconda del grado di lealtà rispetto al capo attribuito a ognuno di loro.

Nella cerchia dei fedelissimi vengono annoverati innanzitutto gli uomini che gli stanno accanto a Palazzo Chigi, i due sottosegratari alla presidenza del Consiglio: il cardinalizio Gianni Letta, l’uomo delle relazioni istituzionali discrete, e il portavoce Paolo Bonaiuti. Poi i tre coordinatori del partito, Sandro Bondi, Denis Verdini e Ignazio La Russa, ognuno con un ruolo diverso. Il primo, anche nella veste di ministro per i Beni culturali, è il tramite con l’«intellighenzia», e ha il delicato compito di costruire una presenza in ambienti tradizionalmente egemonizzati dalla sinistra. Il secondo è il «selezionatore» del ceto parlamentare, l’uomo delle liste, insomma. E il terzo è l’ex di An che non ha seguito Fini nello strappo, e ora drena in quell’area i consensi per Berlusconi.

L’area dei fedelissimi e fedeli si estende fino ai due capigruppo parlamentari: Fabrizio Cicchitto, il presidente dei deputati, e Maurizio Gasparri, il presidente dei senatori.

Ma, per gli esperti cartografi del Pdl, qui finisce l’area dei fedelissimi e dei fedeli. E comincia quella più magmatica dei «malpancisti», che si estende silenziosamente verso la posizione dell’antagonista del leader, Fini. «Intendiamoci» tiene a precisare l’ex radicale Marco Taradash, consigliere regionale in Toscana, «nessuno mette in discussione Berlusconi, cui sono strettamente legate sia la storia di Forza Italia sia quella del Pdl. Ma il problema ora è come si ristruttura il berlusconismo: cioè, che cosa viene dopo…».

Già, che cosa viene dopo, quando il Cavaliere non sarà più al centro della scena politica? Qui, in quest’area di «malpancisti», molti si interrogano, dando per scontato che prima o poi l’evento si verificherà. Discretamente, ma inesorabilmente, uomini di estrazione liberaldemocratica come l’ex presidente del Senato Marcello Pera, l’ex ministro degli Esteri Antonio Martino, Egidio Sterpa, Alfredo Biondi e Benedetto Della Vedova sono in marcia verso il laico Fini. Quest’area si sta saldando con la componente repubblicana guidata dall’ex parlamentare Antonio Del Pennino, che non ha aderito al Pdl ma guarda con interesse, soprattutto sui temi etici, alle posizioni del presidente della Camera. Il quale ha aderito con entusiasmo all’invito a partecipare alla presentazione del libro scritto da Del Pennino, Di che vita morire?: il 28 aprile la Sala del Mappamondo di Montecitorio era stracolma di «laici» del Pdl e dintorni, accorsi ad ascoltare la sua voce.

E a Fini guardano, con curiosità alcuni e con interesse altri, anche molti esponenti dell’area ex democristiana. Come il ministro per l’Attuazione del programma Gianfranco Rotondi, ma senza esporsi troppo. Più esplicito, invece, è il flirt dell’ex ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, ora presidente della commissione Antimafia. Nella riunione della direzione dove s’è consumato lo strappo di Fini, Pisanu non ha partecipato alla conta voluta da Berlusconi, astenendosi sul documento della maggioranza. Un segnale inequivocabile, in attesa proprio del «dopo».

«Il punto» insiste Taradash «è che non può essere lo stesso Berlusconi a definire i confini del berlusconismo». Tradotto, il concetto è che non può essere il capo a nominare dall’alto i dirigenti a tutti i livelli e che il Pdl dovrà diventare un partito «certamente diverso da quelli conosciuti nella Prima repubblica, ma pur sempre con struttura territoriale e precise regole di democrazia interna».

È questo il leitmotiv su cui insistono la minoranza finiana e l’area liberaldemocratica ed ex dc. Ma ovviamente i fedelissimi del leader non ci stanno. «Il Pdl» spiega il vicecapogruppo al Senato Gaetano Quagliariello «è nato per guidare il processo di evoluzione della “democrazia dei partiti” nella “democrazia degli elettori”, in cui il fulcro è il rapporto diretto del leader con l’opinione pubblica».

Già, insiste Cicchitto, «era chiaro sin dall’inizio che il Pdl nasceva come un partito a guida carismatica». Quagliariello e Cicchitto respingono l’accusa che il carisma del leader arrivi ad annulare il dibattito interno. Tanto che in almeno tre casi il partito ha assunto decisioni diverse dalle indicazioni del capo. È accaduto alle elezioni regionali. Quando il Pdl ha scelto l’alleanza a macchia di leopardo con l’Udc di Pier Ferdinando Casini, ha preferito Renata Polverini a Luisa Todini per la presidenza del Lazio e Rocco Palese ad Adriana Poli Bortone per quella della Puglia.

Certo, il leader carismatico è anche finito in minoranza. Solo tre volte, fino a oggi. Ma se in futuro dovesse accadere sempre più spesso, ecco pronto il ministro Giulio Tremonti: è il più defilato dei filoberlusconiani, strizza un occhio alla Lega e l’altro a Fini.

giovedì 6 maggio 2010

NON SOLO SCAJOLA


Gli altri furboni:Veltroni,Bindi, Violante....quelli della casa a metà prezzo.

Lo sconto Scajola va di moda in Parlamento, ed è gettonatissimo nelle fila del centrosinistra. Sono state decine i deputati e i sentori ad avere fatto a Roma l’affare immobiliare della vita anche più di quanto è capitato al ministro uscente dello Sviluppo Economico. L’ex segretario del partito democratico, Walter Veltroni, è riuscito ad esempio a strappare nel 2005 un prezzo di assoluto favore: 377.590,27 euro per una casa a Roma di 190 metri quadrati e 8,5 vani poche centinaia di metri oltre Via Veneto, la culla della dolce vita. Secondo la stima del sistema Sevia-Cerved che raccoglie i valori minimi e massimi ponderati di mercato e le relative variazioni dal 2001 in poi, quell’immobile valeva sul mercato 766.703 euro. Lo sconto ottenuto dal leader del Pd è stato dunque del 50.75%. Un affare assoluto, perché oggi a prezzi di mercato la stessa casa vale poco meno di un milione di euro. Bisogna dire che lo stesso sistema di valutazione fa nascere un giallo a proposito della ormai nota casa di Claudio Scajola. Il diretto interessato sostiene di averla pagata poco più di 600mila euro. Agli atti della banca dati del catasto c’è anche la contemporanea richiesta di mutuo al Banco di Napoli- sportello di Montecitorio per 700mila euro. Secondo le testimonianze raccolte dai pm perugini dalle sorelle Papa che hanno venduto quella casa, l’imprenditore Diego Anemone avrebbe aggiunto 900mila euro di assegni circolari e Scajola stesso avrebbe pagato un anticipo di 200mila euro. Il prezzo dunque sarebbe di oltre 1,7 milioni di euro. Eppure per i valori delle principali agenzie immobiliari aderenti alla Borsa immobiliare di Roma e censite da Sevia-Cerved, il prezzo giusto nel 2004 per un ammezzato di 9,5 vani a quell’indirizzo sarebbe stato di 930mila euro. Prendendo quello a riferimento (con lo stesso metodo abbiamo calcolato il prezzo di mercato delle case degli altri politici) lo sconto ottenuto da Scajola sarebbe dunque del 34,40%.

Quello che a mezza sinistra avevano fatto generosamente ottenere i principali enti previdenziali cedendo a prezzi di affezione gli stessi immobili che negli anni di Affittopoli avevano ospitato proprio quegli inquilini a canoni irrisori. Solo Massimo D’Alema, finito al centro delle polemiche più di altri, scelse di non attendere il momento del magico sconto ed emigrò a Prati dove acquistò al secondo piano un bell’appartamento di 7 camere accessori, soffitta e terrazza. L’importo della transazione non fu dichiarato, ma D’Alema e la consorte Linda Giuva chiesero un mutuo ipotecario al Banco di Napoli di 250 milioni delle allora lire. Secondo le regole della banca, il mutuo poteva arrivare all’80% del valore della transazione. Se così fosse avvenuto il prezzo sarebbe stato di 300 milioni di lire, enormemente al di sotto dei valori di mercato 1997. Se lì il dubbio è lecito, non ci sono molte incognite sul super-sconto goduto invece dall’allora presidente del Senato, Franco Marini per l’acquisto di un prestigioso appartamento multipiano da oltre 330 metri quadrati nel cuore dell’esclusivo quartiere Parioli. Marini pagò un milione di euro quando il prezzo di mercato era di 2,2 milioni di euro. Con uno sconto di 1,2 milioni di euro non c’era bisogno naturalmente dell’aiuto dell’imprenditore amico di turno: il grazioso sconto era del 54,31%. Abbastanza vicino alla diminuzione di prezzo percentuale goduta dall’ex presidente della Camera, Luciano Violante per una abitazione assai più modesta acquistata con la moglie a due passi dal Quirinale (così intanto ha messo un piede da quelle parti). Era il 2003, la pagò 327mila euro e il prezzo di mercato era quasi il doppio: 637.364 euro.

Sconto record anche per due figlie nobili della sinistra italiana, entrambe divenute parlamentari. Due cosacche accampate in Vaticano come Maura Cossutta e Franca Chiaromonte, che nel 2004 hanno siglato un affaraccio immobiliare proprio vicino a piazza San Pietro. Alloggi non di lusso, ma scontati del 60,13% (per la Cossutta) e del 56,19% (per la Chiaromonte) rispetto ai valori di mercato. Più vicino al “colpo Scajola” l’attuale vicepresidente del Csm, Nicola Mancino che ha comprato dalle parti di piazza Navona a 516.740 euro quel che ne valeva 787.171. E parliamo di 2001, perchè oggi casa Mancino vale più di 1,6 milioni di euro. Supersconto ottenuto anche da Rosy Bindi proprio dietro piazza del Popolo, e non malaccio quelli strappati da Francesco Pionati dietro Trastevere e da Giuseppe Fioroni a Tomba di Nerone, a due passi dall’ultimo acquisto di Silvio Berlusconi nella capitale. E che il metodo di valutazione Cerved sia corretto è dimostrato dall’acquisto fatto da Rocco Buttiglione nel 2009 in un viale al centro dei Parioli. Ha pagato un milione e 140mila euro (400mila con mutuo). Il prezzo medio di mercato era di un milione e 150mila euro. Per lui niente sconto.

di Franco Bechis